Come tutti gli appassionati di storia sanno, Amalfi è stata una delle quattro repubbliche marinare italiane. In questo articolo parlerò della nascita e soprattutto dello sviluppo della città campana durante la presenza bizantina nell’Italia meridionale, sfatando il pregiudizio che i possedimenti bizantini fossero oppressi da numerose tasse ed in perenne decadenza, evidenziando al contrario come essi godessero di una certa autonomia che ne favorì lo sviluppo commerciale e marittimo.

 

Venezia, Genova, Pisa, Amalfi

Il villaggio di Amalfi, secondo il “Chronicon Amalphitarum”, venne fondato da un gruppo di Romani che, viaggiando verso Costantinopoli, fecero naufragio con la nave sulle coste pugliesi. Dapprima i naufraghi fondarono Melfi ed in seguito si spinsero sulla costiera amalfitana.
Con la conquista dell’Italia ad opera dei Bizantini, Amalfi venne inclusa nel Ducato di Napoli. La prima notizia storica della cittadina è racchiusa in una lettera del papa Gregorio Magno, scritta nel gennaio del 590 d.C. ed inviata ad Antemio, rettore del Patrimonio di Campania. Nell’epistola viene citato il primo vescovo di Amalfi, Pimenio. La città, posta tra i monti Lattari e il Mar Tirreno, indusse i suoi abitanti a potenziare le attività marittime attraverso il commercio d’importazione e d’esportazione.

All’inizio del VII secolo d.C. Amalfi costituiva l’estremo baluardo meridionale del Ducato napoletano. Nella perenne lotta tra Bizantini e Longobardi, all’epoca del re Rotari, la cittadina, che aveva una posizione strategica tra le montagne e il mare, divenne particolarmente importante, soprattutto dopo che Salerno entrò a far parte del Ducato di Benevento. Gli abitanti di Amalfi goderono quasi sempre di una sostanziale “autonomia periferica” che col tempo andò aumentando. Una prova dell’importanza della base navale amalfitana si ebbe nel 812 d.C. quando diverse galee di Amalfi vennero in aiuto dello stratega siracusano Gregorio, governatore della Sicilia bizantina, in armi contro i Musulmani dell’emiro Abu Al-Abbas.
Nonostante la fine del “Regnum Longobardorum” con la sconfitta a Pavia di Desiderio, il Ducato longobardo di Benevento continuò a vivere e ad espandersi, riuscendo a superare gli attacchi dei Franchi. Il principe Sicardo, successore di Arechi II, molestò il Ducato di Napoli con numerose scorrerie. In quell’epoca gli Amalfitani commerciavano con Bisanzio, l’Italia meridionale, la Sicilia e perfino con gli Arabi insediatisi nell’Africa settentrionale. La merce più richiesta erano gli schiavi longobardi.

Massima espansione di Amalfi

Il primo settembre dell’839 d.C., narra il “Chronicon Salernitanum”, i proprietari terrieri amalfitani, che formavano la nobiltà locale, elessero un proprio “comes o comite” nella persona di Petrus. Sicuramente non si poteva parlare di piena indipendenza, giacché era ancora presente una formale tutela di Bisanzio attraverso il Ducato di Napoli, ma si trattava di autonomia amministrativa che preludeva alla piena libertà. Amalfi, libera di fatto e non di diritto, ebbe parecchi “comites”. Inoltre nelle guerre tra i pretendenti al trono del Principato longobardo di Benevento, gli Amalfitani parteggiarono ora per l’uno ora per l’altro pretendente, fornendo navi e marinai ben pagati dai nobili longobardi.

Battaglia di Ostia – Raffaello Sanzio

Gli Arabi del Magreb, dopo la conquista di Bari e Palermo, tentarono di assediare Roma, ma il pontefice Leone II chiese soccorso al Duca bizantino di Napoli, che riuscì a mobilitare navi napoletane, caetane ed amalfitane. La flotta cristiana sotto il comando del console Cesario sbaragliò i nemici vicino ad Ostia, presso le foci del Tevere. Nei canti di gesta venne esaltata Amalfi e si scrisse:” contra hostes fidei semper pugnavit Amalphis”. La battaglia di Ostia della primavera dell’849 d.C. sarà in seguito immortalata nell’affresco di Raffaello Sanzio nelle “stanze” del Vaticano. Verso la fine del IX secolo d.C. Amalfi commerciava non soltanto con Bisanzio e le regioni amministrate dai Bizantini, ma anche con i Musulmani. Numerose furono le onorificenze elargite dagli imperatori bizantini ai prefetti di Amalfi. Si ricorda a titolo di esempio che il prefetto Mansone, soprannominato Fusilis, ebbe il titolo di “imperialis spatarius candidatus”. Milizie del prefetto di Amalfi parteciparono ad una spedizione militare del principe beneventano Atenolfo contro i Musulmani della Calabria, trinceratisi sulla riva destra del Garigliano. Alla morte del prefetto Mansone, suo figlio Mastalo I e successivamente suo nipote Leone divennero prefetti della cittadina campana. Essi intensificarono i legami con gli imperatori bizantini e per tale motivo Mastalo fu insignito del titolo di “imperialis patricius” e Leone del titolo di “proto spatarius”.

Arsenale di Amalfi

Sempre maggiore importanza ebbe l’Arsenale da dove uscivano riparate o nuove le navi che portavano il legname ad alto fusto dalla Campania agli Arabi dell’Africa, ricevendo gli Amalfitani oro utilizzato per comperare merci provenienti dall’Oriente. Si interessarono ai traffici marittimi tutti gli abitanti, non esclusa la nobiltà che era più legata alla proprietà fondiaria. Gli Amalfitani, grazie al commercio marittimo, ottennero fondaci ed altre proprietà dal Magreb fino a Costantinopoli. Nel 996 d.C. vi era una numerosa e forte colonia amalfitana al Cairo durante il governo del Califfo Ramansor Mustasaph, il quale autorizzò i coloni ad edificare in Gerusalemme la chiesa di Santa Maria dei Latini, l’ospedale di San Giovanni e l’ospizio di Santa Maria Maddalena. Mercanti amalfitani risiedevano pure a Costantinopoli, dove compravano preziosi prodotti orientali come i tessuti di seta. Nella città avevano costruito le chiese di Santa Irene e di San Andrea e i conventi di Santa Maria degli Amalfitani e di San Salvatore.
Nel periodo in cui Amalfi raggiungeva grandezza e potenza il governo cittadino era nelle mani di Mansone II. Il primo arcivescovo nella cittadina campana fu Leone di Urso Comite nel 987 d.C., un tempo abate del monastero dei Santi Ciriaco e Giuditta sopra Atrani e membro dell’aristocrazia comitale.

Duomo di Amalfi

Nella seconda metà del secolo XI i Normanni occuparono tutti i territori dell’Italia meridionale, non risparmiando la cittadina campana. Nel marzo 1076 il Guiscardo prese possesso di Amalfi. Ma la repubblica marinara mal sopportava la dominazione normanna e quando Ruggero II, il 22 agosto 1128 ebbe l’investitura a duca di Puglia, di Calabria e di Sicilia, dopo aver rafforzato il suo potere pretese che i magistrati amalfitani rinunciassero al loro sistema di difesa e consegnassero le fortezze della costa. I magistrati si rifiutarono ed Amalfi dovette subire un duro assedio per terra e per mare conclusosi con la resa della città. Questo avvenimento riaccese le ribellioni in tutta la Campania e riavvicinò le posizioni della Chiesa e dell’Impero contro i Normanni. Anche le repubbliche di Pisa e Genova si unirono al papato e all’Impero. I Pisani raccolsero immediatamente l’invito del pontefice per un diretto intervento in Campania ed inviarono mille balestrieri che sbarcarono nel porto di Napoli, accolti festosamente dalla cittadinanza. La flotta di Pisa, comandata dal console Pietro Albizzoni, attaccò il 4 agosto 1135 la città di Amalfi oramai soggetta ai Normanni e saccheggiò le navi che erano nel porto e quasi distrusse l’intero abitato. 

Codice giustinianeo

La tradizione narra che i Pisani, nel saccheggiare palazzi pubblici e privati, trovarono una copia del Codice giustinaneo o Pandette, che era custodita nel Palazzo del Consiglio di Amalfi. Però la guerra ebbe un esito favorevole per Ruggero II, al quale nel 1139 fu riconosciuto dalla Chiesa e dall’Impero il pieno dominio su tutta l’Italia meridionale. Pertanto Amalfi cadde per sempre sotto la dominazione normanna e farà parte del “Regnum Siciliae” e successivamente diverrà possesso di tutti quegli uomini che regnarono nel Mezzogiorno d’Italia.

La decadenza politica di Amalfi non determinò la fine delle colonie d’oltremare e del commercio che fu attivo anche nei secoli successivi. Le navi amalfitane continuarono a solcare il Mediterraneo ma la libertà non tornò mai più. 

 

BIBLIOGRAFIA

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