L’autore, finlandese, nato nel 1908 e morto nel 1979 ha scritto numerosi romanzi storici (a parere dell’Enciclopedia Britannica un romanzo può dirsi storico quando «è ambientato in un’epoca storica e intende trasmetterne lo spirito, i comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un’aderenza ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti, oppure una mescolanza di personaggi storici e di invenzione»), ma sicuramente «Sinuhel’ Egiziano» è quello che gli ha dato fama internazionale.
Per volere della madre si iscrisse al corso di laurea in Teologia all’Università di Helsinki, ma preferì gli studi di filosofia e letteratura, laureandosi nel 1929. Fu giornalista, critico e scrittore prolifico, partecipando a diversi concorsi letterari che lo fecero conoscere in tutto il mondo. Ebbe particolare successo con la pubblicazione di alcuni romanzi storici, fra i quali ricordiamo «Turms l’etrusco», «Marco il romano», «Lauso il cristiano», «L’angelo nero» pubblicato nel 1952 ed ambientato nella Costantinopoli del 1453 assediata dai Turchi Ottomani (mi occuperò di recensirlo al più presto). Queste opere letterarie si caratterizzano per il pessimismo, la fede cristiana dello scrittore e sono stati tradotti in circa 40 lingue.
Il romanzo «Sinuhe l’Egiziano» sa avvincere i lettori sin dalle prime righe. Da leggere più volte e non solo per una migliore conoscenza della vita ai tempi dei faraoni, ma perché fa comprendere come la malvagità umana, la brutale follia della guerra, la malafede del comando, non hanno età né epoca e come il Male, sotto diverse forme, possa stravolgere la vita degli uomini. Si è catapultati nel passato, che però viene attualizzato. Sembra che a parlare sia veramente il medico Sinuhe vissuto 3.400 anni fa. La sua biografia è struggente, melanconica, raccontata quando ormai il protagonista è vecchio e in esilio. Tutta la rievocazione della sua vita è caratterizzata da un cupo pessimismo e da una completa rassegnazione ad un destino di dolore e infelicità, che può trovare un riscatto solo credendo ad una prospettiva ultraterrena. È chiaro come il testo, pur riferendosi ad un’ epoca precristiana, proponga temi cari al Cristianesimo, iniziando dal contrasto tra la vanità delle cose terrene (potere, ricchezza, successo) ed il riferimento alla dimensione spirituale (il monoteismo voluto dal faraone Akhenaton e il suo messianesimo).
Sinuhe rappresenta l’umanità, che aspira al Bene ma troppo facilmente cade nel Male. L’autore non assolve il protagonista dalle sue indiscutibili colpe ma lo giustifica a causa della sua fragile natura umana. Narra la sua vita piena di avventure, che lo condussero in Siria, Creta, Gerusalemme, Babilonia e nelle terre degli Ittiti. Così Waltari prende per mano il lettore, facendogli conoscere le più famose civiltà antiche e le loro maggiori peculiarità. Ovviamente fondamentale importanza viene data alla civiltà egizia. Descrive le città di Tebe e Akhetaton (l’Orizzonte di Aton) con tale dovizia di particolari, da dimostrare uno studio particolareggiato delle mappe e dei reperti archeologici delle due città. Vi è una notevole attenzione alla psicologia dei personaggi, soprattutto per Sinuhe ed i faraoni Akhenaton ed Horemheb. L’autore fa precisi riferimenti alla riforma religiosa voluta da Amenofi IV, che poi prese il nome di Akhenaton, facendo immergere pienamente il lettore nelle diatribe presenti tra i sostenitori del dio Aton (il disco solare) e di Ammone (il dio guerriero). Lo scrittore utilizza con dovizia i modi di dire degli Egizi di quell’epoca e la precisione con cui fa ricorso agli avvenimenti storici è davvero sbalorditiva. Fra gli elementi che denotano l’opera bisogna sottolineare l’esotismo (che consiste nella fuga dalla realtà, indirizzandosi verso mete lontane dai luoghi di appartenenza, oppure ad un’epoca diversa da quella attuale, come il Medioevo o l’età classica antica), il crepuscolarismo (che si caratterizza per il desiderio di compianto e di confessione, per il rimpianto dei valori tradizionali persi e da una perenne insoddisfazione che non si sfoga in ribellione) e per il pessimismo che definirei storico rifacendomi al Leopardi (la vita degli uomini è sottoposta alla vanità delle illusioni, al male, al dolore, all’infelicità e alla solitudine).
Sinuhe rappresenta l’umanità, che aspira al Bene ma troppo facilmente cade nel Male. L’autore non assolve il protagonista dalle sue indiscutibili colpe ma lo giustifica a causa della sua fragile natura umana. Narra la sua vita piena di avventure, che lo condussero in Siria, Creta, Gerusalemme, Babilonia e nelle terre degli Ittiti. Così Waltari prende per mano il lettore, facendogli conoscere le più famose civiltà antiche e le loro maggiori peculiarità. Ovviamente fondamentale importanza viene data alla civiltà egizia. Descrive le città di Tebe e Akhetaton (l’Orizzonte di Aton) con tale dovizia di particolari, da dimostrare uno studio particolareggiato delle mappe e dei reperti archeologici delle due città. Vi è una notevole attenzione alla psicologia dei personaggi, soprattutto per Sinuhe ed i faraoni Akhenaton ed Horemheb. L’autore fa precisi riferimenti alla riforma religiosa voluta da Amenofi IV, che poi prese il nome di Akhenaton, facendo immergere pienamente il lettore nelle diatribe presenti tra i sostenitori del dio Aton (il disco solare) e di Ammone (il dio guerriero). Lo scrittore utilizza con dovizia i modi di dire degli Egizi di quell’epoca e la precisione con cui fa ricorso agli avvenimenti storici è davvero sbalorditiva. Fra gli elementi che denotano l’opera bisogna sottolineare l’esotismo (che consiste nella fuga dalla realtà, indirizzandosi verso mete lontane dai luoghi di appartenenza, oppure ad un’epoca diversa da quella attuale, come il Medioevo o l’età classica antica), il crepuscolarismo (che si caratterizza per il desiderio di compianto e di confessione, per il rimpianto dei valori tradizionali persi e da una perenne insoddisfazione che non si sfoga in ribellione) e per il pessimismo che definirei storico rifacendomi al Leopardi (la vita degli uomini è sottoposta alla vanità delle illusioni, al male, al dolore, all’infelicità e alla solitudine).
È opportuno ricordare che «Sinuhe l’Egiziano» venne pubblicato nel 1945, quando la II guerra mondiale era agli sgoccioli, ottenendo subito uno straordinario successo di vendite. La solitudine dell’uomo moderno, la decadenza dei valori, un mondo sempre più materialista furono considerati temi fortemente attuali dai lettori della metà degli anni quaranta del XX secolo, ma molto probabilmente lo sono ancora oggi. Nel 1954 la casa cinematografica americana 20th Century Fox produsse il film «Sinuhe l’Egiziano» diretto dal regista Michael Curtiz. L’attore Edmund Purdom interpretò Sinuhe ed un giovanissimo Peter Ustinov indossò i panni dello schiavo Kaptah. Bisogna evidenziare le ambientazioni storiche spettacolari e opulente (la concorrenza della televisione spingeva le case cinematografiche negli anni cinquanta del XX secolo a grossi investimenti in pellicole di maestosa grandiosità), oltre al fatto che il film di Curtiz denota una grande accuratezza storico-iconografica. La pellicola ebbe una nomina all’Oscar per la migliore fotografia a colori.
Il giudizio non può che essere assolutamente positivo sul libro sul quale si è discettato fino a questo momento. Il linguaggio è semplice, scorrevole e comprensibile. Il rigore storico dell’autore non viene mai meno e non può essere messo in discussione. Se non si sapesse che l’opera è stata pubblicata nel 1945, parrebbe un testo appartenente alla letteratura egizia antica. Un romanzo meritevole di grande attenzione che consiglio di regalare a coloro che sono interessati alle civiltà antiche, in particolare a quella egizia e alla figura del faraone Akhenaton.
In conclusione mi piace riproporre e mi emozionano le ultime righe del testo, che rappresentano una sorta di congedo di Waltari dai lettori:
«Poiché io, Sinuhe, sono un essere umano. Io sono vissuto in tutti coloro che sono venuti prima di me e vivrò in tutti coloro che verranno dopo di me. Vivrò nelle lacrime e nel riso degli uomini, nel dolore e nel timore umani, nell’umana bontà e nella malvagità, nella giustizia e nell’ingiustizia, nella debolezza e nella forza. Quale essere umano vivrò eternamente nell’umanità. Non desidero né offerte alla mia tomba, né immortalità al mio nome. Questo è stato scritto da Sinuhe, Egiziano, che visse solo in tutti i giorni della sua vita».
Da prendere! 🙂 Federica
I capolavori meritano sempre! 😉