Sinossi:
Il denaro nel senso in cui lo intendiamo oggi è un prodotto della modernità. Non è un protagonista di primo piano del Medioevo, né dal punto di vista economico e politico né da quello psicologico ed etico; è meno importante e meno presente di quanto non lo fosse nell’Impero romano, e soprattutto assai meno centrale di quanto non diventerà nei secoli successivi. Dai pulpiti medievali risuona la condanna dell’avarizia come peccato capitale e le parole dei monaci e dei frati elogiano la carità ed esaltano la povertà come ideale incarnato da Cristo. Non l’accumulo, non la ricchezza garantiscono il buon vivere. La salvezza è nel dono e nel sostegno ai deboli. La pecunia è maledetta e sospetta, perché né il denaro né il potere economico sono arrivati a emanciparsi dal sistema globale di valori proprio della religione e della società cristiana. La moneta sonante tornerà a girare con i rifornimenti di metallo prezioso, con lo sviluppo dell’economia cittadina, con la fondazione alla fine del XV secolo di istituti di credito per la sussistenza di molti poveri e con la nascita di una sorta di mercato unico. Sarà una rivoluzione lenta e silenziosa a modificare i pensieri delle donne e degli uomini del Medioevo e della stessa Chiesa, una rivoluzione che ha nome “capitalismo”.
Recensione:
Chiesa e denaro. Ossimoro di difficile soluzione, ma anche interpretazione, dal momento che molti hanno preso spunto da questo pregevole studio sul Medioevo di Jacques Le Goff per lanciarsi in voli pindarici e invettive contro la Chiesa attuale.
Tuttavia il testo di Le Goff, esponente tra i massimi storici dell’Età di Mezzo e autore di numerose opere sull’argomento, affronta la mentalità di quel lungo periodo storico che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente alla scoperta dell’America, con cura intellettuale unita al metodo scientifico.
Nella parte iniziale del Medioevo, periodo che va dal IV secolo al XII, il medievalista spiega come l’indice di ricchezza degli individui non fosse affatto dato dal denaro bensì dal potere, dai privilegi e terre possedute. La “moneta sonante” era infatti tenuta in bassa considerazione se non addirittura spregiata: la principale rappresentazione simbolica del denaro nell’iconografia medievale è una borsa che, appesa al collo del ricco, lo trascina all’Inferno (immagine presente anche nella Divina Commedia).
Le Goff, oltre a raccontarci la storia delle monete nell’economia e nella politica del tempo, ci offre uno spaccato del pensiero medioevale che è in maniera preponderante dominato dalla religione e di conseguenza condizionato nell’atteggiamento dei fedeli sia verso il denaro in sé che verso l’uso che se ne deve fare. Ovunque i predicatori elogiano la povertà e la carità, condannando l’avarizia come uno dei peccati capitali. Diversi sono anche gli ordini religiosi mendicanti che si sviluppano in quel periodo.
La Chiesa si scaglia contro la pratica del prestito in cambio di interessi definendolo come un peccato gravissimo, una vera e propria morte dell’anima. Il denaro non può partorire denaro e quindi il profitto che va oltre al capitale iniziale prestato è da considerarsi usura. In un manuale per confessori ad opera del vescovo inglese Cobham si trova citato: “L’usuraio punta a guadagnare senza lavorare, addirittura dormendo; ciò va contro il precetto del Signore che ha detto:’Col sudore del tuo volto mangerai il pane’”. L’unico modo per un usuraio di evitare l’inferno era il pentimento seguito dalla restituzione del guadagno illecito.
Nel saggio seguiamo l’evoluzione del denaro da una società prevalentemente contadina di impianto feudale, dove la moneta circolante era piuttosto scarsa e i prodotti venivano utilizzati soprattutto per l’autoconsumo o scambiati tramite il baratto, ad una società in forte sviluppo urbanistico e commerciale, anche ad ampio raggio.
Le città diventano così i punti focali per la crescita socio-economica. Con la loro incessante richiesta di opere pubbliche, mulini, chiese, strade, ponti, ma anche di retribuzione per tutti i funzionari che la amministrano, sono da sprone per il ritorno della monetazione aurea. Si assiste alla nascita di zecche e al perfezionamento della tecnica di conio, opifici che solo gradatamente verranno inglobati nel monopolio del potere regio, con tutte le conseguenze di organizzazione fiscale e di tesoreria che ne derivano. È nella Sicilia del 1231 che vengono coniate le prime monete europee, gli augustali di Federico II, anche se le prime vere monete d’oro saranno il genovino e il fiorino, emesse nel 1252 rispettivamente a Genova e Firenze, e il ducato coniato a Venezia qualche anno dopo. Naturalmente ad esse si affiancherà anche la diffusione di monetine di basso valore, le cosiddette monete nere, per le esigenze quotidiane del popolo e le elemosine.
Con la crescente domanda di denaro liquido a fini commerciali e per lo sviluppo urbano, si assiste ad un lento cambiamento dell’immagine del prestatore di soldi, nonché di percezione del cosiddetto profitto. Nuove interpretazioni filosofiche e morali consentono di passare dalla condanna senza appello di colui che presta denaro e della pratica dell’usura ad una forma di tolleranza che la rendono accettabile. Nell’università di Parigi si disquisisce affinché l’interesse venga considerato la giusta remunerazione per il rischio di impresa del prestatore e la discussione si sposta così dalla questione della legittimità dell’interesse a quella di determinarne la “giusta misura”. Nello stesso periodo anche la Chiesa trova una soluzione teologica al cruccio dei mercanti e di quanti desiderano morire in pace con Dio: l’affermazione dell’idea di un aldilà intermedio, il Purgatorio, sancita come dogma nel 1274 dal secondo concilio di Lione.
Il bisogno di risorse economiche per la costruzione di chiese e grandi opere, nonché lo sviluppo dello stato pontificio, non lascia indenne dalla ricerca di liquidità neppure la Chiesa. Uno dei metodi adottati, la celebre pratica della vendita delle indulgenze ripresa poi anche in diversi testi satirici del tempo, fu nel XVI secolo una concausa dello scisma luterano.
L’uso del denaro comincia quindi a modernizzarsi fino ad assumere quell’importanza e valore intrinseco e sociale che caratterizzerà i secoli successivi, ma nel Medioevo Le Goff sottolinea come la moneta fosse ancora prevalentemente inserita in un’economia del dono e tutte le attività umane fossero sempre subordinate alla futura esistenza ultraterrena.
Questo piacevole viaggio all’interno del Medioevo attraverso l’ottica e filo conduttore del denaro è senza dubbio interessante perché, oltre a permettere di venire a conoscenza di numerosi aneddoti e curiosità, offre spunti di riflessione su aspetti caduti ormai da tempo nello stereotipo. Una scrittura brillante e accattivante completano la godibilità del testo.
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Ottima recensione Isabel. Le Goff riesce sempre a presentare – come faceva il suo maestro Marc Bloch – storia, sociologia, antropologia, economia e diritto medievali come fossere parti di un grande racconto che poi è la vita quotidiane del tempo.
Verissimo. Descrivere un aspetto della storia, qualunque esso sia, non può prescindere dalla corretta contestualizzazione del tutto. Le Goff ci riesce magistralmente rendendo anche la lettura interessante.
Grazie per questa eccellente recensione! Il saggio sembra rendere accattivante un argomento piuttosto arido come il denaro e le transazioni economiche, a ricordarci che l'economia allora era sostanzialmente "basica".
Si, ci fa capire come la percezione e il simbolismo delle cose vari negli anni anche fino a significati opposti. 🙂
Bella recensione. Grazie:-)