Memorie di una cagna – Francesca Petrizzo

Sinossi:

Una nave è in vista delle coste greche. A bordo, una donna cerca di distinguere il profilo del Peloponneso nella luce incerta del crepuscolo. È Elena di Troia, ricondotta in patria dal marito Menelao dopo la distruzione dell’orgogliosa città. Al vento e alle onde, lei affida la propria storia. E la sua voce racconta una verità diversa da quella che tutti conoscono: malinconica e vibrante, parla di una creatura assetata d’amore, piena di passione e sensualità, ma costretta a obbedire alla legge del padre-re e a sposare un uomo che non aveva scelto, né desiderava. Una decisione fatale, da cui nasceranno lutti e tragedie, perché Elena cercherà tra le braccia di altri quel che le è stato negato. Perdendo tutto, e finendo marchiata come “cagna”, sciagurata e traditrice. Sullo sfondo del mito e dei poemi omerici, Francesca Petrizzo spoglia la sua protagonista dell’alone leggendario, le dà carne e anima, creando una figura femminile che irrompe sulla pagina con la forza, la rabbia e la dolcezza di un personaggio autentico, archetipo di tutte le donne che nel tempo hanno opposto le ragioni del cuore a quelle del potere.
 
Recensione a cura di Cristina M.Cavaliere dal blog Il Manoscritto del Cavaliere:
 
Memorie di una cagna di Francesca Petrizzo è un romanzo sconvolgente a partire dal titolo, che è come un pugno sferrato nello stomaco. Ma non solo. L’autrice ha solo diciannove anni, ed è la prima volta che leggo una prosa così levigata e nello stesso tempo così matura da parte di una ragazza di quest’età. Non perché i giovani non siano capaci di sentimenti profondi, beninteso, ma perché certe amarezze, certe esperienze, certe forme di repulsione, devono essere vissute sulla propria pelle per essere espresse con la capacità d’immedesimazione di Francesca. Per questo la sua prosa è tanto stupefacente. Il romanzo narra le vicende di Elena di Troia, la donna bellissima che, a causa della sua fuga d’amore con Paride, scatenò la celebre guerra cantata dal poeta cieco Omero. Solo che, stavolta, la racconta lei, in prima persona, a ristabilire la sua verità. L’incipit, leggibile anche sulla quarta, ci introduce immediatamente nel vivo del romanzo: “La cagna. Così mi chiamano gli uomini dell’equipaggio. La cagna. Lo fanno di nascosto. Ma io li sento. Il mio nome è Elena, sono nata a Sparta, ma me ne andai per amore. Dicevano che ero la donna più bella del mondo. Del poco che ho avuto, del molto che ho perso, già gli aedi fanno racconti. Racconti bugiardi. Loro non c’erano, del resto. Io sì.”



Fin dalla sua infanzia, comprendiamo che è Elena è una bambina assetata d’amore, ma irrimediabilmente sola, prigioniera di una corte che di volta in volta la protegge – malamente – dalle brame degli uomini, o la espone come merce in vendita, con un padre regale e distratto, e una madre che vede in lei solamente il riflesso di se stessa. Elena ha una sorella feroce come un lupo e che la odia, Clitemnestra. Due fratelli, Castore e Polluce, uniti in un legame quasi incestuoso. In tutto il romanzo scorre una bramosia maschile ora trattenuta e sottotraccia, ora liberata in maniera bestiale, che fa di Elena, sempre, una vittima sacrificale. Le donne all’epoca erano oggetti di scambio, e ancora oggi lo sono in moltissime zone arretrate del mondo. Elena è passata alla Storia esattamente in questo senso: come una creatura ceduta, rapita e scambiata, un essere al femminile il cui unico merito, se così si può dire, era di possedere una bellezza straordinaria, derivatale dagli dei. Una donna la cui volontà e voce erano inesistenti. Come i milioni, i miliardi di donne che sono trasmigrate sulla terra, hanno sofferto, amato, lavorato, si sono sposate o dovute sposare, hanno partorito figli, e sono morte senza avere mai potuto esprimere che cosa volessero veramente. Nessuna di loro ha mai potuto scegliere, o perlomeno dar vita ai suoi sogni. Marguerite Yourcenar, nel suo discorso per l’ammissione a l’Académie Française, le ha ricordate. Anche Francesca Petrizzo lo fa, nel suo romanzo, grazie alla sua prosa, cesellata come se avesse usato il bulino, tanto che ogni riga sembra un miracolo. Anche nel delineare i personaggi l’autrice è sempre sorprendente, così leggiamo di Achille, un giovane privo delle sue ire incontrollate, con “gli occhi cangianti dal verde all’azzurro, insostenibili”, attraversati dalla follia. Che l’ammira e la ama come se fossero eguali. O la descrizione di certi paesaggi aspri e selvaggi accanto a Sparta, dove “L’ultima, vaga corona di rossa fiamma incorniciò la sagoma sbocconcellata dei monti prima di sparire del tutto,” o il fiume Eurota dalle acque aspre e ghiacciate, presso la reggia. E, naturalmente, la città di Troia, seconda patria della fuggitiva Elena.
 


Elena e Paride. Faccia A di un cratere a campana apulo a figure rosse (Taranto?), 380–370 AC. Museo del Louvre, Parigi.



Di tutto, però, la nota di sottofondo più straziante è quella di un misterioso “fantasma” che si aggira tra gli ulivi accanto alla reggia, e nella sua memoria. Che cosa possiamo dire di più, se non invitare il lettore a leggere il romanzo per scoprire chi sia questo fantasma? Buona lettura, dunque.




Titolo: Memorie di una cagna

Autore: Francesca Petrizzo

Editore: Sperling & Kupfer

Pag.: 243

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4 commenti

  1. Un libro che ho scoperto con la vostra recensione e che ho trovato affascinante: grazie!!

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