Appunti sulla pirateria: dai Cilici ai Fratelli della Costa


La pirateria è una pratica che risale a tempi antichissimi. Una piaga che ha infestato i sette mari in tutte le epoche e che tuttora caratterizza con esiti spesso drammatici alcuni quadranti dell’Oceano Indiano e del Pacifico. Il pirata entrato nell’immaginario collettivo è di sicuro quello del XVIII secolo. Crudele e sanguinario con la benda nera sull’occhio, il pappagallo sulla spalla, l’uncino e la gamba di legno, oppure sfrontato e fanfarone dall’aspetto belloccio e dal fascino da allegra canaglia, questi i pittoreschi individui che ci saltano in mente all’udire parole quali bucaniere, filibustiere, corsaro… 
 
Film: I Pirati dei Caraibi
 La filmografia dai primi del novecento (1920) ad oggi ci ha proposto una numerosa sfilza di pellicole incentrate su figure di pirati di pura fantasia o realmente vissuti. Tra atmosfere caraibiche, assalti all’arma bianca, amori ribelli, preziosi tesori nascosti e terribili maledizioni, abbiamo potuto rivivere avventure mozzafiato, immedesimandoci nel Jack Sparrow o nel Capitan Uncino di turno non dimenticando gli immortali romanzi dello scrittore Emilio Salgari incentrati sui corsari delle Antille (Il Corsaro Nero, La regina dei Caraibi, Gli ultimi filibustieri etc etc). Persino un manga del 1976, divenuto poi cartone animato, fu incentrato sulla figura di un pirata. Chi non ricorda Capitan Harlock, misterioso e taciturno bucaniere spaziale, comandante dell’astronave Arcadia, in lotta contro il sistema, cercando di conseguire gli ideali di un mondo migliore, il tutto nel lontano anno 2977. La pirateria, così indorata di folklore, romanticismo e leggenda, sembra perdere quelle che sono le sue “storiche” caratteristiche. Si presenta quasi come un fenomeno di costume dagli aspetti positivi e fiabeschi. La realtà fu ben diversa. Come ho accennato all’inizio, le origini della pirateria sono piuttosto datate. Nel mondo classico, tutte le popolazioni dalla fiera tradizione marinara, potevano “vantare” vascelli pirata che se ne scorrazzavano in tutta libertà per il Mediterraneo. I Fenici non disdegnarono tale pratica come gli stessi Greci per non parlare degli Etruschi che a bordo di veloci imbarcazioni divennero il terrore del Tirreno, assaltando con particolare efferatezza tutto ciò che transitava al largo delle coste sarde e corse.

 

Trasformazione in delfini dei pirati tirreni ad opera di Dioniso

In epoca romana

In piena età Repubblicana, la stessa Roma dovette affrontare il problema con crescenti stanziamenti di denaro, uomini e navi oppure attraverso la firma di trattati anti-pirateria (in realtà quasi del tutto inefficaci), nei quali i due contendenti del momento (Roma e Cartagine ad esempio) si impegnavano, almeno formalmente, ad evitare assalti ed arrembaggi in determinate zone di mare. Questo perché già all’epoca, accanto ad una pirateria senza bandiera e padroni, ne agiva una più organizzata e al soldo di quella o quell’altra potenza, le cui azioni erano dirette a colpire soprattutto la controparte concordata. Questa sorta di “pirateria da guerra” la ritroveremo nei secoli a venire. Tornando all’epoca romana mi va di citare la campagna navale di un tale Cecilio Metello, detto “Cretico”. Egli nel 68 a.C. riuscì a sbaragliare le flotte corsare, liberando dai pirati l’isola di Creta e le rotte marittime prossime, meritandosi un trionfo e l’epiteto sopra citato. Figurarsi che l’Urbe era impegnata dal 102 a.C., con alterne fortune in una logorante guerra per estirpare la piaga dei pirati dal Mar Egeo. Questa porzione di mare era diventata una vera e propria fucina dei peggiori manigoldi in circolazione. Dalle coste della Cilicia nel meridione della penisola Anatolica, partivano vere e proprie flotte corsare che si dilettavano nell’assaltare le colonie romane nella provincia d’Asia e rendevano insicura la navigazione per tutte le grandi isole, da Creta a Rodi e fino a Cipro. Nel tempo inoltre la loro zona di influenza era andata allargandosi e non era raro trovare imbarcazioni pirata veleggiare indisturbate al largo della Sicilia, dell’Africa e persino del Lazio. 

Antica mappa della Cilicia

I Cilici divennero una vera e propria calamità, disseminando il Mediterraneo di fortezze, cantieri e basi navali per il rifornimento e lo scarico di quanto predato. Si erano dotati persino di un’organizzazione di stampo militaresca che prevedeva l’operare in squadre di hemiole, biremi e triremi. Gli equipaggi erano di valore e le imbarcazioni vantavano arredi, armamenti e decorazioni di prim’ordine. Questo è quanto ci raccontano Plutarco e Appiano. Una situazione oltremodo complicata per l’Urbe. La progressiva perdita dei bastimenti addetti al trasporto di grano e cibarie varie stava minando l’intero sistema economico romano, per non parlare dell’impossibilità di aprire nuove rotte commerciali. Da sottolineare inoltre che i romani si erano infognati in un duraturo conflitto con un avversario tosto e capace, quel Mitridate VI, re del Ponto che li costrinse a combattere ben tre guerre distinte (guerre mitridatiche). Il caparbio sovrano impegnò Silla, Lucullo e Pompeo Magno dall’88 al 63 a.C. e fu proprio sua l’idea di trasformare un’accozzaglia di disperati marinai raccolti tra i Cilici abili e arruolabili nella più formidabile e organizzata flotta pirata dell’antichità. I Cilici aprirono dunque un fronte parallelo, fornendo a Mitridate un supporto indiretto ma necessario per tenere impegnate le ingenti forze romane, logorandole in una guerra navale nella quale i quiriti non eccellevano affatto. 

Giulio Cesare rapito dai pirati

In questo contesto, nel 74 a.C. ritroviamo lo stesso Gaio Giulio Cesare, catturato dai pirati mentre veleggiava verso Rodi. Egli non nascose di essere un membro della gens Iulia che annoverava tra i propri antenati lo stesso Romolo. Tale parentela gli conservò la vita. Il futuro dittatore aveva un’alta concezione di se. Durante la prigionia si mise a comandare a bacchetta i propri aguzzini, costringendoli oltretutto ad ascoltare poesie e sfoggi di erudizione. Si indignò persino, quando venne a conoscenza dell’intenzione dei farabutti di chiedere per lui un riscatto di “soli” venti talenti. Pretese una richiesta di ben cinquanta talenti che fece consegnare con puntualità al capo dei pirati. Al momento dei saluti, Cesare promise che una volta tornato libero, li avrebbe cercati in ogni dove per ucciderli uno per uno. Non oso pensare all’espressione di divertimento di quella ciurmaglia dinanzi ai vaneggiamenti del viziato e bizzoso nobile romano. Mai parola fu più veritiera di quella. Sul finire di quell’anno, tutti i pirati suddetti furono crocifissi. Mi viene da riflettere su come sarebbe andata la Storia, se Cesare, invece di essere preso prigioniero, fosse stato ucciso in combattimento o per sfizio. 

 

Morte ai Cilici

 

Gneo Pompeo Magno
Nel 67 a.C. Pompeo ottenne un mandato proconsolare per iniziare in grande stile una guerra contro i pirati. La proposta presentata del tribuno della plebe Aulo Gabinio, venne ratificata con qualche scetticismo dal Senato. Il generale era considerato l’astro nascente dell’ars bellica romana, un novello Alessandro Magno, seppur qualcuno rumoreggiava riguardo una eccessiva fortuna che non sempre poteva essere tale. A Pompeo vennero affidate 500 navi, 120.000 uomini e 5000 cavalieri, la possibilità di nominare subalterni e un potere decisionale immenso. Divenne in un baleno l’uomo più forte e temuto dell’Urbe. Ma come tutti sappiamo, egli non si sognò mai di sovvertire l’ordine precostituito e il rispetto per l’autorità suprema del Senato non venne mai meno. Contro i pirati, Pompeo diede il meglio di se con una strategia talmente funzionale da sbaragliare il problema in soli tre mesi. Nella prima fase del piano, divise il Mediterraneo in quadranti, assegnando ad ogni area una forza navale sotto il comando di un legato. Le singole squadre dovevano impegnarsi nel mantenere una sorta di contatto tra loro. In tal modo, qualunque nave pirata intercettata si vedeva convergere addosso più avversari da varie direzioni. Ogni tentativo di fuga diventava un’impresa impossibile. I mari vennero ripuliti da tutto ciò che di losco vi navigava. La seconda fase fu quella di portare la guerra direttamente a casa dei pirati, ovvero in Cilicia, attaccando e ponendo sotto assedio le varie fortezze dislocate lungo la costa. A chiunque collaborasse con i romani, veniva garantita la vita e un trattamento di favore una volta terminato il conflitto. Sta di fatto che gli ultimi pirati decisero di affrontare i capitolini a viso aperto. 
Bassorilievo nave romana
Nell’estate del 67 a.C. nella battaglia di Coracesio, i romani sgominarono gli avversari prima in mare e poi in terra, conquistando la loro ultima fortezza, posta a picco sui flutti, sul promontorio di Alaya. Pompeo tornò a Roma con un bottino stratosferico costituito di navi, armi, ricchezze e schiavi. In cambio ottenne il mandato per andarsene in Oriente ad annientare Mitridate VI, nel frattempo logorato dalla campagna militare del buon Lucullo. Quando si dice fortuna…

Dal Medioevo ai Fratelli della Costa

 

Henry Morgan

Onde evitare di trasformare questo articolo in un poema omerico, per l’epoca medievale mi limiterò a citare le attività piratesche di danesi e vichinghi nei mari del Nord e dei Saraceni nel Mediterraneo. Vorrei invece compiere un notevole salto temporale per arrivare all’anno 1656, all’alba delle origini della pirateria “classica”, quella che nel corso dei secoli XVII e XVIII portò alla ribalta delle cronache personaggi del calibro dell’Olonese, Henry Morgan, Capitan Kidd, Barbanera e molti altri. Nelle Antille e nel Mar dei Caraibi, dal XVI secolo, la cattolica Spagna tendeva ad esercitare una forte azione di controllo dei mari onde assicurarsi il monopolio assoluto dei commerci e delle risorse territoriali. Una flotta da guerra potente ed organizzata e il fatto di essere stati i primi europei a colonizzare le terre d’America avevano illuso gli spagnoli di poter vantare un sacrosanto diritto d’esclusiva sul Nuovo Mondo. Le altre nazioni non rimasero a guardare per lungo tempo. Sfruttando una fase di appannamento della potenza iberica, francesi e inglesi provarono ad affacciarsi nel contesto caraibico per esserne spazzati via seduta stante. 

Pirata Barbanera

La strada migliore da conseguire per abbattere il monopolio spagnolo fu quella di dedicarsi ad attività di sotterfugio. Prima fra tutte il contrabbando, in seconda battuta la pirateria vera e propria. Lo scrittore Mario Monti nel saggio che costituisce parte della bibliografia di questo articolo ritiene che “la pirateria, che minò lentamente la potenza economica e marittima spagnola, può dirsi nata in nome del libero commercio.” I bucanieri (dal francese boucanier) erano bande di sbandati, in maggior parte inglesi, francesi e olandesi che si dedicavano alla caccia di frodo, principalmente nell’isola di Hispaniola (odierna Haiti), la seconda in grandezza della Antille. Essi erano soliti affumicare la carne di cacciagione per rivenderla alle navi di passaggio. Alla caccia abbinavano di sicuro altre attività più delinquenziali ai danni dei coloni. Gli spagnoli tollerarono questa situazione fino ad un certo punto. Infine si decisero ad estirpare “il male” e i bucanieri furono costretti a riparare alla Tortuga. Era questa una piccola isola situata a nord della Hispaniola dalla quale era divisa da un canale chiamato “Canal de la Tortue”. Abitata inizialmente da coloni spagnoli, era stata in seguito caratterizzata da una popolazione in maggioranza inglese e olandese. Dopo alcune spedizioni “punitive” e scaramucce, gli iberici decisero di lasciar perdere l’isola che divenne l’ideale covo di chiunque avesse qualche conto da regolare con i “conquistadores”. 

Isla Hispaniola, mappa del 1758

I nostri bucanieri, uomini tutti d’un pezzo e per nulla disposti a piegarsi, non potendo più cacciare, decisero di non starsene con le mani in mano. Col calar delle tenebre presero ad attraversare il “Canal de la Tortue” organizzati in bande, a bordo di imbarcazioni di fortuna. In agguato alle imboccature dei porti della Hispaniola, attaccarono ogni naviglio di medio-piccole dimensioni per poi rifugiarsi alla Tortuga in fretta e furia. Col tempo iniziarono a risalire i fiumi assaltando le fattorie dell’interno dopo averne ucciso i proprietari. L’opera del pirata e scrittore francese Alexandre Olivier Exquemelin “Bucanieri nei Caraibi” ci riporta che nel giugno del 1656, l’anno che ho citato all’inizio di questo paragrafo, una di queste “spedizioni” si trovò a transitare per Capo Tiburòn, lungo il versante occidentale della Hispaniola. Poco distante era all’ancora un massiccio galeone, nientemeno che la viceammiraglia della flotta spagnola. L’occasione era troppo ghiotta per i ventotto disperati al comando di un certo Pierre le Grand, un bucaniere originario di Dieppe in Francia. Col calare della sera, essi si arrampicarono lungo la murata del vascello e vi saltarono dentro armati di sciabole e moschetti. L’equipaggio che in precedenza si era persino accorto della piccola imbarcazione nei pressi, presumibilmente di pirati, non badandovi affatto viste le dimensioni, rimase talmente sorpreso dall’abbordaggio da non fare in tempo a organizzare alcun tipo di resistenza. Le Grand irruppe nella cabina del capitano spagnolo. Quello, impegnato in un solitario, non fece in tempo ad alzare gli occhi dalle carte da gioco che si ritrovò una pistola puntata alla testa. Si narra che la coraggiosa ciurma dei bucanieri, mollati i prigionieri su una scialuppa, diresse il galeone e il suo ricco carico verso l’Europa o le coste canadesi eclissandosi dalla cronache. 

Isla Tortuga nel XVII sec.

Già dal 1640, i bucanieri della Tortuga divennero noti come i “Fratelli della Costa”. La piccola isola poteva considerarsi una sorta di stato a se stante. Francesi e Inglesi, vedendo nei bucanieri dei validi alleati per il controllo dei Caraibi, fecero a gara per tentare di accaparrarsene il favore attraverso accordi ufficiosi e compensi “sotto banco”. A farne le spese furono soprattutto gli spagnoli. Nasceva la pirateria più famosa e conosciuta della Storia.

 

Conclusioni

La pirateria è un argomento vasto e traboccante di personaggi, un capitolo di Storia corposo e intenso che si ripete nei secoli con sempre nuove sfaccettature. Non potrei mai esaurirlo in un solo articolo senza sminuirne la portata. Mi riprometto in futuro di presentarvi qualche pirata di quelli famosi. Ora però vorrei chiudere questo pezzo con un paio di considerazioni. In primis, la pirateria non fu un fenomeno che riguardò solamente il sesso maschile. 

Mary Read e Anne Bonny

Abbiamo notizia ad esempio di due “piratesse” che operarono nei Caraibi nel XVIII secolo. La britannica Mary Read e l’irlandese Anne Bonny fecero parte dell’equipaggio del capitano Jack Rackman detto “Calico”, colui che inventò il Jolly Roger, ovvero la bandiera nera con il teschio bianco. Rackman non fu mai protagonista di grandi imprese, limitando la sua attività di filibustiere ad assalti di pescherecci e piccoli mercantili. Ciò bastò ad attirarsi le ire del governatore spagnolo della Giamaica. Sulle tracce dei nostri fu mandato un famoso cacciatore di pirati il quale nel 1720 catturò tutta la ciurma di Calico Jack. Le uniche ad evitare la morte per impiccagione perché in gravidanza furono proprio Mary e Anne. Le due donne nella loro carriera piratesca avevano mostrato un coraggio e una determinazione senza eguali. Non per nulla vennero soprannominate “la coppia di arpie”, piccolo aneddoto raccontatemi dalla scrittrice Michela Piazza, autrice del romanzo storico “Mary Read, di Guerra e Mare”. Curiosa inoltre la nazionalità degli ultimi pirati processati a Boston nel 1834. La pirateria caraibica si originò per andar contro la Spagna e si chiuse definitivamente con la condanna dell’equipaggio ispanico del Panda, una goletta impiegata “ufficialmente” per il commercio di schiavi con l’Africa.

Dettaglio di Galeone
Un’ultima curiosità riguarda i leggendari banditi fluviali dell’Ohio. Terminata la Guerra d’Indipendenza (1783) che portò alla formazione dei primi Stati Uniti, molti americani decisero di abbandonare la costa per cercare fortuna ad ovest. Qualche cacciatore di pellicce spintosi oltre il conosciuto, reso fin troppo loquace dalla compagnia di una bottiglia di pessimo whisky, aveva narrato di un favoloso paradiso terrestre al di là dei monti Allegheny (Catena degli Appalachi), nella regione a meridione del fiume Ohio. Molte famiglie dell’est, armate della sola speranza, investirono i loro risparmi in una zattera e si misero in viaggio lungo le acque del fiume. La maggior parte dei primi coloni cadde preda dei pirati che organizzati in bande di media grandezza divennero ben presto il terrore dell’Ohio, razziando, depredando ed uccidendo chiunque capitasse a tiro. Ai classici “arrembaggi”, portati di solito col favore delle tenebre, i filibustieri d’acqua dolce alternavano delle vere e proprie messe in scena per attirare le vittime in agguati mortali. Bisognava infatti diffidare di un uomo che stremato, cercava di portare in secco la sua imbarcazione oppure di una donna svenuta lungo l’argine. Tirare dritto stando in guardia era spesso l’unico modo per portare a casa la pelle. Uno degli ultimi pirati dell’Ohio fu un certo James Ford. Egli era diventato un ricco possidente con una bella villa costruita nei pressi del fiume. Da un lato gestiva una serie di attività nel pieno rispetto della legge, dall’altro persisteva nella sua attività di pirata a capo di una folta banda di manigoldi. A tempo perso lo si poteva trovare intento a capitanare la sua chiatta addetta al trasporto di passeggeri che regolarmente scomparivano nelle acque del fiume. La sua banda ancora operava nel 1822. L’introduzione dei battelli a vapore e soprattutto il sopraggiungere della legge lungo la frontiera, comportarono un duro scossone all’attività illecita di questi “particolari” corsari. La pirateria sul fiume Ohio finì con la morte di Ford. Materia di un prossimo approfondimento sarà invece la storia di un filibustiere moderno, l’ammiraglio tedesco Felix Graf von Luckner (1881-1966). Egli combatté il primo conflitto mondiale in modo singolare distinguendosi per il valore e la temerarietà. Fu un pirata ma mi piace definirlo una sorta di “cavaliere dei mari”… ne vedremo il perché… 

BIBLIOGRAFIA

I grandi generali di Roma Antica – Andrea Frediani – Newton Compton Editori

Pirati. Dall’Olonese a Barbanera – Mario Monti – Odoya

Pirati di ieri e di oggi – Massimo Anniati e Fabio Caffio – Rivista Marittima


2 commenti

  1. Andrea, il tuo articolo è una preziosissima miniera di informazioni sulla pirateria! Per il mio romanzo avevo appreso che quelli che comunemente erano definitivi pirati saraceni erano in realtà molto spesso corsari, cioè dotati di un regolare permesso (patente di corsa) per razziare, dai loro signori. Tutto questo attorno all'anno 1000, quindi ben prima del classico avvento dei corsari così come ce li immaginiamo noi. Sono curiosa di leggere il seguito, cioè il prossimo articolo su von Lucker. Complimenti ancora.

  2. Si, gli articoli di Andrea, oltre che istruttivi, sono piacevoli anche per l'accattivante esposizione della materia trattata. Mi associo a Cristina nei complimenti 🙂

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