«sull’impero bizantino il verdetto della storia è unanime. Esso costituisce, senza eccezione alcuna, la forma in assoluto più vile e spregevole che la civiltà abbia assunto finora. Nessuna altra civiltà di lunga durata è stata così interamente priva di qualsiasi forma ed elemento di grandezza. I suoi vizi erano i vizi di uomini che avevano cessato di essere eroici senza aver imparato ad essere virtuosi. Schiavi, e schiavi consenzienti, negli atti e nei pensieri, immersi nella sensualità e nei piaceri più frivoli, i bizantini emergevano dalla loro indolenza soltanto quando qualche sottigliezza teologica o qualche audacia nelle corse dei carri li spingeva a violenti tumulti. La storia dell’impero è un racconto monotono di intrighi di preti, eunuchi e donne, di avvelenamenti, di cospirazioni, di continua ingratitudine e di perenni fratricidi».
Lo scrittore Enrico Bagnato |
Inizierò soffermandomi su «La basilissa» di Enrico Bagnato, scrittore pugliese noto per alcune raccolte di poesie, ma con questo testo al suo esordio quale autore di teatro. L’opera venne rappresentata dapprima a Genova nel 1979 e poi riproposta in numerose città dell’Italia. Il dramma è articolato in atto unico, suddiviso in undici scene. L’azione si svolge a Bisanzio, all’interno del palazzo imperiale. L’argomento è molto conosciuto e indubbiamente costituisce una delle pagine più fosche e drammatiche della storia bizantina. L’autore si è ispirato per la trama alle più diffuse interpretazioni storiografiche. La vicenda reale si svolse in un arco di circa venti anni, dalla morte prematura di Leone IV il Cazaro nel 780 (e l’ascesa al trono di suo figlio Costantino VI) fino alla deposizione di Irene nell’802. Dopo aver assunto la reggenza in nome di suo figlio minorenne, l’imperatrice Irene, originaria dell’iconodula Atene, preparò la condanna dell’iconoclastia, grazie alle risoluzioni del settimo concilio ecumenico (786). Nella lotta tra sostenitori e avversari dell’iconoclastia si inserì il conflitto della madre contro il figlio, divenuto maggiorenne ed insofferente delle ambizioni imperiali di Irene. Le incertezze e gli errori del giovane Costantino portarono al suo isolamento e, a causa degli intrighi di sua madre Irene, fu detronizzato nel 797 da una rivolta militare e catturato da uomini fedeli ad Irene. L’imperatore venne portato nella sala in cui era nato e crudelmente accecato. La sua detronizzazione comportò che vi fosse una donna, per la prima volta, a regnare sull’impero bizantino. Ma una politica fiscale demagogica oltre agli insuccessi militari bizantini contro gli Arabi e all’incoronazione imperiale di Carlo Magno, provocarono una reazione che portò all’incoronazione di Niceforo I nell’802 e all’esilio di Irene che venne deportata per ordine del nuovo imperatore, mentre giungevano a Costantinopoli gli ambasciatori di Carlo Magno con una proposta di matrimonio per Irene.
Costantino VI e Irene |
La Delfina Bizantina – Aldo Busi |
Il Fuoco Greco – Luigi Malerba |
Raffigurazione impiego del “fuoco greco” |
L’autore ha saputo amalgamare tutta l’azione nell’ambiente storico proposto, mescolando elementi d’invenzione con altri rigorosamente accertati dagli storici. Malerba sicuramente si è documentato sul periodo preso in considerazione, sui personaggi proposti e sulla topografia di Costantinopoli e dei sontuosi palazzi imperiali. La figura di Niceforo Foca, uno dei personaggi più tragici della storia bizantina, nel romanzo è sicuramente quella più caratterizzata storicamente, è quasi sempre incombente ma appare poco. Quindi l’attenzione del lettore viene sempre più portata verso il personaggio di Teofano imperatrice, che sarà il perno centrale di tutta la drammatica vicenda. Di Teofano sappiamo che era una donna di grande astuzia e bellezza figlia di un oste e il cui nome era Anastaso. Dopo aver sposato Romano II, cambiò il nome in quello più elegante di Teofano. Alcune cronache danno per certo che avrebbe ucciso, mediante veleno, il suocero Costantino VII e il marito Romano II. Fu determinante nell’ascesa al trono di Niceforo Foca, da cui si fece sposare, e nel suo assassinio ad opera di Giovanni Zimisce, diventato suo amante e complice. Non va dimenticato che fu la madre di due futuri imperatori, Basilio II e Costantino VIII, dei quali fu tutrice e reggente durante la prima minorità. Pertanto Teofano può essere accostata a due personaggi femminili della storia bizantina, famosi per la perfidia e gli scandali. Si pensi a Teodora ed Irene: dell’una Teofano rievoca la lussuria degli anni in cui era stata ballerina e meretrice e dell’altra Teofano richiama alla mente quello sfrenato desiderio di potere che l’aveva indotta ad accecare il figlio, Costantino VI, nella sala in cui era nato. Tutto il romanzo è ricco di personaggi elaborati psicologicamente, ma il personaggio Teofano è ben descritto sia nei suoi incontri d’amore con Giovanni Zimisce sia in quelli, sempre più degradati, con Niceforo Foca. Inoltre Malerba riesce a raccontare l’insaziabile desiderio di potere della donna. Lo scrittore descrive le vicende che si svolgono all’interno dei Sacri Palazzi di Bisanzio, con arte raffinata e coinvolgente. Lascia poco spazio alle immagini e quindi affida ai dialoghi il desiderio degli uomini di conquistare il potere. Ma non parla solo di Bisanzio. Il suo discorso è valido anche per altri tempi ed altri luoghi, dovunque il potere ed una burocrazia corrotta continuino a celebrare i propri riti dietro le mura di un Palazzo impenetrabile. Il mistero del «fuoco greco» può forse essere identificato con il mistero del potere, che riesce ad eliminare ogni traccia di umanità in chi se ne fa possedere. Infatti in questo romanzo il sogno e la malinconia sembrano banditi o sono tutt’al più debolezze concesse a qualche vinto. Così ad esempio Niceforo chiude gli occhi per non vedere la faccia di Zimisce che lo colpisce. Ma è probabile che questi sentimenti sono una estrema illusione, in un tale mondo non rimane altro che le tenebre e l’oblio. Nella lunga serie di personaggi fatali che la letteratura del decadentismo ha creato, quelli «bizantini», soprattutto femminili, sono caratterizzati da un egotismo depravato e lussurioso.
Rivista quindicinale “Cronaca Bizantina” |
La Nave. Tragedia di Gabriele D’Annunzio |
Nelle numerose opere dannunziane è possibile riconoscere anche la traccia lasciata da Bisanzio, a volte lievemente impressa, a volte dispiegata in maniera più profonda. Sicuramente prevalgono in D’Annunzio i miti di Roma e della Grecia classica, a cui bisogna aggiungere l’eredità del Medioevo occidentale e del Rinascimento. Di Bisanzio egli seppe quello che la cultura del suo tempo poteva offrirgli, ottenendone in special modo un’immagine di fasto, di torbida lussuria e di esotismo. Il ricordo di Bisanzio richiamava in D’Annunzio la gloria delle città marinare d’Italia, soprattutto di Genova e di Venezia, diventate con i loro mercanti padrone dell’impero bizantino. Per il poeta pescarese i valori positivi della civiltà bizantina furono la perfezione dell’arte e l’eredità classica. Quando era bambino ambiva ad essere chiamato «Il Porfirogenito» e così lo salutava nei loro incontri parigini il conte Robert de Montesquiou-Fèzensac, eccentrico esteta che ispirò a Proust i tratti di alcuni raffinati personaggi: «O Porfirogenito, mio grande amico!»
BIBLIOGRAFIA
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G. D’ANNUNZIO, La Nave: tragedia, Milano 1908;
A cura di L. R. CRESCI SACCHINI, Carte Segrete di Procopio di Cesarea, Milano 1981.
Interessante!
Enrico Cardillo
Grazie Enrico!