Attila: il flagello di Dio




Attila divenne l’ultimo e il più influente re degli Unni. A partire dal 434 d.C. fino alla sua morte amministrò un impero di grandi dimensioni che partiva dall’Europa centrale fino al Mar Caspio, e dal Danubio al Baltico, mettendo insieme – per la prima ed unica volta nella corso della storia- buona parte delle popolazioni barbariche dell’Eurasia settentrionale (dai Germani agli Slavi). Fu uno spietato nemico dell’Impero romano d’Oriente e dell’Impero romano d’Occidente, penetrò per ben due volte nella penisola balcanica, strinse d’assedio Costantinopoli, raggiunse la Francia arrivando fino ad Aurelianum, allontanò da Ravenna l’imperatore Valentiniano III. Sebbene i suoi domini si siano frantumati dopo la sua morte, viene considerato un personaggio straordinario dalla storia europea, che possiede una memoria differente a seconda della zona presa in esame: uomo feroce, avido e crudele nei territori governati da Roma; guerriero forte e sprezzante del pericolo nelle nazioni che erano state inglobate nel suo impero. In alcuni racconti viene esaltato come un re generoso e degno di ammirazione per doti e virtù. Risulta la figura più rappresentativa di numerose saghe dell’Europa settentrionale ed orientale.
Attila in un dipinto di Eugène Delacroix
Non si conosce esattamente quale fosse la località originaria degli Unni, ma sicuramente provenivano dalle steppe dell’Asia ed erano eccellenti nel guerreggiare a cavallo. Ogni unno possedeva numerosi cavalli il che gli consentiva di utilizzare sempre animali freschi che gli conferivano velocità negli spostamenti e audacia nei combattimenti. Lo storico Giordane così li descrive:«Il loro aspetto è così terribile che intimoriscono assolutamente anche coloro che sono loro pari in battaglia. I loro nemici fuggono atterriti dai loro spaventosi volti scuri. Hanno, per così dire, una massa informe al posto della testa e occhi minuscoli.……. trattano brutalmente i propri figli sin dalla nascita, facendo con la spada un taglio sulle guance dei maschietti in modo che imparino a sopportare le ferite prima di ricevere il nutrimento del latte. Un volto così sfregiato dalla spada deturpa il naturale bell’aspetto di una barba e i giovani sono brutti e crescono senza barba….. Nonostante abbiano corpo di uomini, sono feroci come bestie selvagge»

Gli Unni erano nomadi, raggiungendo sempre nuovi territori dopo aver razziato quelli in cui si erano stabiliti. In questo modo dalle steppe dell’Asia arrivarono alla pianura ungherese e ai confini dell’Impero romano d’Oriente. Il fiume Danubio fu luogo d’incontro dove i Romani commerciarono con essi oro, sete e spezie in cambio di cavalli e schiavi. Inoltre ai Romani piacque che gli Unni avessero occupato i territori posti a nord del Mar Caspio ed infastidissero così i Persiani Sassanidi, nemici storici di Roma.

Attila divenne re in età matura. Interessante è la sua descrizione, offertaci dallo storico Giordane :«Egli camminava in modo altezzoso e si guardava intorno roteando gli occhi. La forza di quel carattere altero si manifestava in ogni movimento del corpo. È certo che amasse la guerra, ma si conteneva, indulgente verso coloro cui concedeva protezione, benevolo nei confronti dei supplici e acuto nel giudicare. Era basso, col torace ampio e tondo e la testa grossa. Aveva occhi piccoli e una rada barba brizzolata. Le sue origini erano chiaramente evidenti nel naso piatto e nella carnagione scura (Storia dei Goti, 180)».

Area influenza dell’impero di Attila
Teodosio II, imperatore d’Oriente, era costretto a versare al precedente re unno, Rugila, trecentocinquanta libbre d’oro affinchè difendesse i confini settentrionali dell’impero. Attila decise di raddoppiare il tributo dovutogli ottenendo in aggiunta che i Romani non stringessero alleanza con gli avversari degli Unni. Inoltre il suo popolo avrebbe potuto liberamente commerciare nei territori dell’impero romano. Tuttavia l’impero rappresentava un boccone troppo succulento perché Attila non potesse prenderlo in considerazione. Nel 447 gli Unni varcarono i confini dell’Impero romano d’Oriente dirigendosi verso Costantinopoli, ma la città risultò inespugnabile grazie alle sue imponenti mura, pertanto raggiunsero la Grecia. A questo punto Teodosio aumentò il versamento annuale in oro agli Unni, che aveva ormai toccato le duemilacento libbre. Inoltre Attila volle come suo possedimento un’ampia zona lungo il medio Danubio. L’imperatore d’Oriente, corrompendo alcuni comandanti del re unno, cercò di farlo assassinare ma l’azione non andò a buon fine. Nel 450 Teodosio esalò l’ultimo respiro. Divenne imperatrice la sorella Pulcheria, che convolò a nozze con il valente generale Marciano il quale stabilì che non si dovesse più versare il tributo agli Unni. Intanto Attila si accingeva ad invadere l’Impero romano d’Occidente, volendo sposare Onoria, sorella dell’imperatore Valentiniano. Sembra infatti che la stessa avesse richiesto l’aiuto del re unno, spedendogli una missiva ed un anello come pegno. Sicuramente la spedizione di Attila fu accuratamente preparata ed Onoria rappresentò solamente un escamotage, addotto per mascherare il vero motivo dell’invasione. Gli Unni (tra i trecentomila ed i settecentomila) oltrepassarono così il Reno, raggiungendo la Gallia. A difesa della Gallia vi era il generale Flavio Ezio, valido successore di Stilicone, che possedeva una conoscenza approfondita degli Unni. Egli, con l’appoggio dei Franchi e dei Visigoti, poté formare un esercito in grado di opporsi ad Attila. In un primo momento però furono i vescovi cristiani delle più importanti città della Gallia a predisporre le difese. Di notevole interesse è ciò che ci dice lo storico Ammiano Marcellino sugli Unni impegnati in guerra :«Per recarsi in battaglia formano colonne riempendo l’aria delle loro grida selvagge e dissonanti. Generalmente non hanno un regolare ordine di battaglia. Si muovono rapidi e all’improvviso, ora disperdendosi, ora riunendosi in blocchi non compatti, ora seminando distruzione per la pianura, ora superando a frotte i bastioni e razziando il campo quasi prima che ci si accorga del loro avvicinamento. Bisogna ammettere che sono guerrieri eccezionali. Combattono a distanza servendosi di ossi aguzzi ingegnosamente fissati alle aste delle armi. Da vicino, combattono con spade e mentre il nemico è intento a respingere il loro forsennato attacco gli gettano sopra una rete in modo da intrappolarne le membra perché non possa né camminare né combattere (Storie, 31, 2, 9)».
Attila nella battaglia dei Campi Catalaunici

Gli eserciti si scontrarono il 20 giugno del 451 nella battaglia di Chalôns, conosciuta più come «Campi Catalaunici», fondamentale per la civiltà occidentale. Se Ezio non avesse vinto, oggi non si potrebbe parlare di civiltà europea. I contendenti compresero bene che chi si fosse impossessato della parte più elevata del luogo dello scontro avrebbe avuto la meglio sul nemico. I Romani ed i loro alleati (Visigoti e Franchi) riuscirono nell’intento e misero in fuga gli Unni, mentre i Visigoti con la cavalleria non davano tregua al nemico che abbandonava precipitosamente il campo di battaglia. Lo storico Giordane descrive con accuratezza ciò che accadde :«I combattimenti divennero corpo a corpo, feroci, violenti, confusi e senza il benché minimo respiro. Nessuna saga antica narra di un conflitto simile. Vennero compiute gesta tali che nessun uomo audace che avesse perduto quest’incredibile spettacolo poteva aspettarsi di assistere a qualcosa di altrettanto terrificante in tutta la sua vita. I nostri anziani raccontano che il sangue dei cadaveri si trasformò in un ruscelletto che scorreva per la piana gettandosi in un torrente. Coloro a cui le ferite provocavano una sete terribile bevevano acqua con tale aggiunta di sangue che nella loro sofferenza pareva fossero costretti ad abbeverarsi del sangue che sgorgava dalle loro stesse ferite (Storia dei Goti, 207)».

Il generale Ezio non volle portare l’assalto finale all’esercito unno. Gli storici forniscono diverse spiegazioni. Per alcuni Ezio desiderava che Attila facesse da contrappeso ai Visigoti, per altri senza il pericolo unno Ezio avrebbe perso la sua importanza presso la corte dell’Impero romano d’Occidente. È invece molto probabile che il comandante romano, dopo aver sconfitto Attila, fosse intenzionato a preservare le sue truppe per i diversi pericoli incombenti su Roma. Il re unno oltrepassò con il suo esercito il Reno e non cercò mai più di invadere la Gallia. Recuperate le forze, nel 452 assalì l’Italia con l’intento di saccheggiare Roma. Nell’Italia settentrionale gli Unni espugnarono e rasero al suolo Concordia, Altinum (Altino) e Patavium (Padova). Un buon numero di cittadini dell’Italia settentrionale si rifugiò sulle isole della laguna veneta, dove successivamente sarebbe stata fondata Venezia. Il generale Ezio decise di rimanere acquartierato con le sue truppe in Gallia. Sicuramente le relazioni con la corte imperiale erano improntate sulla diffidenza. Inoltre senza l’appoggio degli alleati Visigoti non era certamente in grado di affrontare in battaglia l’esercito unno. In ultimo lo stesso sapeva bene che le carestie e le pestilenze presenti nell’Italia settentrionale avrebbero fermato l’avanzata di Attila. Il re unno era in procinto di passare il Mincio, quando gli si presentò una ambasciata capeggiata da Papa Leone I. Lo storico Prospero d’Aquitania narra, trecento anni più tardi, quanto accaduto :«…..All’imperatore e al Senato, come anche al popolo romano, nessun piano proposto per opporsi al nemico parve migliore di quello d’inviare dei legati al ferocissimo re per implorare la pace. Il nostro santissimo Papa Leone, confidando nell’aiuto di Dio, che mai diserta i giusti nelle loro prove, si assunse il compito, accompagnato da Avieno, uomo di rango consolare, e dal prefetto Trigezio. Il risultato fu quello preannunziato dalla sua fede, perché quando ebbe ricevuto l’ambasceria, il re fu talmente colpito dalla presenza del sommo prelato che ordinò alla sua armata di cessare la guerra, e dopo aver promesso la pace, se ne tornò oltre il Danubio (Cronaca, An. 452)». Il re unno abbandonò l’Italia, minacciando che sarebbe tornato se non gli fosse stata consegnata Onoria insieme alla dote. Valentiniano considerò di nessun valore le intimidazioni di Attila e Onoria non raggiunse Attila. Successivamente lo stesso mandò dei suoi rappresentanti presso l’imperatore Marciano a Costantinopoli, promettendo guerre e violenze se non fosse stato ristabilito il pagamento in oro ottenuto da Teodosio. Ma l’imperatore d’Oriente non si fece intimorire.

Incontro tra Papa Leone I e Attila di Raffaello Sanzio
Attila, volendo accrescere il suo prestigio e sottomettere nuovi nemici, assalì gli Alani. I Visigoti, capeggiati dal re Torismondo, vennero in aiuto degli Alani. Gli Unni ebbero la peggio in battaglia e Attila da quel momento non fu più considerato un comandante invincibile.
Gli Unni praticavano la poligamia ed Attila aveva numerose mogli. La volontà di estendere il numero delle mogli fu la sua disgrazia. Si sposò con una ragazza di nome Ildico, di rara bellezza, tanto che ancora oggi in Ungheria molte donne portano questo nome. Durante i festeggiamenti Attila si ubriacò e stendendosi sul letto nuziale ebbe una grave emorragia dal naso. A causa della sua ubriachezza non cambiò posizione per fermare la perdita di sangue che raggiunse i polmoni. In poco tempo il re unno morì. Lo storico Giordane ci informa sul funerale di Attila :«Il suo corpo fu posto in una tenda di seta in mezzo a una pianura, esposto all’adorazione generale. I migliori cavalieri fra tutti gli Unni cavalcavano attorno alla tenda in cerchio, come nei giochi dell’arena. Nel luogo in cui era stato portato, così recitava le sue gesta il lamento funebre :”Questo è il signore degli Unni, il re Attila, figlio di Mundzuk, signore delle più audaci tribù, unico sovrano di Sciti e Germani. Nessun uomo ha fatto quanto lui. Egli ha conquistato città e terrorizzato i Romani d’Oriente e Occidente. Solo per le loro suppliche riceveva un tributo annuale e si asteneva dai saccheggi. E tanto l’ha favorito la sorte che, dopo tutte queste gesta, egli non è morto per mano dei suoi nemici o tradito dagli amici, ma in seno ad un popolo in pace, felice, lieto e senza dolore” (Storia dei Goti, 257-260)». Attila venne sepolto insieme alle armi strappate ai nemici e a buona parte delle ricchezze saccheggiate. L’inumazione avvenne di notte ed in una località nascosta. Inoltre, affinché nessun uomo potesse sapere dove fosse stato sepolto Attila, colui che si era occupato di tale incombenza venne immediatamente messo a morte.
Con la dipartita del re unno i suoi figli non seppero decidere chi dovesse essere la nuova guida, perdendo la tribù unna la sua unità. Ben presto i diversi popoli vinti da Attila si ribellarono, acquistando nuovamente la libertà. Le numerose tribù germaniche si riappropriarono dei territori perduti. Vi è un paese in Europa che ha derivato il suo nome dagli Unni, cioè l’Ungheria. In questa nazione, ancora oggi, Attila è considerato un personaggio straordinario e il suo nome, insieme a quello della sua ultima moglie Ildico, è ampiamente diffuso.
Nella letteratura scandinava il re unno viene menzionato nel poema epico «La ballata di Hloth e Anatyr» e nella «Saga di Hervoir». È il personaggio principale del romanzo storico «Attila The Hun» del romanziere tedesco Louis De Wohl, conosciuto in Italia con il titolo «Attila. La tempesta dall’Oriente». 

Davvero interessante è l’opera cinematografica «Attila l’Unno», girata nel 2001 e diretta da Dick Lowry. Il film mette in risalto la contrapposizione fra due civiltà e due uomini che le hanno simboleggiate, impersonando le virtù più importanti: Attila re degli Unni e il comandante romano Flavio Ezio. 

 

 

BIBLIOGRAFIA

M. CALZOLARI, Papa Leone e Attila al Mincio, Editoriale Sometti, Mantova 2013;

L. DE WOHL, Attila la tempesta dall’oriente, Rizzoli, Milano 2010;

P. HOWARTH, Attila re degli Unni, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1997;

C. KELLY, Attila e la caduta di Roma, Bruno Mondadori, Milano 2009.


2 commenti

  1. Complimenti a Giampiero Lovelli per il bellissimo articolo.
    Ale Rugolo

  2. Ringrazio sentitamente Ale Rugolo.
    Giampiero Lovelli

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