San Francesco De Geronimo venne alla luce – primo di ben undici figli – a Grottaglie (Taranto) nel dicembre del 1642 in una famiglia agiata, che accolse pienamente i principi della religione cattolica. Il padre Gianleonardo aveva la proprietà di terreni e di uno stabilimento in cui si conciavano le pelli. Francesco sin da piccolo provò tanto affetto per gli indigenti da suscitare una notevole inquietudine nella sua genitrice. Un giorno la madre gli diede alcuni spiccioli per comprare del pane, ma egli li regalò ai poveri. Pertanto fu rimproverato duramente, ma lo stesso le replicò con molto riguardo: «Guardate nell’armadio e vedrete se il Signore ci lascerà mancare il necessario oggi!». Una volta apertolo sua madre vide che era pieno di pane dall’odore intenso e gradevole. Frequentò nel suo paese natio, fino all’età di diciassette anni, una scuola diretta da ecclesiastici votati alla trasmissione di conoscenze al complesso dei cittadini che costituivano la parte più numerosa e meno agiata del paese. Francesco non solo era abitualmente presente alle lezioni, ma ebbe l’onore speciale di poter vivere insieme a quei devoti preti, che molto presto lo incaricarono della custodia e della pulizia della chiesa nonché di svolgere la professione di insegnante della dottrina cristiana in forma riassunta e semplificata ai ragazzi. A diciassette anni entrò nel seminario diocesano di Taranto per proseguire i suoi studi (in particolar modo quelli teologici), desiderando ardentemente divenire un ministro ufficiale del culto cattolico. Divenne suddiacono nel 1664 e successivamente diacono. Nel 1665 si recò a Napoli, con parere favorevole dei suoi insegnanti, per completare i suoi studi presso i Gesuiti, conseguendo nel 1668 la laurea in Diritto civile e canonico ed in Teologia. Intanto due anni prima, nel 1666, era divenuto prete e nel 1670 entra nella «Compagnia di Gesù» (in latino «Societas Iesu»). A partire dal 1671 fino al 1674 ebbe dimora fissa nella diocesi di Lecce, dove si fece apprezzare (come era già avvenuto da studente) per il suo grande ingegno, per la sua disposizione a fare il bene per la gioia di farlo, senza quindi attendersi alcun utile, e per essere un eccellente divulgatore della parola di Dio. Coloro che erano tra l’adolescenza e la maturità arrivarono a soprannominarlo il «prete santo».
Viene raccontato come una famosa prostituta di nome Caterina, tutte le volte che il Santo annunciava la parola divina vicino alla sua «Casa di piacere», lo importunasse con burle e canzonette. Pertanto San Francesco la invitò gentilmente ad abbandonare questo suo atteggiamento, ma ella non gli prestò la benché minima attenzione. Il Santo le preannunciò che dopo otto giorni sarebbe morta. Trascorsa una settimana San Francesco si ripresentò a fornire insegnamenti morali a poca distanza dalla «Casa di piacere». Urlò: «Caterina è morta». Un grande numero di persone entrò nel suo alloggio e la trovò priva di vita sul suo giaciglio. Allora il Santo le strillò: «Caterina dove sei?» La peccatrice gli replicò, riprendendo a vivere temporaneamente: «mi trovo all’inferno!». Coloro che hanno scritto la sua biografia rammentano come San Francesco usasse annunciare la parola divina sotto le aperture praticate sui muri esterni degli edifici delle donne dedite, purtroppo, al commercio di prestazioni sessuali, che non provavano più alcuna gioia di vivere. Vengono citati numerosi ravvedimenti conseguenti al riconoscimento dei propri errori. Benché fosse molto impegnato rivolgeva le sue attenzioni anche ai marinai, ai detenuti, agli infermi e a chi esercitava un’attività lavorativa a livello familiare. Particolare cura dedicò ai fanciulli e agli indigenti. Moltissimi bambini furono rimessi in salute con il segno della croce o cospargendoli con l’«olio di San Ciro». Coloro che disponevano di beni e mezzi economici in abbondanza donarono al Santo quantità cospicue di denaro ed indumenti non più utilizzati che egli regalava immediatamente ai poveri. Sebbene per quasi quarant’anni Napoli fu beneficata dalla sua instancabile azione missionaria, raggiunse pure l’Abruzzo, la Puglia ed il Sannio per allargare la sua attività evangelizzatrice. Era solito dichiarare: «io non vado in cerca di anime devote, ma delle più perdute e disperate». Tantissima gente andava a fargli visita quotidianamente per i più disparati motivi e verificavano come fosse in preghiera (rivolgendosi a Dio con la mente o con parole, al fine di implorarne l’aiuto) o ad applicarsi nello studio della teologia.
Nel 1707 gli Austriaci conquistarono Napoli, mandando via gli Spagnoli. In genere in queste situazioni il popolo si lasciava andare a sommosse e razzie, ma in quella occasione l’autorevolezza derivante da superiorità morale del Santo grottagliese riuscì ad evitare la minaccia. Inoltre fece in modo da rendere impossibile che gli Spagnoli, rinchiusi nelle fortificazioni, colpissero la città con bombe o tiri d’artiglieria, facendo da paciere tra i due contendenti come certificano i diversi procedimenti per la santificazione. In qualunque luogo da lui frequentato (abbazie di monaci e monache, carceri, porto di Napoli) sapeva consolare, ammonire e persuadeva a fare la conoscenza di Gesù Cristo eucaristico e della Vergine Maria.
BIBLIOGRAFIA
M. CORCIONE, La storia e la città di Francesco de Geronimo, Grottaglie 1982;
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R. QUARANTA – S. TREVISANI, Grottaglie. Vicende, arte, attività della città della ceramica, Grottaglie 1986;
R. QUARANTA – S. TREVISANI, Grottaglie. Uomini illustri, Galatina 1989.