Flavio Claudio Giuliano: l’imperatore apostata


 

Flavio Claudio Giuliano, imperatore romano e grande studioso di filosofia, fu l’ultimo monarca che professò di avere una concezione dell’esistenza ispirata ai valori tipici della civiltà classica, in quanto contrapposti a quelli cristiani. Cercò, senza riuscirci, di ripristinare l’antico culto degli déi romani dopo che esso era caduto nell’oblio a vantaggio del Cristianesimo a partire da suo zio Costantino I e dal figlio Costanzo II. 

Componente della stirpe costantiniana (che si reputava erede di Claudio il Gotico e dei Flavi), divenne Cesare in Gallia dal 355. Successivamente un golpe dell’esercito nel 361 e il simultaneo decesso del cugino Costanzo II fecero sì che egli diventasse imperatore fino alla sua dipartita, verificatasi nel 363 quando erano in pieno svolgimento operazioni militari romane in Persia. Venne designato con il nome di Giuliano II o Giuliano il Filosofo. I cristiani invece lo chiamarono Giuliano l’Apostata ritenendolo un avversario, sebbene durante il suo governo avesse dimostrato grande indulgenza verso ogni confessione religiosa, includendo le molteplici eresie sviluppatesi in seno al Cristianesimo. Giuliano pubblicò diversi testi di natura filosofica, religiosa, commemorativa e di contestazione, in alcuni dei quali espresse un giudizio negativo sul Cristianesimo. Il modello filosofico, che ebbe un grande influsso sull’imperatore, fu il neoplatonismo.

Venne alla luce nella bella città di Costantinopoli nel 331 o 332. Suo padre, Giulio Costanzo, aveva in comune con Costantino il Grande uno solo dei genitori. Sua madre Basilina cessò di vivere solamente alcuni mesi dopo averlo generato. Si racconta che la stessa avesse avuto la visione in sogno di partorire un novello Achille, non comprendendo se intendere positivamente il presagio dell’atto del venire al mondo di un figlio che sarebbe stato di grande nobiltà morale e forza d’animo, ma caratterizzato da una esistenza corta e da un decesso non dovuto a cause naturali. Giuliano rimpianse sempre la madre che non vide mai e le intitolerà un centro abitato di nuova istituzione, Basilinopoli.

Giuliano II rappresentato su una moneta

Trascorse la sua infanzia a Nicomedia, dove lo schiavo evirato Mardonio, in passato insegnante privato della madre, ebbe il compito di fornirgli una formazione culturale adeguata. Mardonio era un goto di veneranda età ormai da parecchi anni totalmente inserito nella comunità romana, profondo conoscitore della civiltà greca. Egli insegnò a Giuliano le opere classiche ed in special modo Omero. Secondo le pratiche educative dell’epoca, la cultura di un uomo istruito consisteva soprattutto nell’apprendere e ripetere esattamente brani estesi di Omero e di Esiodo, affinché quel mondo che ispirava delicate fantasie e sentimenti elevati, etico, evoluto, pieno di rispetto e di devozione, lasciasse una impronta incancellabile nell’animo della persona. Con lo studio successivo dell’arte e della tecnica oratoria di Demostene ed Isocrate, si spingeva lo studente a riflettere ed esternare le proprie idee o i propri sentimenti rifacendosi all’insieme delle concezioni, delle credenze, delle opinioni e allo stile della civiltà classica. Ed in questo modo operò Mardonio con Giuliano. Pertanto lo schiavo evirato lo esortava affermando :«Non lasciarti trascinare dai tuoi coetanei che frequentano i teatri ad appassionarti per gli spettacoli. Ami le corse dei cavalli? Ce n’è una bellissima in Omero. Prendi il libro e leggi. Ti parlano di mimi e danzatori? Lascia dire. Danzano assai meglio i giovinetti Feaci. E là troverai il citaredo Femio e il cantore Demodoco. E leggere, in Omero, certe descrizioni di alberi è più piacevole che vederli dal vero. E leggerai della selvosa isola di Calipso, dell’antro di Circe e del giardino di Alcinoo»

In seguito a Costantinopoli il grammatico pagano Nicocle di Sparta, grande studioso di componimenti omerici, lo introdusse allo studio della metrica, letteratura, storia, geografia e mitologia. Giuliano fece in modo di avere le annotazioni riassuntive del celebre oratore pagano Libanio, terminando i suoi studi superiori con la filosofia, nella città di Pergamo, nella scuola neoplatonica del vecchio Edesio di Cappadocia e di due suoi discepoli (Eusebio di Mindo e Crisanzio di Sardi). Nella dotta città di Atene conobbe ed incontrò spesso il filosofo neoplatonico Prisco, discepolo di Edesio, frequentando la sua abitazione e venendo a conoscere i componenti del suo nucleo familiare. Entrò in contatto, seppure fuggevolmente, con i dottori della chiesa Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo, il quale di Giuliano ha fornito una precisa e malevola descrizione: «Non prevedevo nulla di buono vedendo il suo collo sempre in movimento, le spalle sobbalzanti come piatti di una bilancia, gli occhi dallo sguardo esaltato, l’andatura incerta, il naso insolente, il riso sguaiato e convulso, i movimenti della testa senza ragion d’essere, la parola esitante, le domande poste senza ordine né intelligenza e le risposte che si accavallavano le une con le altre come quelle di un uomo senza cultura».

Intanto nel 355 Costanzo II disponeva l’omicidio del comandante Claudio Silvano, a capo delle unità militari dell’esercito romano dislocate in Gallia, che aveva tentato invano di divenire imperatore. La situazione, in quel territorio contiguo con le pericolose tribù germaniche, era peggiorata. Franchi ed Alemanni raggiungevano la sopramenzionata provincia romana impadronendosi delle località fortificate, mentre i Quadi razziavano la Pannonia ed in Oriente i Sasanidi erano interessati al possesso dell’Armenia. Il sei novembre dello stesso anno Giuliano venne nominato «Cesare» in Gallia. In dicembre si diresse nella provincia romana accompagnato solamente da 360 legionari. Non possedeva alcuna competenza militare e fece in modo di venire in possesso almeno di una conoscenza teorica grazie allo studio dei «Commentari» di Giulio Cesare e delle «Vite parallele» di Plutarco. Fu pure un espediente per perfezionare la sua non eccelsa padronanza della lingua latina. Giuliano sconfisse più volte i Franchi e gli Alamanni (questi ultimi in particolar modo nella battaglia di Strasburgo), fortificando poi le frontiere, riconquistando roccaforti romane di vecchia data e conseguendo la resa dei soldati romani catturati. Infine Giuliano, con il suo esercito, svernò nella città di «Lutetia Parisiorum», l’odierna Parigi. Interessante è la rappresentazione che ne fa Giuliano: «la mia cara Lutezia. I Celti chiamano così la cittadina dei Parisii. È un’isola non grande, posta sul fiume, e un muro la cinge tutta intorno, ponti di legno permettono il passaggio da entrambi i lati, e raramente il fiume cala o s’ingrossa, in generale rimane uguale d’estate e d’inverno, offrendo un’acqua dolcissima e purissima a chi vuole vederla o berla. Proprio perché è un’isola, di lì soprattutto gli abitanti devono attingere l’acqua […] presso di loro cresce una buona vite, vi sono inoltre alcuni fichi che hanno disposto proteggendoli d’inverno»

Edward Armitage: Convito di Giuliano, 1875

Nelle zone conquistate Giuliano volle formare un governo provinciale incorruttibile e cercò con tutte le sue forze di dare nuova vitalità e consolidare la funzione delle città.

Il tre novembre del 361 cessava di vivere Costanzo II e Giuliano venne così acclamato imperatore. Benché già dal 351 o 352 non si sentiva più cristiano, avendo abbracciato l’antico culto degli dei, aveva celato questa sua trasformazione interiore a chiunque, soprattutto all’imperatore Costanzo II. Solamente in seguito alla dipartita dello stesso, Giuliano manifestò apertamente la sua adesione religiosa al dio solare Helios. A Costantinopoli al termine dell’anno annunciava in modo solenne ed ufficiale una piena tolleranza nei riguardi di ogni confessione religiosa, pertanto vennero aperti di nuovo al popolo gli edifici dedicati al culto delle divinità e officiate le cerimonie religiose, mentre rientrarono quegli ecclesiastici che a motivo dei diverbi tra ortodossi e ariani erano stati cacciati dalle loro località di residenza. Sebbene la tolleranza religiosa fosse ritenuta da Giuliano indispensabile per una pacifica convivenza, è da ritenere verosimile, come dice lo storico Ammiano Marcellino, che il neo imperatore pensasse che :«la tolleranza favorisse le dispute tra i cristiani […] L’esperienza gli aveva insegnato che non ci sono belve più pericolose per gli uomini di quanto non siano spesso i cristiani nei confronti dei loro correligionari».

Campagna persiana di Giuliano II

Giuliano non poté rivolgere pienamente le proprie cure al rafforzamento interno dell’impero, visto che Roma stava guerreggiando con i Persiani. Pertanto alcune innovazioni vennero ideate ed esaminate mentre egli era in viaggio o in qualche accampamento militare. Sicuramente i primi quattro mesi del 362, vivendo a Costantinopoli, ebbe maggior tempo da dedicare alle sue riforme. Ammiano Marcellino lo elogia come «philopolis» (amico delle città), poiché fece di tutto per dare vivacità e dinamismo ai centri abitati, nonché per la sua magnanimità. Lo storico, però, preferisce tacere sullo zelo di Giuliano per la ristrutturazione o la costruzione di nuovi edifici dedicati al culto di una antica divinità. Nonostante la tolleranza religiosa l’imperatore emanò una serie di provvedimenti che colpivano i cristiani, come il divieto di erigere edifici in cui celebrare la liturgia cristiana, l’eliminazione dell’esenzione da imposte, ma fu tuttavia obbligato a conferire a cristiani mansioni di responsabilità nell’esercito e nel governo. La sua disposizione più nota fu l’«editto dei retori» del giugno del 362, che determinava l’inconciliabilità tra il dichiararsi cristiano e la trasmissione di conoscenze nelle istituzioni educative gestite dallo Stato. Il pensiero di Giuliano era che i docenti statali dovessero caratterizzarsi per la loro conformità ai principi morali prima ancora che per la loro competenza e preparazione. L’«editto dei retori» contemplava che i docenti necessitassero di una autorizzazione, ottenuta dalle amministrazioni comunali, per svolgere la professione di insegnante. Queste autorizzazioni dovevano inoltre essere confermate dallo stesso Giuliano. L’imperatore pretendeva conformità fra la fede religiosa dei docenti e le discipline impartite. Secondo il suo pensiero autori come Omero, Erodoto e Tucidide e tanti altri non potevano essere spiegati e compresi da uomini che non credessero nell’esistenza degli dei. In una sua missiva illustra molto bene il valore dell’«editto dei retori» :«È necessario che tutti gli insegnanti abbiano una buona condotta e non professino in pubblico opinioni diverse da quelle intimamente osservate. In particolare, tali dovranno essere coloro che istruiscono i giovani e hanno il compito di interpretare le opere degli antichi, siano essi retori, grammatici e ancor più sofisti, poiché questi ultimi, più degli altri, intendono essere maestri non di sola eloquenza ma anche di morale, e sostengono che a loro spetta l’insegnamento della filosofia civile. […] Io li lodo perché aspirano a elevati insegnamenti, ma li loderei di più se non si contraddicessero e non si condannassero da soli, pensando una cosa e insegnandone un’altra. Ma come? Per Omero, Esiodo, Demostene, Erodono, Tucidide, Isocrate e Lisia, gli dèi sono guida e norma dell’educazione: forse che costoro non si reputavano devoti, chi a Hermes, chi alle Muse? Trovo assurdo che coloro che spiegano i loro scritti disprezzino gli dèi che quelli onoravano. Ma, anche se a me pare assurdo, non dico con questo che essi debbano dissimulare le loro opinioni di fronte ai giovani. Io li lascio liberi di non insegnare ciò che non credono buono ma, se invece vogliono insegnare, insegnino prima con l’esempio […] Finora, si avevano molte ragioni per non frequentare i templi e la paura, ovunque avvertita, giustificava la dissimulazione delle vere opinioni sugli dèi. Ora, poiché questi dei ci hanno reso la libertà, mi sembra assurdo che si insegni ciò che non si crede giusto. Se i maestri cristiani considerano saggi coloro di cui sono interpreti e di cui si dicono, per così dire, profeti, cerchino prima di rivolgere la loro pietà verso gli dèi. Se invece credono che questi autori si siano sbagliati circa le entità da venerare, vadano allora nelle chiese dei Galilei a spiegare Matteo e Luca. Voi affermate che bisogna rifiutare le offerte dei sacrifici? Bene, anch’io voglio che le vostre orecchie e la vostra parola, come dite voi, si purifichino astenendosi da tutto ciò a cui io ho sempre desiderato partecipare insieme con coloro che pensano e fanno quello che io amo». Ovviamente i cristiani criticarono aspramente l’«editto dei retori», ma anche coloro che avevano una concezione dell’esistenza ispirata ai valori tipici della civiltà classica ed i sostenitori di Giuliano ritennero questo provvedimento esagerato.

In primavera inoltrata Giuliano si allontanò da Costantinopoli, spostandosi con scarsa velocità verso la Siria. Da questa zona di confine proveniva, da tempo immemorabile, il più grave pericolo per l’Impero rappresentato dai Persiani, gli avversari storici dei Romani. Solo due anni prima, guidati da Sapore II, erano riusciti a sconfiggere le truppe di Costanzo II impadronendosi di Singara e Bezabde. Solamente la notizia di un nuovo imperatore a Costantinopoli, divenuto famoso per aver più volte battuto i Germani, aveva fermato il potente re persiano sulle sponde dell’Eufrate, incerto sulle reali doti e capacità di quello sconosciuto nemico. Giuliano arrivò ad Antiochia e la città lo ospitò con grande gioia. Per risultare benvoluto dagli antiochesi, desiderosi di far baldoria e di svaghi, stabilì (contrariamente alle sue inclinazioni) che vi fosse una manifestazione sportiva all’ippodromo, ridusse inoltre i tributi di un quinto, cancellò quelli ancora non versati ed accordò appezzamenti di terra dello Stato a cittadini nullatenenti, affinchè provvedessero al loro sostentamento. Ma la concordia tra il frugale imperatore e i residenti della superficiale Antiochia non durò comunque a lungo. Il sentimento di avversione di Giulinao nei confronti delle rappresentazioni teatrali contrarie al pudore e alla decenza, le sue preghiere quotidiane e le assidue offerte agli dei degli antenati non erano apprezzate in una località in cui i cristiani erano molto numerosi. Pure l’aver voluto abbassare il costo dei prodotti commestibili messi in vendita non conseguì gli effetti desiderati, poiché la riduzione del costo indispettì chi di mestiere esercitava il commercio e causò la diminuzione degli alimenti nei mercati, ledendo ogni cittadino. Essendo in quantità insufficiente il frumento, il cui costo era stato ridotto di un terzo, Giuliano ne comprò grandi quantità dall’Egitto, ma uomini senza scrupoli ne acquistarono molte tonnellate, cedendolo nelle campagne di Antiochia ad un prezzo notevolmente superiore o conservandolo nei propri magazzini, aspettando un rincaro del suo costo. Dopo poco tempo iniziarono a diffondersi brevi componimenti in versi di carattere satirico che schernivano il modo di presentarsi dell’imperatore, troppo trasandato per una persona influente di cui avere rispetto, la sua barba desueta, i capelli scompigliati, la condotta per niente solenne ma la contrario cordiale con tutti, i costumi rigorosi, la carenza di «humor», una assenza di frivolezza e superficialità che era ritenuta esagerata dagli antiochesi, e naturalmente il suo stesso credo ispirato ai valori tipici della civiltà classica, contrapposti a quelli cristiani. 

 Nel marzo del 363 l’imperatore si allontanò da Antiochia per intraprendere la guerra contro i Sasanidi. Alcuni mesi più tardi cessava di vivere, centrato da una arma da lancio. La sua volontà di ripristinare l’antico culto degli dei romani non ebbe successo non tanto per il suo decesso prematuro, ma perché l’intento era divenuto eccessivamente ambizioso e pertanto non più realizzabile.

La sua figura ha attirato l’attenzione di diversi scrittori. Ad esempio nel romanzo storico di Valerio Massimo Manfredi, docente universitario e scrittore, «L’ultima legione», il personaggio principale Romolo Augusto (ultimo imperatore d’occidente) visita una caverna nella splendida isola di Capri, nella quale sono collocate alcune opere scultoree di imperatori romani. La prima che incontra è quella di Giuliano. Si afferma di ritenere verosimile che fu lui a voler edificare quel posto per preservare il gladio di Giulio Cesare. Manfredi si è occupato di Giuliano nel suo programma televisivo «Impero» (puntata «Roma e l’Impero d’Oriente») sulla emittente «La7». 
Invece nel testo «Imperium Solis» del romanziere Mario Farneti, Giuliano non cessa di vivere ma scappa in Britannia e parte per il continente americano dove crea un nuovo impero. Lo scrittore Gore Vidal ha pubblicato un interessante romanzo storico dal titolo «Giuliano», che prende in esame l’esistenza del filosofo-imperatore. 

BIBLIOGRAFIA

G. COPPOLA, La politica religiosa di Giuliano l’Apostata, Edizioni di Pagina, Bari 2007;
M.C. DE VITA, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, Vita e Pensiero, Milano 2011;
M. GRANT, Gli imperatori romani, Newton Compton, Roma 2008;
I. TANTILLO, L’imperatore Giuliano, Laterza, Bari 2001.


2 commenti

  1. Andrea Iannaccone

    Fondamentali gli studi del prof. Ignazio Tantillo sulla figura di Giuliano e sul suo rapporto con Costanzo II.

  2. Bellissimo articolo! L'ho letto con molto interesse. Sin dai tempi del Liceo, i miei personaggi preferiti di Storia Romana e Medievale sono Giuliano l’Apostata e Totila l’Immortale. Nonostante le ovvie differenze di provenienza culturale e di contesto storico-sociale, ho riscontrato alcune singolari analogie tra i due.
    Entrambi avevano gli zii paterni regnanti (Costantino I e Ildibado).
    Entrambi sono stati oggetto di un’accesa demonizzazione da parte delle fonti ecclesiastiche contemporanee. Per quanto riguarda Giuliano l’Apostata, Gregorio di Nazianzo alla notizia della sua morte gioisce per l’estinzione del “tiranno”, “comune nemico e abominio dell’universo”, “furia che molto minacciò sulla terra e molto operò contro il Cielo con la lingua e con la mano». E Gregorio Magno definisce Totila perfidus rex e lo dipinge come un anticristo. Infine, l’agiografia medievale attribuisce a entrambi fantasiosi e feroci martirii.
    Entrambi sono saliti al trono nel mese di novembre (novembre 360 Giuliano, novembre 541 Totila) e sono morti in battaglia nel mese di giugno (26 giugno 363 Giuliano, 30 giugno 552 Totila), per giunta a causa della stessa ferita, provocata da un giavellotto conficcato nel fianco.
    Entrambi hanno adottato misure a favore dei ceti più umili (Totila intraprese una riforma agraria a favore dei servi della gleba, Giuliano fece abbassare i prezzi dei viveri per avvantaggiare degli humiliores).
    Entrambi sono morti senza lasciare figli.
    Entrambe le loro morti hanno avuto come conseguenza la definitiva chiusura di un’epoca (con la morte di Giuliano finisce il paganesimo greco-romano e con la morte di Totila finisce il regno dei Goti).

    A volte la Storia crea delle curiose coincidenze.

    Anna

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