Elena Percivaldi, storica e autrice di saggi, ha pubblicato numerosi libri. Dal momento che ho recensito l’ultima sua «fatica», «La vita segreta del Medioevo» che ha riscosso notevoli apprezzamenti, torno ad averla gradita ospite per la rubrica Inteviste sottoponendo alla sua attenzione alcune domande.

D1. Quando è nato il tuo interesse per il Medioevo?

E’ nato già al liceo grazie a un professore straordinario di latino, grande cultore di Dante, che mi ha fatto venire voglia di studiare il Medioevo per capire la simbologia che regge la Divina Commedia. Col tempo ho focalizzato sempre meglio questa passione e sono entrata all’università con la chiara idea di specializzarmi su questo periodo. Roberto Perelli Cippo, il professore di Storia Medievale dell’Università degli Studi di Milano che mi ha seguito nel corso degli studi e con cui mi sono laureata, grazie alla sua signorilità e competenza ha infine fugato ogni possibile dubbio. In un certo senso, è lui il “responsabile” di tutto… Sono stata fortunata: la mia passione è diventata anche il mio lavoro. E adesso a mia volta cerco di far appassionare chi legge i miei libri e sente le mie conferenze alla storia. Spero tanto di riuscirci.

D2. Quali sono state le motivazioni che ti hanno indotto a scrivere «La vita segreta del Medioevo»?

Vita quotidiana nel Medioevo
Mi ero stancata di sentir bollare sempre come “medievale” qualsiasi cosa fosse considerata retrograda, arretrata e oscurantista. Mille anni secondo la partizione generalmente accettata per il cosiddetto “Medioevo”, ossia dalla caduta dell’impero romano d’occidente (476) alla scoperta dell’America (1492), sono tantissimi. Come si può pensare che non ci siano sfumature e differenze in così tanto tempo e a seconda dei luoghi? E che un’intera epoca possa essere considerata oscura a prescindere? Cos’hanno in comune Carlo Magno e Lorenzo il Magnifico? Praticamente nulla, eppure fanno entrambi parte del “Medioevo”… Lasciando sullo sfondo i grandi fatti militari e gli scontri epocali, i nomi e le date che hanno fatto la Storia e che si trovano già sui manuali, ho cercato allora di raccontare gli uomini e le donne del Medioevo mostrando gli aspetti meno noti ma sicuramente più interessanti della loro vita. Cosa mangiavano? Come si vestivano? Come si divertivano? In cosa credevano? Come facevano l’amore? Che rapporto avevano con la morte? Quali le loro paure e i loro terrori? Tutte cose che nel tempo sono state fatte e percepite in modo diverso. Ne esce un’immagine assai meno granitica e scura. Anzi, direi che si tratta di uno splendido quadro, con luci e ombre certo, ma ricco di tantissimi e sgargianti colori.


D3. Perché ancora oggi l’epoca storica di passaggio tra l’età antica e quella moderna ha un numero notevole di detrattori ed è piena di tanti luoghi comuni?

Perché risentiamo molto di una impostazione didattica che dà molta importanza alla civiltà classica e misura tutto usando la stessa come metro. La demonizzazione del Medioevo è iniziata durante l’umanesimo e il rinascimento ed è continuata con l’illuminismo. Oggi, per fortuna, grazie alle scoperte archeologiche, all’interdisciplinarietà e a uno studio meno dogmatico e più aperto delle fonti la maggior parte degli studiosi considera il Medioevo come la base per la nascita dell’Europa moderna. E io sono tra questi.

D4. Nel testo hai espresso più volte un giudizio molto positivo sui barbari di etnia germanica, bistrattati da tanti manuali di storia, quali sono le ragioni?

In realtà non ne ho fatto una questione di giudizio positivo o negativo, che non ha senso e sarebbe anzi un errore madornale. Cerco solo di presentarli per quello che erano, al netto del pregiudizio dovuto alle lenti deformanti che a cominciare dal nome ne hanno determinato la percezione nella letteratura e nell’immaginario collettivo. Intanto, il mondo barbarico è anch’esso ricchissimo di sfumature e tutt’altro che granitico. Credo poi possa considerarsi abbondantemente superato il modello dello scontro epocale di civiltà tra “barbari” arretrati e “romani” progrediti e civili. Il rapporto tra romani e barbari è molto più antico, profondo e problematico. E’ fatto di scontri militari, d’accordo, ma anche di proficui scambi culturali ed economici. Il Medioevo nasce proprio dall’incontro/scontro e la nostra cultura occidentale è frutto dell’apporto di tante identità diverse: classica, barbarica, slava, ebraica, islamica… Negarlo significherebbe negare noi stessi.

D5. Nel sesto capitolo de «La vita segreta del Medioevo», intitolato «Artisti e intellettuali, scrittura e invenzioni», ti sei soffermata sulla nascita ed il funzionamento delle «universitates». A motivo di quanto hai esposto può essere ancora ritenuto il Medioevo un periodo storico buio ed oscurantista?

Il Medioevo come periodo storico buio e oscurantista è un cliché ormai consunto e da tempo messo in discussione. E’ durante il tanto bistrattato Medioevo che hanno visto la luce tante invenzioni che ancora oggi, pur perfezionate dal progresso della tecnologia, usiamo ogni giorno, ad esempio gli occhiali e l’orologio. Sono i secoli in cui vengono importate innovazioni straordinarie come le cifre arabe e lo zero. Ci sono le università con professori acclamati in tutta Europa. L’artista assume una consapevolezza che lo porterà fuori dall’anonimato a rivendicare per la prima volta il proprio genio. Compaiono i bottoni, le maniche, le forchette, i vetri, tutte cose che migliorano notevolmente la qualità della vita. Nasce la moda. Inizia con la produzione della carta il processo che porterà ad una formidabile diffusione dell’alfabetizzazione e del libro, e che stimolerà a sua volta l’invenzione della stampa. L’ho già detto: il Medioevo è un’epoca ricca di colori e tutt’altro che monolitica. Ed è assurdo giudicarla con i parametri di oggi se la si vuole comprendere davvero. Prendiamola per quello che è. E cerchiamo piuttosto, e umilmente, di capirla.

Elena Percivaldi durante una presentazione de La vita segreta nel Medioevo
D6. Nel volume ti sei occupata dei viaggi in epoca medievale. Ma era così pericoloso fare lunghi viaggi nel Medioevo?

Direi di sì. Può sembrare banale, ma rispetto al mondo romano le infrastrutture (soprattutto le strade) dopo le invasioni erano cadute in rovina e in generale la sicurezza era ai minimi storici anche per la mancanza di un solido presidio sul territorio. Non era difficile ad esempio imbattersi in briganti. Si doveva attraversare boschi e foreste popolate di animali e presenze percepite come strane, oscure, il più delle volte ostili. Ma riflettiamo su cosa ha significato questo nell’immaginario collettivo, forgiando leggende, miti e fiabe. Normalmente, prima di mettersi in viaggio si faceva testamento. I servizi di accoglienza (locande, ospitali, ecc.) erano scarsi e piuttosto fatiscenti. Le cose iniziano a cambiare intorno al Mille, quando riprendono i traffici con l’Oriente (che comunque non si erano mai del tutto interrotti) e l’Europa viene percorsa in lungo e in largo da una moltitudine di persone dirette in Terrasanta (è l’effetto-Crociate) e lungo le vie che connettono i principali santuari d’Europa. Viaggiano tutti: donne, uomini, bimbi, anziani. Nascono ordini religiosi per assistere i viaggiatori e scortarli, infrastrutture per accoglierli. Tessuti e spezie attraversano l’Europa, migliaia di persone da ogni dove si incontrano nei mercati e nelle fiere portando con sé le proprie lingue e le proprie culture. Ma è sbagliato pensare che prima del Mille la gente non si muovesse. Basti pensare alle invasioni barbariche con interi popoli in movimento. In realtà tutto il mondo conosciuto, in età medievale, era fortemente interconnesso grazie ai mercanti, agli artisti, agli intellettuali e ai pellegrini. Sulle loro gambe e nelle loro bisacce viaggiavano storie, lingue, tradizioni, culture, odori, sapori, invenzioni, persino malattie. Tutte cose che hanno contribuito a forgiare la nostra civiltà in tutte le sue magnifiche sfaccettature e differenze.

D7. Il Medioevo viene da sempre ricordato per il proliferare di molteplici dottrine contrarie a verità di fede (eresie), delle quali parli diffusamente ne «La vita segreta del Medioevo». Quali sono state le cause della loro grande espansione e diffusione?

E’ difficilissimo sintetizzarle in poche righe, comunque ci provo. Intanto le eresie non sono tutte uguali: possono nascere da contestazioni di tipo dottrinale e teologico (come nel caso del donatismo, dell’arianesimo, del montanismo, ossia in genere delle eresie dei primi secoli di diffusione del cristianesimo) oppure basarsi su critiche di carattere sociale e metodologico (come nel caso delle eresie del XII-XIV secolo: patarini, catari, valdesi eccetera). La loro diffusione, soprattutto nel secondo dei casi, fu vasta perché si accompagnò, in un quadro politico confuso e magmatico, ad un diffuso bisogno di rinnovamento della Chiesa, percepita come corrotta e distante e assai lontana dai modelli di purezza evangelica che pure avrebbe dovuto rappresentare. E si saldò ai fermenti di rinnovamento e mobilità sociale che sono alla base, ad esempio, del fenomeno comunale, con nuovi ceti emergenti che richiedevano rappresentatività e attenzione. La storia delle eresie è una storia non solo religiosa e culturale ma anche politica, economica e sociale.

D8. Quanto importante ritieni una ricerca storica accurata nella stesura di un libro siffatto?

Assolutamente essenziale. Ho sempre fatto della maniacale consultazione e verifica delle fonti la “conditio sine qua non” di ogni mia ricerca. Un testo redatto senza uno scrupoloso metodo scientifico non può essere valido. E questo vale anche, se non di più, per i testi di carattere divulgativo perché si rivolgono a un pubblico non necessariamente specialistico e quindi potenzialmente più esposto agli effetti della cattiva informazione. La responsabilità di fare corretta informazione è enorme: solo così si combattono i luoghi comuni e si attenua il dannosissimo effetto causato dal proliferare dei sensazionalismi che tanto piacciono a certa stampa e a certi programmi tv. A costo di essere prosaici, occorre far piazza pulita di tutta quella patina di esoterismo tanto in voga in questi anni e di cui sono stati vittime, ad esempio, i templari, o addirittura monumenti come Castel del Monte. La storia è bella e interessante anche senza misteri costruiti a tavolino per titillare chissà quali istinti! Non voglio sembrare pedante, ma storici non ci si improvvisa. Si diventa dopo uno studio certosino che implica la padronanza delle fonti e della letteratura scientifica e la capacità di interpretare entrambe in senso critico. Ma anche questo non basta: bisogna studiare e aggiornarsi di continuo. Personalmente, questa è la parte che preferisco.

D9. Cosa vorresti che restasse nei lettori quando terminano la lettura di uno dei tuoi libri?

Vorrei innanzitutto che si accendesse una scintilla, magari addirittura un incendio, in senso metaforico, si intende. Il regalo più bello che possono farmi i lettori è quello di continuare il percorso di approfondimento usando il mio testo come punto di partenza per nuove e stimolanti ricerche. Vellicare la curiosità intellettuale e spingere ad approfondire: questo è il mestiere dello storico e soprattutto del divulgatore. E ho sempre pensato che un buon libro di storia non debba fornire tanto risposte quanto nuovi interrogativi. E’ la parte più bella di questo mestiere: la ricerca e la scoperta, entrambe per fortuna infinite.

D10. In questo momento a cosa stai lavorando e quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Ho tanti progetti in corso. In questi giorni sto consegnando al mio Editore un nuovo libro in uscita per Natale, una storia della Chiesa da un punto di vista inedito: quello degli “antipapi”. E poi mi dedicherò a un progetto completamente diverso che vedrà la luce nel 2015 ma di cui al momento non posso ancora svelare i particolari. Oltre alle ricerche continuerò a coordinare la parte scientifica delle manifestazioni storico-rievocative sui Longobardi che sto seguendo ormai da anni, terrò corsi e seminari e molte conferenze in tutta l’Italia. Nonostante la crisi, l’interesse per la storia c’è e si organizzano tanti eventi interessanti. La gente ha fame di cultura, anche se i nostri politici non lo capiscono e pensano (sbagliando clamorosamente) che se ne possa fare tranquillamente a meno. Invece le decine di persone che assistono alle conferenze e le centinaia che partecipano con passione agli eventi culturali si dimostrano, per fortuna, molto più sagge e lungimiranti di loro. L’imperativo allora è non deluderle.

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