Lettere ai morti nell’Egitto antico – 2


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Funzione e significato del termine Akh

Nella documentazione antico egiziana il termine Ax è adoperato con una frequenza sorprendente in riferimento ai defunti dotati di capacità sovrumane; risulta opportuno, dunque, soffermarsi sul significato di questa parola. L’etimologia è stata lungamente dibattuta; inizialmente connessa a una radice indicante l’idea della “radiosità”, è stata accostata, in un secondo tempo, al campo semantico dell’ “efficacia”, da cui deriverebbe la stessa gamma di significati inerenti allo splendore della luce solare. Per quanto riguarda la sfera religiosa, il termine è adoperato in molteplici contesti: se in alcuni casi si tratta di un attributo rivolto a specifiche divinità, quali Ra, Osiride, Atum, o Iside; numerose attestazioni rivelano, tuttavia, come l’uso più diffuso fosse quello in relazione ai defunti, sia regali che privati, un dato che permette di identificare le stesse schiere degli Ax.w, descritte in diversi testi come una categoria a sé stante di esseri sovrumani tanto venerabili quanto temibili, con dei defunti dotati di speciali poteri. Lo stesso geroglifico, (G25), adoperato per indicare tale termine potrebbe offrire interessanti spunti di riflessione. L’uccello sarebbe da identificarsi con l’ibis comata, o più probabilmente con il geronticus eremita; le particolari abitudini di quest’ultima specie trovano infatti dei suggestivi punti di contatto con le concezioni religiose degli antichi egizi, che accostarono gli Ax.w al tema religioso del ciclo solare e della rinascita. Si vedano a tal proposito le parole di Jànak:
Geronticus eremita

“in ancient Egypt, the nothern bald ibis [il geronticus eremita] most probably nested on rocks and cliff to the east of the Nile, as suggested both by Egyptian religious texts that connect the akhu with the eastern horizon (akhet) and modern observation made in Bireçik and Marocco. It may, thus, be conjectured that every morning, part of the colony flew to the Nile in search for food, descending on fields, settlements, or even cemeteries. In the evening, the birds probably would have flocked together and returned to the horizon. […] In acient times, Egypt was probably a breeding area for these ibises that migrated there once a year, possibly at the same time as in Syria. Nothern bald ibises, thus, would have arrived in Egypt in March together with the rising temperatures, and stayed there until july before migrating southwards, along the Nile towards Ethiopia. This hypothesis is based both on modern comparisons and on the fact that the weather of egyptyan spring (the shemu season) corresponding to the low level of the Nile and the time of harvest would best suit to the needs of the birds. If this were indeed the case, then the northern bald ibis would have left just before the Nile inundation arrived and the beginning of a new year.”

Lo stesso aspetto del geronticus eremita per certi versi sinistro, e tuttavia affascinante per via del piumaggio iridescente, si presta particolarmente a rappresentare la manifestazione sovrumana, e allo stesso tempo inquietante, dello spirito di un morto. Si tratterebbe inoltre di un elemento che troverebbe notevoli punti di contatto con le diverse tradizioni vicino orientali, dove non è raro che gli spiriti dei morti vengano descritti con sembianze di uccelli spesso spaventose.

Partendo da simili dati, sul finire degli anni Settanta, si è dunque definita una tendenza unitaria tra gli studiosi nel considerare l’Ax non come una parte spirituale dell’essere umano o del dio – quale può essere ad esempio il concetto occidentale di anima – quanto, piuttosto, come un attributo, o uno status caratteristico di alcuni dei e di alcuni morti; in quest’ultimo caso specifico Otto adopera una definizione particolarmente pregnante, quella di Mächtigen Toten, un “morto potente” dotato di grandi e speciali poteri.

Mummia di Ibis

Non a tutti i defunti era concesso di divenire uno spirito Ax. Per ottenere un simile status era necessario superare delle prove, o possedere speciali qualità; in modo particolare un ruolo fondamentale era svolto da quelle formule e dai quei riti che, non a caso, gli antichi egizi denominarono sAx.w, un causativo del termine Ax, che potrebbe dunque essere tradotto con “ciò che trasforma in Ax”.

Risulta arduo stabilire chi potesse effettivamente accedere ad un simile status una volta morto. In generale, le fonti a disposizione – soprattutto per quanto riguarda le fasi più antiche – possono essere ricondotte esclusivamente alle cerchie delle èlites o allo stesso sovrano. Inoltre, è stato lungamente dibattuto se una simile credenza si sia originata nell’ambito dell’ideologia regale per espandersi solo successivamente alle cerchie dei nobili (un’interpretazione che rientrerebbe nella cosiddetta “teoria della democratizzazione dell’aldilà”), o se lo status di Ax fosse “accessibile” ai privati già dalle fasi storiche più antiche. Diversi dati, sembrerebbero favorire quest’ultima ipotesi. Alcuni sigilli cilindrici risalenti alla I dinastia associano infatti i proto-geroglifici  (G25) e  (A50), e risulta sicuramente interessante notare come nelle fonti successive quest’ultimo segno venga sistematicamente accostato al concetto di “defunto venerabile”. Con tale valore lo si trova ad esempio nelle lettere ai morti; inoltre, l’iconografia del defunto più facilmente riscontrabile nelle raffigurazioni parietali delle tombe, nelle stele funerarie delle diverse fasi storiche, e nelle cosiddette stele Akh iqer en Ra del Nuovo Regno (sicuramente connesse ad un culto degli antenati particolarmente sentito a Deir el Medina) trae spunto, di fatto, da questo geroglifico, permettendo di ipotizzare una tradizione plurimillenaria di un topos iconografico associato ai defunti ritenuti speciali e degni di nota. Anche le testimonianze in relazione a defunti non regali dei riti sAx.w, o di altri riti affini, come quello del snm.t Ax,risultano piuttosto antiche. In alcune mastabe della IV dinastia è possibile, infatti, riscontrare delle raffigurazioni che, grazie alla presenza di esplicite didascalie, possono essere sicuramente identificate con lo svolgimento di tali riti. Tuttavia, è solo con la fine della V dinastia che è possibile riscontrare un certo tipo di iscrizioni, nelle quali il defunto, parlando di sé in prima persona si autodefinisce esplicitamente come un Ax. Un’affermazione che risulta inoltre costantemente associata a frasi che sottolineano un certo tipo di capacità e di competenze, accostando il termine Ax a particolari aggettivi inerenti alla sfera semantica dell’eccellena (Apr, mnx, o ỉqr), o mettendo in risalto il possesso di una speciale conoscenza (rx). Si tratta di un fenomeno di grande rilevanza, in quanto confluirà nella successiva tradizione dei Testi dei Sarcofagi, e caratterizzerà per tempi lunghissimi le peculiari concezioni sugli spiriti dei morti qui analizzate.

Czerwik, partendo da tali dati, sostiene che, sebbene lo status di Ax dovette essere accessibile ai defunti privati già in fasi storiche molto antiche, comincerà a denotare un defunto dotato di speciali poteri solo con la fine della V dinastia. L’egittologa, infatti, mette in luce un certo clima di fermenti culturali, economici e politici che sembrano aver caratterizzato le ultime dinastie dell’Antico Regno; cambiamenti che devono aver innescato una peculiare riorganizzazione della tradizione religiosa, comportando da un lato la comparsa dei Testi delle Piramidi (attestati per la prima volta nella piramide di Unis, ultimo sovrano della V dinastia), dell’altro l’estensione alle cerchie nobiliari di alcune concezioni oltremondane che originariamente dovevano essere esclusive del sovrano. Czerwik. sostiene, quindi, che già in questa fase storica si sarebbero innescati i primi precocissimi passi verso la “democratizzazione dell’aldilà”.

Psicostasia

Sebbene le osservazioni della Czerwik mettano eloquentemente in risalto un punto di svolta effettivo nell’evoluzione storica della religione egiziana, una simile trasformazione potrebbe essere differentemente interpretata.

Innanzitutto, tanto la comparsa dei Testi delle Piramidi, quanto le peculiari iscrizioni riscontrabili a partire dalla V dinastia nelle tombe dei nobili, prima ancora che un significativo cambiamento all’interno del patrimonio religioso, testimoniano piuttosto una radicale trasformazione del rapporto tra scrittura e religione. Un fatto che deve essere letto alla luce di un cambiamento di quegli atteggiamenti culturali definiti da Baines “sentimento del decoro”. In entrambi i casi, inoltre, si tratterebbe, con ogni probabilità, della prima attestazione di una tradizione religiosa preesistente e forse antichissima, sebbene, un certo tipo di risplasmazione non sia comunque da escludere.
In secondo luogo, partendo da un simile presupposto, risulta poco convincente assumere come schema interpretativo la cosiddetta “teoria della democratizzazione dell’aldilà”. Tale teoria è stata infatti oggetto di profonde critiche e rivalutazioni nell’ambito degli studi egittologici, risultando persino radicalmente rifiutata da alcuni studiosi. Anche senza giungere a posizioni così estreme, risulterebbe più coerente ipotizzare che proprio un certo tipo di credenze inerenti alla figura del defunto come essere sovrumano – da inserire in un contesto più ampio di sopravvivenza post mortem dei rapporti sociali –  siano alla base delle peculiari riplasmazioni religiose ravvisabili nella documentazione risalente alla fine della V dinastia. Si è già sottolineato, infatti, come una delle principali funzioni religiose dei Testi delle Piramidi fosse quella di eternare il ruolo sociale del faraone, che nella sua figura racchiudeva l’intera società nelle sue diverse componenti; una simile credenza sarebbe praticamente priva di senso qualora non fosse inserita in un contesto già caratterizzato da un certo tipo di idee inerenti alla trascendenza oltremondana dei rapporti sociali più significativi: una concezione nella quale gli individui dimostratisi utili ed eccezionali in vita continuavano a ricoprire un simile ruolo anche dopo la morte. La stessa natura, in realtà assai eterogenea, dei Testi delle Piramidi ad un’attenta analisi mette in evidenza, inoltre, come alcune delle formule di questo corpus siano originariamente state pensate per dei defunti privati, e solo successivamente riadattate per l’ambito dell’ideologia regale. Se, dunque, si è verificata una riplasmazione di un certo tipo del patrimonio religioso, uno dei principali punti di partenza fu, con ogni probabilità, un nucleo di concezioni già interpretabili come un vero e proprio culto degli antenati.
I defunti come spiriti maligni 

In alcune delle lettere ai morti, al defunto glorificato vengono contrapposti, in qualità di entità  maligne, i mwt e le mwt.t, letteralmente “i morti” e “le morte”. Non si tratta di un elemento esclusivo di questi documenti, risultando, piuttosto, perfettamente inseribile in quella generica tassonomia in cui gli egizi racchiusero il mondo creato. Quest’ultimo, infatti, come trapela da innumerevoli fonti, era composto dagli  Anx.w (uomini viventi), i mwt.w (i defunti), gli  Ax.w (i defunti glorificati) e i nTr.w (le divinità) a cui devono essere aggiunte le entità demoniache, per le quali nella lingua antico egiziana non è attestato un unico termine specifico per indicarne la categoria.
Come ha notato Donnat, la parola mwt  presenta un certo grado di polisemia; è infatti possibile individuare tre significati relativi a una gamma semantica più o meno ampia:
  1. Nella sua accezione più generica il termine indica qualunque defunto in quanto membro della comunità dei morti, in opposizione a quella dei vivi;
  2. Con un’accezione più ristretta può indicare un morto di rango inferiore allo spirito Ax;
  3. In un’accezione ancora più specifica, indica, infine, un vero e proprio spirito maligno.
Si tratta di un aspetto su cui è opportuno soffermarsi, essendo attestato un sorprendente parallelo con alcune concezioni diffuse nell’area levantina. Sia dalle fonti ugaritiche che da alcuni estratti dell’Antico Testamento è possibile riscontrare, ad esempio, una contrapposizione tra semplici morti e i cosiddetti Rephaim/Rapiuma, le cui qualità e capacità non dovevano essere troppo dissimili dagli Ax.w egiziani. In generale, inoltre, è opportuno sottolineare come una simile distinzione costituisca, di fatto, uno dei tratti distintivi di un elaborato culto degli antenati. Tuttavia, è innegabile che dalla maggior parte delle fonti egizie emerga una marcata polarizzazione negativa del termine mwt.
In modo particolare nella contrapposizione tra Ax.w e mwt.w, quest’ultimo termine viene adoperato per indicare un’entità ostile e aggressiva. Diverse fonti, infatti, considerano questa categoria di morti alla stregua di veri e propri demoni; non a caso, come per questi ultimi, molto raramente si fa riferimento a uno specifico mwt o una specifica mwt.t chiamandoli per nome, il  maschile e il femminile del termine sono, piuttosto, sempre associati per indicare un generico  gruppo collettivo e anonimo.
Nel P. Edwin-Smith la natura malevola di questi spiriti viene chiaramente connessa a casi di morte violenta e prematura. La casistica riportata cita la morte per assassinio, l’annegamento, ma anche l’essere morsi da un serpente velenoso, o dilaniati da un coccodrillo. Inoltre, potevano comportare un effetto analogo anche il non aver ricevuto una adeguata sepoltura, o l’improvvisa interruzione delle periodiche offerte funerarie. Credenze di questo sono, in realtà, talmente comuni e diffuse da essere considerate da diversi eminenti studiosi come “universali”; sono innumerevoli, infatti, i paralleli riscontrabili nei più svariati contesti storici e culturali, non rimanendo escluso persino il nostro.
Statua del dio Anubis

Interessante, a tal proposito, potrebbe essere un raffronto con una credenza diffusa in area mesopotamica inerente ai cosiddetti etemmu ahu, letteralmente “gli spiriti stranieri”. Si tratta di defunti che per varie ragioni non avevano ricevuto una sepoltura dignitosa, o perché morti in luoghi isolati lontano dai propri cari (come spesso doveva succedere ai soldati), o perché annegati, o periti in un incendio; altri casi particolari potevano essere quelli di coloro che erano stati condannati a morte, o dei defunti adeguatamente seppelliti ma presto dimenticati dai propri discendenti e che dunque non potevano più godere delle offerte da cui traevano sostentamento. Questi spiriti minacciavano spesso l’esistenza dei vivi, causando fenomeni di possessione e malattie, oppure manifestandosi in terrificanti apparizioni notturne (incubi?).

Non è da escludere, tuttavia, che tale contrapposizione tra Ax.w e mwt.w, così come la si riscontra nelle lettere ai morti, possa essere letta anche in funzione di alcune caratteristiche tipiche della società del Medio Regno, la fase storica che vide la maggior attestazione del genere delle lettere ai morti. In tal senso, sono fondamentali alcune osservazioni di Roccati:
[un fenomeno] si diffonde su base sempre più ampia dalla fine dell’Antico Regno, consistente in una caratterizzazione degli individui attraverso appellativi che si riferiscono tanto alla funzione o al mestiere, quanto alla collocazione sociale; e tale distinzione è proiettata anche nell’Aldilà, dove i morti si differenziano tra basso (mwtw) ed alto rango (akhw), i cosiddetti «spiriti glorificati». In altre parole, si sviluppa una terminologia sistematica che specifica la posizione gerarchica di ciascuno, in armonia con l’assetto sociale e la situazione linguistica dei diversi periodi. In tal modo è suggerita una corrispondenza tra nome comune (o sociale) e posizione professionale, e tra nome religioso e collocazione sociale”.
Oltre ai mwt.w, gli spiriti benigni invocati nelle lettere ai morti dovevano fronteggiare anche altre tipologie di nemici. È attestato in numerose culture che le cause di un certo tipo di malesseri o di disagi potessero essere tanto persone ancora in vita, cariche di rancore ( il cosiddetto “malocchio” ), quanto vendicativi spiriti dei defunti; nelle stesse lettere ai morti si riscontrano un certo numero di entità la cui esatta natura in parte ci sfugge. I termini adoperati sono: irr/irr.t, “coloro che agiscono (malevolmente)”; ḫft.ỉw, “i nemici”; ḏw.tḳd.w, “coloro che hanno un indole malvagia”. Non è chiaro se si tratti di altri defunti, di esseri umani ancora in vita, o di altre tipologie di entità super-umane; infatti, attraverso un parallelo con altri documenti antico-egiziani, queste ipotesi sembrano tutte ugualmente valide e non è detto che siano necessariamente in contraddizione tra loro, un elemento che mette in luce un aspetto sostanziale delle credenze qui analizzate, ovvero la complessità dei rapporti che dovevano intercorrere tra coloro che erano ancora in vita e i defunti.

 


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