Oggi per la rubrica Mondo scrittura ospitiamo l’autrice Martina Munzittu, italiana di nascita e inglese di adozione, con la sua esperienza del processo creativo che porta alla nascita di un libro.
Si dice che molte persone hanno un libro dentro, o una storia da raccontare.
Non posso parlare per gli altri, ma per quanto mi riguarda, da quel che ricordo, ho sempre voluto raccontare delle storie.
Già all’età di quattro anni, mi sedevo in cerchio, nel cortile dell’asilo, insieme ai miei compagnetti, e raccontavo delle fiabe. Potevano essere quelle classiche, oppure inventate del tutto. O anche una variante di quelle tradizionali. Dipendeva dall’umore.
Quando ho imparato a leggere, il mondo è diventato ancora più entusiasmante. Ho smesso di raccontare le storie e ho cominciato a leggerle. Le possibilità erano infinite, avventure interminabili in mondi sconosciuti, così diversi dalla mia ordinaria esistenza.
Poi si è messa in mezzo la vita. Gli studi, il lavoro, le persone, le circostanze. Tutte quelle cose che dovrebbero farti crescere. Era tutto così diverso dai libri che avevo letto.
Andare a vivere all’estero mi ha regalato nuove esperienze, gusti differenti, un nuovo modo di guardare alle cose.
E il desiderio di raccontare le storie è tornato. A questo punto ho dovuto farmi la prima domanda. Cosa? Cosa posso scrivere? Il problema non era la mancanza di idee, ce n’erano abbastanza.
Il problema era l’essere selettivi: cosa posso dire che non è stato già detto?
E se è già stato detto, lo posso raccontare da un punto di vista diverso?
E se poi non interessa a nessuno sentirselo dire?
Vale comunque la pena di dirlo?
Ho risposto si all’ultima domanda. Quello è stato il momento in cui ho iniziato a scrivere.
Qual è il prossimo passo? Trovare il tempo giusto per farlo.
La parte del quando farlo non fila sempre liscia. Nella mia esperienza, ci sono vari tipi di quando.
C’è il grande quando. Cioè: a che punto della mia vita posso veramente scrivere questo libro?
Quando ero giovanissima, avevo parecchio tempo libero, eppure il desiderio di scrivere libri non era evidente. Più tardi, il da fare non mi mancava, tra lavoro a tempo pieno, famiglia e altri impegni. E solo allora mi è venuta voglia di scrivere. Tempismo perfetto.
C’è anche il piccolo quando. Non necessariamente meno importante. Vale a dire: in una mia giornata tipica, dove riesco ad trovare il tempo per scrivere? Il problema è che, in qualsiasi modo la guardiamo, la giornata è sempre fatta di 24 ore. E c’è sempre parecchio da sbrigare in quelle ore. Quindi, a che punto si scrive? Di primo mattino, a metà giornata, o a fine serata? O forse, un giorno a settimana? Una mezza giornata a settimana? Un week-end al mese? Sì, avete capito.
E visto che ci siamo, c’è anche un altro quando. Chiamiamolo lo stato d’animo del quando. Possibilmente, il più importante di tutti. Suona così: quando è che sarò dell’umore giusto per raccontare questo? Perchè potresti benissimo aver pianificato di sederti a scrivere un capitolo molto divertente quel giorno, ma per qualche motivo sei scocciato, qualcosa ti ha dato fastidio, o addirittura depresso. Ebbene, provaci. Ci riesci? Io no. Faccio prima a lasciare la stanza, metter su un po’ di AC-DC e divorare un intero barattolo di Nutella.
Per non parlare del quando interrotto. Quel momento preziosissimo nel quale sei nel bel mezzo della descrizione di una scena del tuo libro, e sei completamente assorbito da quello che sta accadendo ai tuoi personaggi, e improvvisamente, qualcuno o qualcosa ti interrompe. Non parlo di una seccatura tipo il telefono che squilla, o il campanello del portone, quelli si possono ignorare. Parlo di quelle interruzioni serie che ti obbligano a sospendere il flusso di idee, tipo la lavatrice che ti allaga la casa, l’antifurto della tua macchina che si attiva, o la tua bambina che si ammala all’improvviso (tutte cose, tra l’altro, veramente accadute). Se quel momento speciale di creatività viene interrotto così bruscamente e brutalmente, io sfido, sfido chiunque, a provare a ri-crearlo allo stesso modo in un’altra occasione.
In un mondo ideale, per il progresso di un libro senza intoppi, tutti questi tipi di quando dovrebbero convergere in modo armonioso: il momento giusto della tua vita per scrivere un libro coincide con un appuntamento regolare di fronte alla tua tastiera (o carta e penna), il tuo stato d’animo è sempre appropriato alle scene che stai per descrivere. E naturalmente, tutte le interruzioni di questo mondo dovrebbero accadere quando stai facendo qualcos’altro. Ho l’impressione però che le cose non funzionino proprio in questo modo…
Martina Munzittu |
La fase successiva, ossia come si mette insieme tutta la storia, è la parte più difficile. Almeno, secondo me.
Perchè il messaggio che vuoi trasmettere potrebbe essere di per sé molto interessante, o divertente, potrebbe anche far riflettere, ma se viene espresso in modo noioso, o disorganizzato, non riesce ad avere nessun impatto. Può spegnere l’attenzione del lettore, confonderlo, fargli posare il libro senza voglia di riprenderlo in mano. E questo non lo vuoi. Non proprio. A meno che tu non stia scrivendo il libro solo per te stesso, nel qual caso, non ha importanza.
Non avevo la più pallida idea di come scrivere un romanzo intero. Così a suo tempo ho deciso di leggere parecchi libri sull’argomento. La maggior parte degli autori concordava sugli elementi di base che qualsiasi scrittore doveva considerare: la caratterizzazione, la suspense, l’ambientazione, la ricerca, la scena di apertura, l’originalità, il dialogo, la tensione, l’identificazione coi personaggi, la lista potrebbe essere molto lunga.
Più leggevo e più mi spaventavo. Sembrava un’impresa mostruosa, ben oltre le mie capacità. Aveva senso perfino provarci?
Così ho deciso di non leggere più niente a riguardo: mi sono messa a sedere e ho cominciato a scrivere il dannato libro. Tuttavia, non ho ignorato i consigli che avevo ricevuto in quei libri. Li tenevo in mente, mentre scrivevo. Usavo le cose che mi ricordavo, per guidarmi nel processo.
La cosa sorprendente, è che alla fine, la mia storia è venuta fuori diversa da come immaginavo sarebbe stata. La trama si era sviluppata ed era cambiata man mano che scrivevo.
Quando ho terminato la prima bozza, ho deciso di non rileggere il libro subito. Ho lasciato passare due settimane. Volevo vederlo con un paio di occhi nuovi.
Poi ho riletto il romanzo; l’ho sentito diverso da come l’avevo percepito la prima volta. L’ho sottoposto ad ulteriori cambiamenti, e poi ho capito che avevo bisogno dell’opinione di un esperto. Dopotutto era il mio primo libro, il libro di una lettrice fino a quel momento, non di una vera scrittrice. Chissà quale tipo di reazione avrebbe potuto suscitare in uno che di queste cose se ne intendeva?
Così ho spedito il manoscritto ad un editor professionista, in modo da avere una valutazione approfondita.
Ho dovuto aspettare un po’. Era stressante quanto l’attesa dei risultati degli esami di maturità. Ma quando il giudizio è arrivato, ero sollevata nel vedere che il mio libro non era stato un disastro totale. Dovevo fare vari cambiamenti, ma per fortuna non dovevo liberarmi di intere sezioni, solo di alcuni paragrafi qua e là. Mi ero affezionata ad alcuni di questi. Non una cosa carina da fare alla tua creatura, ma che scelta avevo? Avrei dovuto ignorare l’esperto e lasciare com’era? Non proprio. Così ho proceduto col tagliare, correggere, riscrivere, e rimandare all’editor, finché il libro non è stato finalmente giudicato adatto per essere spedito alle case editrici.
Ecco come è stato realizzato il mio libro. Nell’anno 2006. L’ho riletto di recente, mentre lo paragonavo alla traduzione in italiano. Mi sono accorta che lo avrei scritto in modo diverso, ora. Il come sembra essere inesorabilmente legato al quando, il grande quando (menzionato nell’ultimo blog). E mi viene da pensare, chissà come le vicende di Clara si sarebbero svolte nel 2012…
“Per chi è stato scritto il libro?” Quando mandi il tuo libro ad agenti e case editrici, questa domanda deve avere una risposta. In realtà, dovresti già pensare al tuo potenziale mercato quando inizi a scrivere il tuo romanzo, anzi, addirittura prima, quando stai decidendo che cosa scriverai.
Mi hanno anche detto che dovresti essere piuttosto specifico nell’individuare i tuoi lettori. Saranno donne o uomini? Di che età? Di quale estrazione sociale? Che tipo di professione eserciteranno? E un sacco di altra roba.
Beh, io ho fallito miseramente in quanto non mi sono mai posta questa domanda, quando ho scritto il libro.
Non ho mai pensato che i miei potenziali lettori cadessero in determinate categorie. Non mi piace nemmeno la parola categoria, quando ci si riferisce a delle persone.
Capisco che un individuo possa amare un genere specifico: il romanzo rosa, l’orrore, il thriller, il fantasy, ecc, quindi immagino che il mio libro possa attrarre quei lettori che amano le storie d’amore. Il problema è che il mio romanzo non segue la tipica trama di una storia romantica, ha degli elementi di mistero, di humour e anche qualcosa di surreale, a tratti.
Finora, tra i lettori che conosco personalmente, a cui è piaciuto il libro ci sono: la ragazzina che va ancora a scuola, il programmatore matto per i computer, un’infermiera in pensione, tre scienziati, varie donne professioniste tra i 20 e i 40 anni. Quindi, come dovrei categorizzare queste persone?
Per non dire del fatto che io stessa, amo generi diversi. Oltre a leggere libri di saggistica, mi piace semplicemente tuffarmi in una bella storia. Punto. Non ha importanza se si tratta di un romanzo rosa, commedia, libro di fantascienza, thriller, basta che riesca a coinvolgermi, leggo volentieri.
Quindi, tornando alla prima domanda: per chi è stato scritto il mio libro? Non lo so. Questa è la verità. Ciò che so, però, è che quando immagino il lettore che ha in mano il mio libro, penso a qualcuno che ha certe aspettative. Una persona che legge molto, è intelligente, ha dei sentimenti, emozioni e pensieri, e il mio dovere da scrittrice è trattarla col massimo rispetto.
Questo lettore ha investito il suo denaro quando ha acquistato il mio libro, e sta investendo il suo prezioso tempo per leggere cosa ho da dire. Quindi la mia premura è quella di non deluderlo.
Più facile dirlo che farlo. Sicuramente qualche volta fallirò nel mio intento, ma spero sia solo qualche volta, e non più spesso.
Non intendo discutere sul perché una persona scriva un libro. Intendo parlare del perché una persona scriva quel determinato libro. Mi riferisco alla narrativa, naturalmente.
Quando decidi di raccontare una storia, quali sono le tue motivazioni? Forse l’argomento va di moda al momento, quindi le vendite potrebbero andare bene. Oppure vuoi scrivere qualcosa che è coinvolgente, semplicemente raccontare una bella storia. Magari vuoi portare l’attenzione del lettore su un argomento particolare, qualcosa che faccia riflettere, e un racconto potrebbe prestarsi meglio che un saggio. Sono sicura che ci sono altre ragioni, ma al momento non mi vengono in mente.
Il processo non è a senso unico però. Anche i lettori hanno un ruolo importante, e ciascuno di loro può interpretare il libro a modo suo. A volte capita che capiscono cose che lo scrittore non voleva dire, oppure non colgono un messaggio importante che lo scrittore voleva trasmettere.
Ma questo vuol dire che c’è stato un problema di comunicazione? Probabilmente no.
Forse la verità è che tutti noi, quando leggiamo, scegliamo quello che vogliamo vedere in una storia, o semplicemente quello che siamo pronti a vedere.
Quindi, perché ho scelto di scrivere Un Patto con una Sconosciuta? Non voglio svelare troppo, perché parecchi di voi non hanno letto il libro (e potrebbero non volerlo leggere). Non sapevo perché volessi raccontare proprio questa storia; quando ho iniziato a scrivere, il mio istinto mi guidava e io seguivo. Penso però di averlo intuito quando l’ho finito.
Se spoglio il mio romanzo dei suoi abiti romantici, e porto via il bel paesaggio della Sardegna, cosa rimane? La storia potrebbe funzionare da qualsiasi altra parte, con altri personaggi, e senza quel tocco di rosa? Di che cosa parla veramente il libro? Forse, in una sola parola, potrei dire che parla di indifferenza.
E qui potrei scrivere un sacco sull’indifferenza, ma non lo voglio fare. È qualcosa che è mi venuto in mente quando ho finito il libro. C’è molta sofferenza intorno a noi, a volte anche troppo vicina per poterla notare. Eppure, spesso siamo indifferenti nei suoi riguardi, per tutta una serie di motivi. E questa stessa indifferenza può avere effetti drammatici, e provocare a sua volta ancora più dolore.
Avete letto qualche libro di recente, che avesse un messaggio particolare per voi? Avete finito un romanzo e vi è sembrato di capire perchè l’autore ha scelto quel tema? Oppure questo post vi ha lasciato particolarmente indifferenti sull’argomento?
Interessante
Pino JO
Per quanto riguarda la nascita della mia voglia di raccontare, senz'altro lo devo a mio padre che, quand'ero piccola, si sedeva accanto al mio letto e mi narrava storie bellissime. Potevo scegliere fra varie proposte, ma optavo sempre le storie della Primula Rossa… da qui poi è germinato il mio amore per la Storia e per la narrazione storica. 🙂
Meraviglioso padre! Devo riprendere a leggere della favole ai miei figli. Da dopo il trasloco purtroppo ho perso questa sanissima abitudine. Se si leggono loro molte storie saranno a loro volta curiosi lettori. 🙂