Il periodo preletterario latino
Durante i ludi romani del 240 a.C. Livio Andronico mise in scena un dramma teatrale che è considerato la prima opera letteraria scritta in lingua latina. Dunque in questa data ebbe inizio la letteratura latina. Eppure l’origine della scrittura a Roma si attestò dal VII secolo a.C. legata nella tradizione a miti di origine greca relativi ai culti e alla fondazione delle città. La scrittura tuttavia, fino al III secolo a.C., si limitò a determinati contesti ed usi, da quello politico a quello religioso, senza contemplare finalità letterarie. Inoltre va evidenziato che il saper scrivere era un privilegio della classe dirigente oppure di professionisti (scribae), in maggioranza schiavi di origine ellenica. In campo religioso ad esempio, le pratiche divinatorie dei Libri Sibillini erano scritte, così come le preghiere o particolari formule rituali la cui efficacia consisteva proprio nel corretto modo di tramandarne le modalità di esecuzione.
Il Collegio sacerdotale dei Pontefici, che risaliva secondo tradizione a Numa Pompilio, secondo re di Roma, stilava gli Annales pontificum, una raccolta annuale di tutti i maggiori avvenimenti che avevano caratterizzato l’Urbe, dall’elezione dei magistrati a pestilenze, eclissi, battaglie vittoriose, sconfitte, trattati etc etc. Venivano elencati su tavolette lignee sbiancate con la calce (tabulae dealbatae), esposte all’esterno dell’abitazione del Pontefice Massimo.
Nell’ambito politico, i trattati commerciali o quelli militari erano scritti così come lo furono le leggi delle famose Dodici Tavole, deliberate dai decemviri nel 450 a.C.
Busto di Appio Claudio Cieco |
Appio Claudio Cieco (350-271 a.C.), brillante personaggio politico di nobilissime origini (gens Claudia), promosse la divulgazione scritta dei formulari giuridici per mano del suo liberto Gneo Flavio. Censore, console, dittatore, valente generale, promotore di grandi opere pubbliche (la via Appia, l’acquedotto Aqua Appia), Appio Claudio fu anche un letterato, affascinato dalla cultura greca. A suo nome ci è giunta una raccolta di Sententiae, massime a carattere moraleggiante e filosofeggiante in versi saturni. Appio Claudio è considerato a ragione l’unico autore del periodo preletterario latino. Alle procedure scritte sopra trattate si intrecciarono per tutto il periodo in questione (VII-III sec. a.C.), quelle orali che ebbero importanza basilare nella tradizione preletteraria della Roma arcaica. Ne sono un esempio i carmina, componimenti in versi, in bilico tra la prosa e la poesia, caratterizzati da sequenze di ripetizioni foniche. Troviamo quelli dei collegi sacerdotali dei Salii e dei Frates Arvales che erano dei veri e propri canti liturgici, oppure i carmina convivalia, in versi saturni, che consistevano in canti intonati durante i banchetti delle famiglie aristocratiche al fine di celebrare la gloria degli antenati della gens. Ricordo anche i carmina triumphalia, improvvisati dai soldati per esaltare il condottiero in trionfo, quelli profetici dei vates e le neniae funebri. Discorso più approfondito meritano i fescennini versus, probabilmente originari della città etrusca di Fescennium (odierna Corchiano). Consistevano in composizioni poetiche, recitate durante i matrimoni o particolari ricorrenze legate all’attività contadina. Si caratterizzavano per la licenziosità dei versi, ricchi di insulti e contenuti osceni e volgari. I fescennini versus divennero fonte di ispirazione per la successiva produzione teatrale romana. Nel corso dei secoli infatti, vi fu un’evoluzione verso una rappresentazione inscenata dei fescennini come ci narra lo stesso Tito Livio.
“…senza un testo cantato, senza gesti che mimassero il canto, artisti fatti venire dall’Etruria, danzando al suono del flauto, eseguivano secondo il loro costume movimenti non privi di grazia. I giovani romani presero poi ad imitarli, scambiandosi frizzi tra loro in versi grossolani…”
Un tarantino a Roma. Livio Andronico (280-200 a.C.)
Abbiamo visto come la scrittura fosse utilizzata a Roma in epoca arcaica con una breve panoramica sulla tradizione preletteraria. Tornando a Livio Andronico. Nacque nel 280 a.C. in Magna Grecia, a Taranto. Andronico sarebbe stato deportato a Roma. Reso schiavo di una influente famiglia patrizia della gens Livia, ottenne lo status di liberto per evidenti meriti artistici e culturali. Fu un poeta, drammaturgo e attore teatrale romano, seppur conservò, fiero, la sua estrazione culturale ellenica. In occasione dei ludi scaenici, indetti per festeggiare la vittoria romana su Cartagine nella prima guerra punica (241 a.C.), gli edili curuli commissionarono ad Andronico un dramma teatrale, opera che, seppur non sia giunta fino a noi, lo consegnò alla Storia.
Busto di Livio Andronico |
Il III secolo a.C. fu fondamentale per l’epopea capitolina. Roma aveva imposto a fatica il suo dominio sull’Italia centrale. Dal 300 a.C. in poi la sua influenza si era allargata sulle colonie magnogreche nel meridione della penisola. Infine a sancire la nascita della nuova potenza del Mediterraneo, era giunta la vittoria sulla potente Cartagine. L’Urbe che era già venuta in contatto con la cultura greco-ellenica grazie agli Etruschi, ora si trovava a stretto contatto, non solo commerciale, con la società greca delle colonie del Mezzogiorno, portatrici di una cultura più fine ed evoluta. Roma non tardò ad assimilare il meglio dell’ellenismo, facendolo suo. Ne divenne la custode, trionfa del suo ruolo di garante delle antiche tradizioni greche di cui si riteneva continuatrice per analogia culturale nel patrimonio mitico-religioso. Livio Andronico e il successo che conseguì nell’Urbe vanno compresi in questa ottica. Nel 240 a.C. egli adattò un dramma greco a una celebrazione nazionale romana, traducendolo in latino e facendo in modo che fosse compreso e accettato dalla società capitolina. Con questo atto, Roma si poneva come una sorta di baluardo della cultura greca in un momento storico particolare in cui l’importanza politico-militare delle antiche poleis stava scemando giorno dopo giorno. Con le successive opere, Andronico portò i romani a confrontarsi col genere tragico. Una novità rispetto alle rappresentazioni comiche e spesso licenziose del periodo preletterario. Andronico inoltre diede un taglio all’improvvisazione vigente nella rappresentazione romana, ricorrendo a sceneggiature scritte e attori di mestiere. Si passò a una forma di teatro professionale.
Nave romana |
Il drammaturgo greco inoltre diede a Roma il suo primo poema epico, l’Odusia, versione in latino dell’Odissea Omerica. Anche in questa fatica possiamo notare la volontà della classe dirigente romana di creare un forte anello di congiunzione con la grecità. Enea era l’eroe troiano, la cui stirpe fondò Roma. Odisseo, secondo alcuni miti greci, fu tra i compagni di Enea e dei suoi figli. Nell’opera di traduzione del poema omerico, Andronico applicò aggiunte e semplificazioni, sostituzioni di concetti e rielaborazioni di altri al fine di facilitare l’assimilazione dell’Odusia al pubblico romano. Possiamo affermare che interpretò l’Odissea nell’ottica capitolina, grazie anche all’utilizzo del verso saturnio al posto del tradizionale esametro omerico. Aggiungo una piccola nota di colore desunta dagli scritti dello storico Livio: si racconta che durante uno spettacolo, ad Andronico, che oltre ad essere drammaturgo recitava anche, fosse andata via la voce. Pose un fanciullo accanto al flautista col compito di cantare mentre lui rimaneva sul palco dedicandosi unicamente alla mimica scenica. Non dovendo concentrarsi sul canto, la recitazione di Andronico fu talmente efficace da suscitare ancor più successo di pubblico. Da allora divenne una consuetudine del teatro latino far sì che gli attori accompagnassero con la gestualità i pezzi cantati da terze persone, lasciando alla loro voce solamente le parti recitate.
Il fondatore dell’epos nazionale latino. Gneo Nevio (275-201 a.C.)
Il termine “epica” deriva dal greco antico epos che significa “parola”, nel senso più ampio del termine, “narrazione”. Il poema epico è un componimento letterario che racconta le gesta storico-leggendarie di un eroe o di un popolo. Nell’epica risiede la memoria e l’identità stessa della civiltà in questione e ovviamente dei ceti dominanti della stessa. L’Iliade e l’Odissea omeriche cantano le imprese del popolo greco, di grandi eroi devoti alla patria quali Ettore, di personaggi semi-divini quali Achille etc etc. L’Eneide virgiliana ribadì le origini mitiche dell’Urbe e fu anche un elogio politico-sociale alla classe dominante capitolina.
Gneo Nevio in una rappresentazione Ottocentesca |
Se Livio Andronico diede a Roma il suo primo poema epico nell’Odusia, tradotto e ricavato dall’Odissea, Gneo Nevio regalò all’Urbe il suo primo poema epico originale col Bellum Poenicum, iniziatore della tradizione epica nazionale latina. Nevio nacque nel 275 a.C. a Capua. Di origini campane, aveva ottenuto la cittadinanza romana. Fu un soldato, arruolato nelle legioni durante la prima Guerra Punica. Di presidio ad Agrigento in Sicilia, Nevio rimase molto colpito dalla vittoria finale romana sulle armi cartaginesi. Inoltre sembra che sia tornato a Roma carico di copioni greci, affascinato dalla cultura teatrale delle colonie magnogreche. Fu poeta e drammaturgo di fiera indipendenza politica. I suoi mala carmina contro la potente famiglia dei Metelli, puniti dalla legge delle XII Tavole, gli assicurarono la prigione dalla quale uscì qualche tempo dopo per l’intervento dei tribuni della plebe. Correva l’anno 206 a.C. e condannato all’esilio, Nevio morì in Africa cinque anni più tardi (201 a.C.).
Annibale e gli elefanti |
La sua opera maestra fu il già accennato Bellum Poenicum, poema epico di circa 5000 versi saturni incentrato sullo straordinario trionfo romano nel primo conflitto punico. Il Bellum Poenicum vedeva la luce nei terribili anni segnati dalle disfatte romane contro Annibale in terra italica. Era un momento di grave crisi per l’Urbe e un poema in grado di dare nuovo impulso alle aspirazioni nazionali e patriottiche fu visto dalla classe dirigente come un dono degli Dei. L’opera fu organizzata da Nevio secondo il modello epico ellenistico. Contava una particolarità importante: alla narrazione delle vicende storiche, l’autore alternava con sapienza quella di eventi mitici e appartenenti alla tradizione delle origini di Roma, collegate ovviamente alla leggenda troiana. Si forniva in tal modo su un piatto d’argento il corroborante legame tra la cultura capitolina e il mondo greco. Nevio inoltre in uno dei ricorsi “leggendari”, si premurava di spiegare a monte, persino la rivalità tra Cartagine e Roma, narrando dell’abbandono di Didone da parte di Enea. Come caratteristiche narrative, il Bellum Poeticum denotava quasi due anime. Da un lato, una tendenza al patetico, all’espressionismo, alla drammatizzazione tragica nel racconto mitologico, dall’altra un andamento quasi cronachistico nelle parti storiche che evidenziavano sempre e comunque i valori della collettività capitolina. Il linguaggio era solenne e spiccava per i ricercati arcaismi tra cui il genitivo femminile in -as per i sostantivi della prima declinazione. Ci rimane un esempio perpetrato nei secoli a venire nell’espressione pater familias, al posto di pater familiae. Il Bellum Poeticum ebbe una grande diffusione. Secoli dopo, Cicerone ne elogiava lo stile, superiore all’Odusia di Andronico. Continuò a circolare persino in età augustea, seppur oscurato dagli Annales di Ennio. Entrambi i poemi vennero ovviamente soppiantati dall’Eneide virgiliana.
Attori si preparano alla rappresentazione |
Nevio fu un innovatore anche in campo teatrale. Egli creò un proprio genere drammatico: la fabula praetexta. Era un tipo di tragedia che si staccava dalla tradizione greca, sia come ambientazione che come tematiche. Assumeva le sue trame dalla leggenda e dalla Storia di Roma ed era appunto ambientata nell’Urbe. Da un lato, come per il Bellum Poenicum, le fabule celebravano la grandezza di un popolo in ascesa, dall’altro ne costituivano la memoria storica e nazionale. Ci sono giunti un paio di titoli: “Romulus” di argomento mitico (la leggenda di Romolo e Remo) e “Clastidium” di argomento storico (la vittoria contro i Galli nella battaglia del 222 a.C.). Nevio scrisse anche sei tragedie “classiche” di argomento e ambientazione greca. Nella commedia, ho già accennato della natura polemica di Nevio verso i personaggi politici a lui scomodi. Le sue opere vertevano su temi impegnativi e si risolvevano nell’attacco a determinate figure della politica, ad esempio i Metelli. Nevio fu il primo sperimentatore del genere teatrale di commedia latina di ambientazione greca, la cosiddetta fabula palliata dal pallium, la mantellina greca ridotta e squadrata, indossata dagli attori. La palliata fu introdotta in ambiente romano da Andronico ma con Nevio trovò quel florido sviluppo che costituì la base di successivi autori quali Plauto, Ennio e Terenzio. Di argomento e personaggi greci, liberamente ispirata alla commedia nuova di stampo ellenistico, la palliata non contemplava riferimenti agli usi e ai costumi romani se non in rari casi. Fu proprio Plauto, uno dei più importanti e prolifici autori dell’antichità latina, ad attuare una contaminazione delle due realtà, creando qualcosa di ancor più innovativo ed esilarante. Da alcuni frammenti della produzione comica di Nevio si nota una certa vivacità nel linguaggio, condito di colorite inventive che ritroviamo, ancora una volta, nel successivo Plauto. Nevio ne è stato il predecessore più accreditato.
Riferimenti bibliografici
– “Letteratura Latina”, A. Cavarzere, A. De Vivo, P. Mastandrea, Carocci Editore
– “Fonti per la Storia Romana”, G. Geraci, A. Marcone, Le Monnier Università
– “Storia romana”, Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, Le Monnier Università
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