Lo scontro armato di Pelusio si svolse il 525 a.C.[1] fra i Persiani, capeggiati dal sovrano Cambise II (in greco antico Καμβύσης), e gli Egiziani guidati dal monarca Psammetico III (in greco antico Ψαμμήτĭχος), che era da poco subentrato[2] al genitore Amasi, il quale aveva già cominciato a predisporre le difese necessarie per resistere all’offensiva persiana.
PRESUPPOSTI
Tomba di Ciro il Grande a Pasargade – Iran |
L’impero achemenide, impadronendosi di Babilonia e dell’intera Mesopotamia, era divenuto la nuova potenza dominante del Vicino Oriente. Il Paese delle Due Terre restava l’unico ad essere in grado di contenere le mire espansionistiche dei Persiani, benché a partire dall’irruzione degli Assiri in Egitto nel 671 a.C. e successivamente la disfatta patita nello scontro armato di Carchemish (605 a.C.) contro i Caldei[3], lo avevano costretto in modo definitivo a non poter più espandersi oltre la valle del Nilo. La presa di possesso della Terra nera avrebbe portato come conseguenza agli Achemenidi una serie di benefici economici e stategici. Cambise II, figlio di Ciro il Grande[4], volle preparare personalmente l’impresa militare di conquista.
Psammetico III |
L’autore greco di trattati storici, Ctesia di Cnido (in greco antico Κτησίας), fornisce notizie molto dettagliate sulla battaglia in questione, mentre Erodoto[5] si sofferma più sui presupposti che non sullo scontro armato. Lo stesso parla della diserzione del comandante Fane, a capo dei mercenari greci di Alicarnasso[6] che prestavano servizio nelle forze armate egizie, il quale aveva ceduto alle lusinghe dei Persiani. Fane consigliò inoltre a Cambise una intesa con gli Arabi al fine di raggiungere l’Egitto via terra. Sia i Ciprioti che i Fenici, esperti marinai, acconsentirono a stringere una alleanza con gli Achemenidi. I Persiani approfittarono delle discordie ed inimicizie esistenti fra Babilonesi e Lidi[7] e fra Egizi e Caldei per sottomettere tutte queste popolazioni. Inoltre l’indifferenza di Sparta che, sbagliando, riteneva di essere lontana dallo scenario di guerra del Vicino Oriente, fu un ulteriore aiuto, non richiesto, offerto agli Achemenidi.
SVOLGIMENTO DELLO SCONTRO ARMATO
Cambise II che cattura Psammetico III |
Pelusio[8] (Πηλούσιον in greco antico, Pelusium in latino) era un centro urbano situato al confine del Paese delle Due Terre, sulla strada che portava in Siria. La roccaforte era posta in un’ansa della diramazione orientale del Delta del Nilo, attualmente interrata e coincide con l’odierno centro abitato di Tell el-Farama[9], distante più o meno 30 Km da Port Said. Gli Achemenidi, racconta Erodoto, partirono con un esercito dalla Fenicia, percorrendo la via costiera e circondarono militarmente la località di Gaza, il solo centro urbano della Palestina controllato ancora dagli Egizi dopo l’insuccesso sofferto dagli stessi a Carchemish (605 a.C.). Gli Egiziani, supportati da un discreto numero di mercenari greci, il cui quartiere militare era a Naucrati[10](in greco antico Ναύκρατις, in latino Naucrătis), si rifugiarono a Pelusio per precludere ai nemici la possibilità di invadere il Basso Egitto. Ma, in questo modo, offrirono ai Persiani l’opportunità di assalire in modo inatteso la zona alle spalle della linea di combattimento dove gli Egizi organizzavano i rinforzi e i rifornimenti, dal momento che le truppe che stavano stringendo d’assedio Gaza avevano il compito di portare gli Egiziani a notevole distanza dalla penisola del Sinai, luogo in cui si era spinta la maggior parte dei soldati achemenidi, i quali in seguito si disposero sul Wadi el Arish. Le armate persiane arrivarono in prossimità di Pelusio intorno al mese di maggio del 525 a.C.
Mercenari greci raffigurati su un cratere |
In aggiunta a Fane, pure Policrate, il detentore del potere assoluto a Samo, preferì appoggiare Cambise, venendo meno all’alleanza stipulata con Amasi. Comunque i reparti ionici, formati da 40 imbarcazioni militari, non desiderarono partecipare alla spedizione militare. La battaglia si caratterizzò per forza, intensità ed impeto straordinari, e verosimilmente la scarsa conoscenza delle operazioni belliche[11] da parte di Psammetico (faraone solamente da pochi mesi ed in una età compresa fra la fanciullezza e la giovinezza) si dimostrò determinante: le perdite in campo egizio, stando a Ctesia, ammontarono a ben 50.000 individui rispetto ai 7.000 morti achemenidi. Coloro che scamparono al decesso nei corpi armati egizi si rifugiarono velocemente a Menfi. Vicino alla zona dello scontro armato, riferisce Erodoto, vi erano due cumuli di terra per i caduti di tutte e due le fazioni. Questa informazione è utile all’autore greco di trattati storici per portare a conoscenza di come il capo degli Egiziani sarebbe molto più resistente di quello dei Persiani dal momento che, chiarisce il medesimo Erodoto, questi ultimi avevano l’abitudine di proteggere la testa con la tiara[12] sin da bambini.
RIPERCUSSIONI
Busto di Pitagora |
Gli Achemenidi rincorsero gli Egizi sino al centro abitato di Menfi, accerchiandolo. La capacità di resistere fu, tuttavia, di breve durata ed i Persiani penetrarono nel centro urbano[13], imprigionando il sovrano Psammetico. Sembra che 2.000 mercenari di Mitilene, al soldo del Re dei Re, si introdussero attraverso il Nilo nel centro abitato, ma vennero uccisi impietosamente. Tutto questo causò una violenta azione di forza da parte di Cambise II. In un primo tempo al faraone sconfitto venne concesso di vivere, ma non ebbe più la direzione e il controllo della Terra nera e prese il suo posto, assumendone le funzioni, un satrapo achemenide di nome Aryandes. Successivamente Psammetico venne obbligato a togliersi volontariamente la vita nel momento in cui lo stesso cercò di mettere in atto una insurrezione[14]. Fu l’ultimo monarca egizio della XXVI dinastia. Stando a Giamblico[15] (in greco antico Ιάμβλιχος, Calcide, 250 d.C. più o meno-330 d.C. pressappoco), Cambise dispose di imprigionare pure il famoso matematico e filosofo Pitagora, che abitava da diversi anni in Egitto ed ordinò di portarlo a Babilonia, dove visse per quasi 5 anni.
Resti rinvenuti a Siwa |
Ad opporsi all’aggressione persiana rimase una sola guarnigione egiziana stabilitasi vicino all’oasi di Siwa, dove vi era un edificio molto conosciuto dedicato al culto della divinità solare di Amon. Erodoto dichiara che Cambise, terminata la conquista del Paese delle Due Terre[16], nel 524 a.C. preparò un esercito mastodontico per estirpare l’ultima sacca di resistenza, ma le truppe achemenidi nella loro totalità sparirono nel deserto occidentale[17], facendo nascere il mitico appellativo di armata perduta di Cambise.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Egitto: Storia e Mistero, De Agostini, Novara 1999;
AA.VV., Atlante Storico, Rizzoli Larousse, Milano 2004;
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N. GRIMAL, Storia dell’Antico Egitto, Laterza, Bari 2007;
C. JACQ, Vita quotidiana dell’antico Egitto, Arnoldo Mondadori, Milano 1999;
H. SCHLOGL, L’Antico Egitto, Il Mulino, Bologna 2005;
T. WILKINSON, L’Antico Egitto. Storia di un impero millenario, Einaudi, Torino 2012.
[1] Schlogl, H. A. L’antico Egitto. Bologna: Il Mulino, 2005, pp. 125-126.
[2] Bresciani, E. L’Antico Egitto. Novara: De Agostini, 2000, p. 277.
[3] Popolazione semita che visse nella Mesopotamia meridionale.
[4] Aa.Vv. Atlante Storico. Milano: Rizzoli Larousse, 2004, p. 57.
[5] Storico dell’antica Grecia.
[6] Antica città greca dell’Asia Minore.
[7] Popolazione indoeuropea che probabilmente discendeva dal popolo ittita.
[8] Località dell’antico Egitto posta nella zona più orientale del Delta del Nilo.
[9] Bresciani, E. L’Antico Egitto. op. cit., p. 260.
[10] Città dell’antico Egitto, approssimativamente a 80 Km da Alessandria.
[11] Wilkinson, T. L’antico Egitto. Torino: Einaudi, 2012, p. 446.
[12] Copricapo di forma conica portato nell’antichità principalmente da re e sacerdoti orientali.
[13] Grimal, N. Storia dell’antico Egitto. Bari: Laterza, 2011, p. 465.
[14] Cimmino, F. Dizionario delle dinastie faraoniche. Milano: Bompiani, 2003, p. 373.
[15] Filosofo neoplatonico.
[16] Jacq, C. Vita quotidiana dell’antico Egitto. Milano: Arnoldo Mondadori, 1999, p. 247.
[17] Aa.Vv. Egitto: Storia e Mistero. Novara: De Agostini, 1999, p. 403.
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