I Popoli del Mare


 

 
I Popoli del Mare potrebbero essere stati, in base a congetture, una confederazione di pirati originari dell’Europa meridionale, in modo particolare dell’Egeo, che, viaggiando su imbarcazioni alla volta del Mar Mediterraneo orientale al termine dell’età del bronzo (3.500 a.C.–1200 a.C.), occuparono con la forza l’Anatolia, la Siria, la Palestina, Cipro e l’Egitto. Sebbene la loro provenienza e le loro vicende restino in misura notevole poco conosciute, esistono documenti egizi che parlano dei Popoli del Mare, redatti nel corso della tarda XIX dinastia e specialmente nel corso dell’ottavo anno in cui fu a capo del Paese delle Due Terre Ramses III (Tebe, pressappoco 1218/1217 a.C.–Tebe, aprile 1155 a.C., XX dinastia), quando cercarono di impadronirsi dell’Egitto. Nella Grande iscrizione di Karnak il sovrano egiziano Merenptah (…-2 maggio 1203 a.C.[1], XIX dinastia) cita i popoli invasori del mare[2]
Shardana – Popoli del Mare

Piccole lastre egee in lineare B[3] di Pýlos[4], della fase finale dell’età del bronzo, palesano la diffusione, in quell’epoca storica, di formazioni irregolari di mercenari e spostamenti di genti da un luogo a un altro (diversi studiosi si sono domandati quali fossero le motivazioni). Nonostante ciò l’identità certa di questi popoli del mare rimane per gli archeologi fino ad oggi un mistero. Diversi elementi fanno supporre, al contrario, che per gli Egiziani l’identità e gli scopi di questi popoli non fossero ignoti. Difatti un buon numero di loro appartenenti aveva tentato di essere reclutato dagli Egizi, o aveva comunque mantenuto rapporti ufficiali con il regno di Kemet, almeno fino dalla media età del bronzo. Ad esempio diversi popoli del mare, come gli Shardana[5], vennero usati come fanti dal monarca egiziano Ramses II (1303 a.C.–1212 a.C., XIX dinastia)[6], che li pagava lautamente.

TESTIMONIANZE DI UN PASSATO LONTANO 

Obelisco di Biblo
Il primo riferimento a queste popolazioni è presente nell’obelisco di Biblo[7], risalente dal 2000 al 1700 a.C., nel quale è riportato correttamente il nome di Kukunnis figlio di Lukka. I Lukka compaiono di nuovo, insieme agli Shardana, dopo un certo periodo di tempo nelle lettere di Amarna (probabilmente di Amenofi III o di suo figlio Akhenaton) circa alla metà del XIV secolo a.C. Le missive in un punto preciso raccontano la vicenda di uno Shardana, probabilmente un milite traditore al servizio di chi lo pagava, e in un ulteriore punto racconta di tre Shardana uccisi da una sentinella egiziana. Anche i Dauna vengono nominati in un’altra missiva, precisamente dove si fa riferimento alla dipartita del loro sovrano. Si trova inoltre che i Lukka vengono incolpati, insieme ai Ciprioti, di aggredire gli Egizi, mentre gli stessi Ciprioti sostenevano che ciò non corrispondesse a verità ma che, al contrario, anche i loro insediamenti abitativi fossero saccheggiati dai Lukka.
Grande iscrizione di Karnak
Nel secondo anno in cui Ramses II diresse ed amministrò lo Stato egizio, il faraone sconfisse gli Shardana nel delta del Nilo e imprigionò diversi predoni del mare. Un breve testo scritto di Ramses in una tavola lapidea di Tani[8], infissa in posizione verticale nel terreno, ricorda le scorrerie degli Shardana e il loro imprigionamento, e attesta i duraturi pericoli che questi pirati procuravano al litorale marino egiziano: «i ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli»[9]. Gli Shardana furono in seguito inseriti nelle forze armate egizie e utilizzati nella zona di confine con gli Ittiti, partecipando di conseguenza allo scontro armato di Qadesh (Kadesh). Il più importante avvenimento, durante la conduzione politica e amministrativa del monarca egiziano Merenptah, fu il combattimento a Perire[10] contro la confederazione denominata dei Nove Archi, nel delta occidentale del Nilo, tra il quinto ed il sesto anno nei quali fu a capo del Paese delle Due Terre. La razzia eseguita dalla confederazione sopramenzionata fu tanto dolorosa che l’area venne abbandonata, divenendo un luogo perlopiù incolto in cui il bestiame brucava l’erba spontanea.
Stele di Merenptah
Merenptah narra il conflitto in quattro brevi testi scritti: la Grande iscrizione di Karnak, che descrive lo scontro armato, l’obelisco del Cairo, la stele di Atribis, nella quale si riesce a leggere una esposizione sintetica dell’iscrizione di Karnak, e una tavola lapidea, infissa in posizione verticale nel terreno, scoperta a Tebe, la stele di Merenptah, che sottolinea la situazione di non belligeranza in seguito al successo militare. I brevi testi scritti riportano che nella confederazione dei Nove Archi, formata parzialmente da tribù libiche che avevano la direzione delle manovre militari, vi era una notevole presenza di popoli del mare (gli Ekwesh, i Teresh, i Lukka, gli Shardana e gli Shekelesh). Il sovrano egizio sostiene che ebbe la meglio sui nemici solamente in sei ore[11], privando della vita 6.000 fanti e catturando 9.000 nemici[12]. La stele di Merenptah ricorda una ulteriore azione militare, capeggiata da Merenptah stesso, verso la regione di Canaan[13], dove vengono menzionati per la prima volta gli Israeliti[14].
 
Iscrizioni a Medinet Habu
Ramses III, secondo faraone della XX dinastia, dovette ostacolare una nuova penetrazione e diffusione in Egitto (la più conosciuta grazie ad una serie di documenti) da parte dei popoli del mare nel corso dell’ottavo anno[15] in cui guidò il Paese delle Due Terre. Egli racconta questo evento in un testo scritto di una certa estensione nell’edificio[16], dedicato al culto di divinità, di Medinet Habu[17]: «le nazioni straniere (Popoli del Mare) hanno messo a punto una cospirazione presso le loro isole. Improvvisamente essi hanno abbandonato le loro terre e si sono gettate nella mischia. Nessuno poteva resistere alle loro armi: da Hatti, a Qode, a Cherchemish, ad Arzawa e Alashiya, tutte furono distrutte allo stesso tempo. Un campo militare fu da loro insediato in Amurru; qui essi fecero strage della gente del posto e la terra fu lasciata in uno stato di desolazione come se non fosse mai stata abitata. Quindi essi si diressero verso l’Egitto dove era stato innescato il focolaio della rivolta. La loro confederazione era composta dai Pelaset, dagli Tjeker, dagli Shekelesh, dai Denyen e dagli Weshesh. Essi misero le proprie mani sulla terra che si stendeva, mentre i loro cuori confidavano che il piano sarebbe andato in porto»[18].
Diffusione dei Popoli del Mare

 

Dal momento che di alcune civiltà, fra le quali quella ittita[19], micenea e lo stato monarchico di Mitanni[20], non si hanno più notizie pressappoco dal 1175 a.C., gli storici hanno sostenuto che la loro scomparsa venne provocata dalle occupazioni territoriali da parte dei popoli del mare. I racconti di Ramses sulle scorrerie nel Mediterraneo orientale vengono avvalorati dalla devastazione di Hatti, Ugarit[21][22], Ashkelon e Hazor. È da mettere in evidenza che queste occupazioni territoriali non erano dovute solamente a campagne militari ma anche alle collegate e rilevanti migrazioni di popoli per terra e mare[23] alla costante ricerca di nuovi territori nei quali stabilirsi[24].

 
IPOTESI SULLA PROVENIENZA DEI POPOLI DEL MARE

Gli Shardana vengono nominati per la prima volta nei documenti egiziani e più precisamente nelle lettere di Amarna (1350 a.C. pressappoco) mentre fu a capo del Paese delle Due Terre Akhenaton. Appaiono in seguito quando diressero ed amministrarono lo Stato egizio Ramses II, Merenptah e Ramses III con i quali si scontrarono in parecchi combattimenti sul mare. 520 Shardana appartennero alla guardia reale di Ramses II nel corso dello scontro armato di Qadesh (Kadesh) e, ancora come soldati al servizio di chi li pagava, si insediarono nel Medio ed Alto Egitto sino al termine dell’epoca ramesside, come attestato da molteplici testi amministrativi risalenti al periodo in cui governarono Ramses V (pressappoco 1175 a.C.–Tebe, più o meno 1145/1144 a.C., XX dinastia) e Ramses XI (…-1078/1077 a.C., XX dinastia).

Guerrieri Shardana

I combattenti Shardana sono raffigurati nell’edificio di Medinet Habu, dedicato al culto di divinità, con armi di una certa estensione, armi corte adatte agli scontri ravvicinati, lunghe aste munite ad un’estremità di una punta e scudi di forma circolare. Indossano gonnellini poco estesi in lunghezza, hanno armature per proteggere il busto e la testa (quelle che coprono il capo sono fornite di corna). La somiglianza tra l’equipaggiamento bellico dei militi Shardana e quello dei Nuragici della Sardegna, ed inoltre l’affinità del vocabolo Shardana con quello di Sardi-Sardegna[25], hanno fatto supporre a diversi studiosi (come all’archeologo dell’Università di Cagliari Giovanni Ugas) che gli Shardana fossero un popolo originario della Sardegna o che si fosse stanziato nell’isola a causa della tentata penetrazione e diffusione nel Paese delle Due Terre.


Popoli del Mare

Invece i Šekeleš o Shakalasha sono stati accomunati ai Siculi, popolo indoeuropeo che si stabilì al termine dell’età del bronzo nella Sicilia orientale, cacciando verso occidente i Sicani. Una provenienza egeo–anatolica è in ogni caso altamente possibile. I Peleset sono stati associati ai Filistei, dei quali parla pure la Sacra Bibbia. Infatti stando alla stessa arrivavano da Kaftor, probabilmente coincidente con Creta. I Filistei si impossessarono, nella fase finale dell’età del bronzo, della Palestina dove fondarono numerosi centri urbani[26]. I rinvenimenti archeologici farebbero considerare l’ipotesi di una provenienza egea di questa etnia, verosimilmente micenea. Scoperte fatte da poco tempo hanno consentito di fissare la loro venuta in Sardegna contemporaneamente o precedentemente a quella dei Fenici. Gli Zeker o Tjeker vengono citati pure da testi ittiti e paiono avere con i Peleset la stessa origine, si differenziano solamente a motivo del loro interesse per le attività marittime. Sono stati pure posti in rapporto con i Teucri. All’opposto i Libu o Libici si stanziarono al di sotto della Cirenaica. Nelle raffigurazioni egiziane i Libu hanno peculiarità somatiche europee: incarnato di colore rosa, occhi azzurri e barba bionda slavata. I Lukka era probabile che abitassero presso il litorale marino meridionale dell’Anatolia e l’isola di Cipro. Erano ritenuti nei testi ittiti una nazione a tutti gli effetti con signoria sul mare. In seguito si insediarono verosimilmente nell’area anatolica della Licia. Si pensa che siano identificabili con i Licii e si potrebbe parlare in questo caso di un popolo greco-indoeuropeo. La denominazione di tale gente ha avuto origine dalla radice indoeuropea leuk–luk (luce). Gli Eqweš o Akawaša coincidono probabilmente con gli Ahhiyawa dei documenti ittiti di Hattuša[27] e Ugarit, ovvero verosimilmente gli Achei, Micenei di origine greca, che si erano oramai installati sul litorale marino occidentale dell’Anatolia. Un intralcio all’identificazione fra Eqweš e Ahhiyawa (o Achei) è dato dal fatto che i primi pare che eseguissero il taglio totale o parziale del prepuzio e che questa usanza fosse alquanto inusuale fra i popoli indoeuropei, ai quali gli Achei appartengono. La Millawanda dei documenti ittiti è possibile che corrisponda a Mileto[28], mentre Wiluša farebbe probabilmente riferimento a Ilio (Troia).

Stele di Lemno

Invece i Tereš o Turša (popolazione di origine verosimilmente non indoeuropea ma probabilmente egeo–ellenica, stabilitasi nei territori settentrionali dell’Anatolia) sono messi in stretta relazione con i Tirsenoi o Tirreni, vale a dire gli Etruschi. Questa identificazione pare confermare la narrazione di Erodoto[29] sulla provenienza anatolica di questa gente, ma specialmente la leggendaria parentela degli Etruschi con i Troiani, celebrata da Virgilio nell’Eneide. Relazioni dei Tirreni o Etruschi con l’isola di Lemno (che dista pochi chilometri da Troia) parrebbero esserci state a motivo del rinvenimento della Stele di Lemno, un breve testo scritto recuperato nel 1885, in cui è utilizzata la Lingua lemnia (un idioma che presenta affinità con l’etrusco). La stele sopramenzionata è sottoposta, ad ogni modo, alla valutazione attenta degli archeologi dal momento che parrebbe attribuibile al VI secolo a.C. Eppure ai Tirreno–Etruschi, nei documenti d’età miceneo–ittita o nelle composizioni classiche in versi di carattere narrativo (Odissea e Iliade), non vi è alcun accenno o allusione. Alternativamente diversi storici evidenziano il rapporto che intercorre tra la loro denominazione e l’ebraico Taršiš, oltre all’iberico Tartessos. Infine dei Danuna o Denyen, di origine anatolica, è stata suggerita una loro identificazione con i Dauni e i Danai, ulteriore appellativo dei Micenei di discendenza greca.

L’egittologa Alessandra Nibbi (30 giugno 1923–15 gennaio 2007) affermò con convinzione, iniziando dal 1972[30], che l’identificazione delle popolazioni denominate Popoli del Mare dipendesse da una errata interpretazione dei documenti egiziani, specialmente della Grande iscrizione di Karnak.
 
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[1] Beckerath, J. Chronologie des Pharaonischen Ägypten. Mainz: Philipp von Zabern, 1997, p. 190.
[2] Gardiner, A. H. Ancient Egyptian onomastica. vol. I. London: Oxford University Press, 1968, p. 196.
[3] Scrittura adoperata dai Micenei. Si è rivelata essere una modalità espressiva arcaica dell’idioma greco.
[4] Pilo di Messenia fu un centro abitato greco del Peloponneso.
[5] Se ne parlerà diffusamente in questo articolo più avanti.
[6] Aa.Vv. Antiche Civiltà. vol. I. Milano: RCS, 2005, p. 132.
[7] Centro urbano cananeo di epoca remota sul litorale marino del Libano, più o meno 37 km a settentrione di Beirut.
[8] Località archeologica in Egitto.
[9] Kitchen, K. A. Pharaoh Triumphant: The Life and Times of Ramesses II, King of Egypt. Warminster: Aris & Phillips, 1982, pp. 40-41.
[10] Wilkinson, T. L’antico Egitto. Torino: Einaudi, 2012, pp. 343-344.
[11] Cimmino, F. Dizionario delle dinastie faraoniche. Milano: Bompiani, 2003, p. 285.
[12] CantÙ, G. I misteri delle piramidi: magia e segreti dell’Antico Egitto. Milano: Giovanni De Vecchi, 1998, p. 228.
[13] Grimal, N. Storia dell’antico Egitto. Bari: Laterza, 2011, p. 351.
[14] Wilson, H. I segreti dei geroglifici. Roma: Newton & Compton, 1998, p. 97.
[15] Aa.Vv. Egitto: Storia e Mistero. Novara: De Agostini, 1999, p. 311.
[16] Aa.Vv. Egittomania. vol. II. Novara: De Agostini, 1999, p. 213.
[17] Denominazione attuale della località che accoglie un insieme di edifici dell’antico Egitto, dedicati al culto di divinità. È situata sulla sponda occidentale del Nilo, in prossimità di Tebe.
[18] Pritchard, J. B. Ancient Near Eastern Texts relating to the Old Testament. Princeton: Princeton University Press, 1969, p. 262.
[19] Bresciani, E. L’Antico Egitto. Novara: De Agostini, 2000, p. 272.
[20] Regno collocabile nella Mesopotamia settentrionale. Raggiunse la sua massima espansione sotto Shuttarna II.
[21] Centro abitato di un passato lontano del Vicino Oriente, a breve distanza dal moderno insediamento abitativo di Latakia in Siria.
[22] Jacq, C. L’Egitto dei grandi faraoni. Milano: Mondadori, 1999, p. 271.
[23] Lovelli, G. Rerum antiquarum et byzantiarum fragmenta. Tricase: Libellula, 2016, p. 48.
[24] Jacq, C. Vita quotidiana dell’antico Egitto. Milano: Arnoldo Mondadori, 1999, p. 221.
[25] Schlogl, H. A. L’antico Egitto. Bologna: Il Mulino, 2005, p. 102.
[26] Aa.Vv. Gli Egizi e le prime civiltà. Novara: De Agostini, 1998, pp. 176-177.
[27] Città sede degli organismi legislativi e amministrativi centrali dello Stato ittita. Inoltre fu una importante località religiosa e culturale.
[28] Insediamento abitativo sul litorale marino della Caria, in Asia Minore. Si caratterizzò per essere un discreto centro culturale, economico e politico.
[29] Storico dell’antica Grecia.

[30] Nibbi, A. The Sea Peoples: A Re-examination of the Egyptian Sources. Oxford: The Church Army Press & Supplies, 1972.


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