Tecnicamente “Lenita” non è un romanzo storico, essendo stato scritto e ambientato in un contesto contemporaneo all’autore, ma questa storia nel Brasile del 1887 mi ha comunque colpita e fatto nascere il desiderio di parlarne.
Dalla sinossi:
“Tradotto per la prima volta in italiano, questo romanzo di Júlio Ribeiro fu pubblicato nel 1888 con il titolo “A Carne”. Provocò scandalo e scalpore tra le famiglie tradizionaliste brasiliane per aver affrontato temi fino a quel momento ignorati nella letteratura, come il divorzio, l’amore libero e il nuovo ruolo della donna nella società.
È stato uno dei libri più discussi e popolari del paese per aver sbalordito una società che vedeva ancora la donna come un essere passivo e inferiore all’uomo, e a molte giovani è stato proibito di leggere l’opera.
Contrario a tutte le convenzioni sociali dell’epoca, l’autore brasiliano osa far conoscere al pubblico una protagonista indipendente, molto colta, con intensi desideri sessuali e che si dichiara a un uomo non per amore ma per desiderio carnale. Diversa dalle eroine tipiche dei romanzi borghesi, vergini intoccabili, caste e sottomesse, Lenita è decisa, ostinata e sensuale.”
Questo libro, lo devo ammettere, mi ha lasciato piuttosto perplessa, soprattutto dopo cotanta introduzione che aveva destato in me notevole curiosità. Nonostante continuassi a ripetermi che era stato scritto nel 1887 e che quindi rappresentava, senza dubbio, un elemento di rottura rispetto alla narrativa del tempo, Júlio Ribeiro carica la protagonista del suo romanzo di talmente tanti difetti e comportamenti abietti da farmi venire il sospetto che l’autore non intendesse affatto celebrare la donna libera e colta che cominciava a fare capolino al suo tempo, bensì deriderla sottilmente.
Lenita ha passato i 21 anni (è quindi maggiorenne), è orfana (non ha figure genitoriali o tutori che possano imporsi), è ricchissima di una ricchezza che si autoalimenta (non è chiaro in cosa consista ma pare non abbia bisogno nemmeno di un curatore o amministratore e nemmeno di occuparsene lei di persona) e le risulta quindi gioco facile estrarre la carta del “sono libera e mi sposo quando voglio.” Ma più che una donna indipendente e forte, Lenita ne esce, nella vicenda raccontata, come una figura frivola, volubile ed egoista.
Dalle mie parti si dice “Stupido è chi lo stupido fa”: nonostante infatti l’autore ripeta fin quasi alla nausea che la protagonista è una donna colta, Lenita pensa e agisce per tutto il tempo come ci si aspetterebbe dalla figlia del panettiere del paese (non basta voler giocare con le scintille elettriche per apparire erudita), con punte che sfociano nel vero e proprio disagio mentale (gode nel vedere frustare a sangue uno schiavo, tortura piccoli animali, quando va a caccia fa stragi per il gusto di ammazzare, riversa una caterva di disprezzo su una persona appena conosciuta solo perché di aspetto fisico diverso dalle sue fantasticherie in calore ecc.)
Leggendo Lenita e le sue parti “scandalose”, mi è tornato in mente il libro del 1973 Paura di volare di Erica Jong, divenuto famoso per la sua rappresentazione della sessualità femminile nonché assurto a bandiera del femminismo allora rampante. La protagonista Isadora Wing affermava di essersi sentita, per parte della sua vita sessuale giovanile, “anormale” non trovando riscontro tra i suoi orgasmi e quelli di Lady Chatterley, descritti da D.H. Lawrence nel suo celeberrimo romanzo. Questo finché Isadora non ha realizzato che quegli orgasmi erano descritti da un uomo e si è posta una semplice e illuminante questione: che ne sa un uomo?
La medesima domanda si è imposta nella mia mente leggendo Lenita: che ne sa Júlio Ribeiro della sessualità femminile, tanto più in quell’epoca in cui era coperta da una sorta di velo nero? La sua protagonista descrive se stessa, guardandosi indietro, come “vittima di isteria”, termine tanto caro alla medicina maschile e maschilista dei secoli scorsi per definire qualsiasi comportamento femminile fuori dagli schemi. Lenita oscilla tra la più pura e animalesca sottomissione alle pulsioni (niente a che vedere quindi con la coscienza e la padronanza della propria sessualità, ma sempre sudditanza a qualcosa più forte) e il comportamento vanitoso e capriccioso di chi è abituato a ottenere tutto.
La protagonista disquisisce di libertà dalle convenzioni, divertimento, possibili amanti esibiti in barba alla società – sempre grazie alla protezione del suo ingente patrimonio alle spalle – ma nel momento in cui potrebbe/dovrebbe dimostrare forza e carattere perseguendo questi progetti, eccola tuffarsi dietro al rassicurante paravento del perbenismo più assoluto, sposando letteralmente il primo che capita pur di incasellare la sua gravidanza nel confortevole schema sociale universalmente accettato e tanto deplorato fino a qualche giorno prima.
Così inizia la lettera con la quale Lenita lascia l’amante e gli annuncia il suo prossimo matrimonio:
“Al Signor Manuel Barbosa.
Nell’arrivare alla fattoria, ti sarai certamente sorpreso della mia partenza così brusca.
Avrai cercato una spiegazione: non l’hai trovata. E neanche io. Della mia partenza posso dire che avevo libero arbitrio. Inoltre sono una donna, sono bizzarra. Chi vuole discutere e spiegare i capricci di una donna? Vale infinitamente di più non ragionare e lasciar passare. […]”
Queste parole sono messe da Júlio Ribeiro in bocca alla protagonista, ma non può che trasparire come rispecchino lo sminuente pensiero dell’epoca (e non solo) sulla donna, comune a una certa frangia maschile. Un pensiero che nonostante questo libro, per me in maniera inspiegabile, sia passato come progressista, fa apparire la donna, per quanto colta, sempre come un essere fragile e irrazionale incapace di sottrarsi alla dominazione, sia essa una altrui volontà o una propria pulsione. Il comportamento egoista e poco edificante di Lenita con tutti quelli che la circondano, inoltre, manda il sottile messaggio che la donna che indulge al piacere sessuale sia comunque in sostanza un personaggio negativo. Risultano più contestualizzate e aderenti al personaggio le riflessioni atee e il comportamento dell’amante Manuel, già passato attraverso il “riprovevole” divorzio, nonostante il successivo (suo) finale da romanzetto d’appendice.
Che dire, è Lenita un libro da leggere?
Sì. Innanzitutto per la sua pregevole ambientazione in Brasile, in una fattoria circondata da piantagioni di caffè e canna da zucchero durante l’ultimo periodo in cui era in vigore la schiavitù. Poi senza dubbio per lo stile dell’autore che riesce a ricreare l’atmosfera della storia con poche e sapienti descrizioni e aneddoti. Pur essendo scabroso per l’epoca, il romanzo infine non è mai volgare ma risulta sottilmente impregnato di una sensualità che aleggia in ogni pagina. Una lettura piacevole di qualche ora, quindi, senza che vi si debba trovare in essa chissà quale eroina antesignana dei tempi.
Titolo: Lenita
Autore: Júlio Ribeiro
Editore: J. Ribeiro, A. Speranza
Pagg. 99