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IL PROCESSO (continua dall’articolo precedente)
La commissione che indagava sui Cavalieri del Tempio decise di fare chiarezza una volta per tutte sul presunto idolo Bafomet.
Le Commende Templari furono passate a pettine, ma l’unica statuetta non tipicamente cristiana che fu trovata fu un volto di donna in argento custodente delle ossa, senza dubbio un reliquario.
Dov’era il tanto chiacchierato idolo barbuto? Di certo gli incaricati dalla commissione non trovarono alcuna statuetta né affreschi eretici, altrimenti Nogaret – il cui scopo era quello di incastrare l’Ordine – non si sarebbe fatto sfuggire una simile prova di colpevolezza.
Il fatto che al processo sia stata presentata soltanto la suddetta testa di donna in argento la dice lunga sulle basi sulle quali si fondava l’accusa.
Alcuni studiosi posteri identificano questo famoso capo barbuto con il volto dell’Uomo della Sindone, ora conservata a Torino, che i Templari possono aver portato dall’Oriente e custodito in Occidente: prima in Inghilterra e successivamente in Francia.
Data l’esiguità e incosistenza delle prove a sostegno dell’accusa, il processo sembrava volgere a favore dei Templari. Purtroppo il destino avverso si manifestò nella morte di uno dei Vescovi della Corte. Filippo il Bello volle che il fratello di uno dei suoi Ministri, tale Enguerrand de Marigny Vescovo della vicina Cambrai, prendesse il posto del defunto. Il Papa, nonostante sapesse che quell’uomo non poteva assumersi il peso di una circoscrizione ecclesiastica, lo nominò ugualmente, sempre perché sotto l’influsso del Re di Francia. Anche i professori della Sorbona si espressero contrari: 19 su 22 la ritenevano infatti una scelta sbagliata. Con la nomina in commissione di quest’uomo fedele agli interessi del sovrano, i Templari non ebbero più scampo.
LA CONDANNA
Il primo provvedimento di de Marigny fu la condanna al rogo di 54 Templari per aver ritrattato le loro precedenti dichiarazioni.
Con questo segnale, gli altri Templari venivano intimoriti per evitare eventuali future ritrattazioni. I Cavalieri del Tempio vennero così colpiti duramente nello spirito da una nuova tortura psicologica: sapevano che chi avesse ancora difeso l’Ordine sarebbero finito bruciato vivo.
Alcuni Templari, tuttavia, ebbero ancora la forza di reagire. Lo testimonia questa dichiarazione di Aymeri de Villiers-le-Duc, del 13 Maggio: “Possa venir subito inghiottito anima e corpo dall’inferno se mento! Certo, sottoposto ai supplizi della tortura ho ammesso alcune accuse, quando sono stato interrogato alla presenza degli uomini del Re. Ieri ho visto bruciare vivi cinquantaquattro miei confratelli. Ho troppa paura di venir condannato al rogo. Non reggerei la minaccia, cederei di nuovo, dinanzi a Voi o ad altri. Vi supplico, non rivelate alla gens du Roi quello che ora vi rivelo, ché non mi si condanni al rogo”.
Mentre diceva ciò, s’inginocchiò davanti all’altare, spalancò le braccia e si percosse il petto. Questa deposizione quasi non ha bisogno di commenti e fa capire molto bene quello che provavano i Cavalieri in quel momento.
Il 18 Maggio ci fu la clamorosa fuga dell’avvocato Pietro di Bologna, che aveva rinunciato alla difesa. L’astuto italiano, dopo il rogo dei 54 Templari, aveva capito che ormai era tutto inutile e che il complotto era ormai irreversibile.
L’accusa continuò ad accumulare una serie di prove sulla colpevolezza dell’Ordine da presentare al Concilio di Vienne. Il Papa ebbe allora l’idea, forse sotto consiglio di Nogaret, di sospendere l’Ordine per via amministrativa: Clemente, in quanto Papa, ne aveva l’autorità. Una sua affermazione scritta ci dà le indicazioni importanti per capire questa sua decisione: “Se non si può abolire l’Ordine con una condanna, bisognerà allora sopprimerlo per via amministrativa, ché il nostro amato figlio, il Re di Francia, non ne abbia scandalo (ne scandalizatur carus filius noster rex Franciae)”.
La prima seduta del Concilio si tenne il 16 Ottobre 1311. A paragone di altri Concili del Medioevo, l’affluenza fu molto scarsa tanto che l’unico Re presente era Filippo. Vennero nominate due commissioni, invece della solita Assemblea Plenaria, alle quali fu sottoposto tutto il materiale del processo, con la richiesta di esprimere un giudizio chiaro (e rapido). La Bolla del Papa invitava a presentarsi al Concilio anche tutti i Templari. Si presentarono a Vienne 7 Cavalieri per difendere l’Ordine, dichiarandosi rappresentanti di altri 2000 (a loro detta) che si nascondevano nei boschi vicini. Accusarono Filippo il Bello e dichiararono che era la sua avidità a spingerlo in una tale azione. Il Papa li fece imprigionare e i poveretti finirono i loro giorni in carcere.
Clemente assunse una chiara posizione contro l’Ordine e chiamò i vari Commissari ad esprimere un parere, ma non in assemblea plenaria, bensì singolarmente nella propria residenza privata. L’intento era forse quello di piegarli al suo volere ma non ci riuscì: i Commissari chiesero di nominare altri difensori per gli imputati e tempo per fare maggior chiarezza. Il Papa, però, desiderava che la questione si chiudesse a più presto e decise quindi di sopprimere l’Ordine amministrativamente (ex autoritate apostolica). In tal modo non sarebbe stata necessaria alcuna difesa.
Il 3 Aprile 1312 fu resa pubblica la Bolla “Vox in excelso“ ed il Papa pronunciò le cruciali parole: “In considerazione della cattiva reputazione che grava sui Templari, del sospetto e delle accuse che sussistono a loro carico; in considerazione della cerimonia segreta di ammissione in quest’Ordine, della condotta perversa e irreligiosa di molti suoi membri; in considerazione del giuramento di non rivelare nulla a proposito della cerimonia d’ammissione, e di non uscire dall’Ordine; in considerazione dello scandalo, ormai non più sanabile; in considerazione dell’eresia a cui sono esposte la Fede e le anime, dei terribili misfatti commessi da un gran numero di membri dell’Ordine; in considerazione del fatto che Santa Romana Chiesa soppresse in passato, per motivi ben più lievi altri celebrati Ordini, Noi, non contravvenendo alle regole della Cavalleria e non senza intima sofferenza, non in virtù d’una sentenza giudiziaria ma ex autoritate apostolica, sopprimiamo l’Ordine suddetto con tutte le sue istituzioni”.
A questa Bolla ne fece subito seguito un’altra: “Ad providam Christi Vicarii” che concerneva la destinazione dei beni. Clemente assegnò ai Gerosolimitani le proprietà dell’Ordine dei Templari. L’unico che amministrò in modo degno le proprietà dei Templari fu il Re Diniz del Portogallo. Il 5 maggio 1319 egli fondò l’Ordine di Cristo, cui assegnò intatte tutte le proprietà dei Templari che fino ad allora aveva amministrato oculatamente.
Clemente V non avrebbe potuto fondare un nuovo Ordine dal momento che Filippo, avido di potere e di denaro, non avrebbe esitato a chiedere di ricoprire la carica di Gran Maestro (già si faceva chiamare Vescovo di Francia). Le decisioni finali del Papa in merito ai Templari furono:
- coloro che erano stati giudicati innocenti sarebbero stati mantenuti con i beni dell’Ordine e avrebbero potuto vivere nelle proprie case o in monasteri, purché non troppi nel medesimo luogo;
- coloro che non si erano pentiti e i recidivi andavano severamente puniti;
- coloro che, nonostante le torture, continuavano a non confessare dovevano essere giudicati secondo il diritto canonico;
- i fuggiaschi dovevano presentarsi alle autorità entro un anno.
L’Ordine fu soppresso, e non restava che terminare il processo per eresia ai singoli imputati e ai massimi esponenti dell’Ordine che continuavano a languire in prigione. Il Papa lasciò emettere la sentenza a una commissione che avrebbe dovuto fare le sue veci. Questa si riunì di nuovo a Parigi. La Commissione (presieduta da Marigny) rilesse ancora i capi d’accusa ai Cavalieri presenti che, erano quelli che coraggiosamente si erano presentati a Parigi per difendere l’Ordine. Questa volta non ci fu difesa e i Cavalieri vennero condannati al carcere a vita.
In questo frangente Molay disse una frase storica:“Alla soglia della morte, dove anche la minima delle menzogne è fatale, confesso chiamando il cielo e la terra a testimoni, che ho commesso peccato gravissimo a danno mio e dei miei, e che mi sono reso colpevole della terribile morte, perché per salvarmi la vita e sfuggire ai troppi tormenti, e soprattutto allettato dalle parole lusinghiere del Re e del Papa, ho testimoniato contro me stesso e contro il mio Ordine. Ora invece, sebbene sappia quale destino mi attende, non voglio aggiungere altre menzogne a quelle già dette e, nel dichiarare che l’Ordine fu sempre ortodosso e mondo d’ogni macchia, rinuncio di buon grado alla vita”.
Con affermazione il Gran Maestro andrà a pagare a caro prezzo la “colpa” di aver riconosciuto inizialmente i capi d’accusa contro l’Ordine. Fu quindi un martire della verità. Geoffroy de Charnay ebbe il coraggio di seguire l’esempio di Molay e ritrattò insieme a lui. Filippo colse al volo l’occasione e il 18 Maggio pronunciò la sentenza di morte: nello stesso giorno gli alti dignitari dell’Ordine furono bruciati vivi sull’isolotto di Pont Neuf, nella Senna, alle spalle di Notre Dame.
Per lo spettacolo si radunò una folla sterminata. Dai documenti che registrano le ultime parole del Gran Maestro si legge che l’ultima sua frase fu la richiesta al boia di allentare le catene per consentirgli di congiungere le mani in preghiera. Non corrisponde a verità la presunta maledizione lanciata contro Filippo il Bello e Papa Clemente V. La maledizione è una delle tante leggende nate dopo la soppressione dell’Ordine. Molay, da fervente cristiano quale era, non pronunciò parole di odio e vendetta nei suoi ultimi istanti ma si preoccupò delle sue colpe, chiedendo solo che gli fossero allentate le catene per poter giungere la mani in preghiera.
Dopo la morte di Molay nacquero molte leggende. Si dice, ad esempio, che il mantello del Gran Maestro non venne consumato dalle fiamme durante il rogo. Sebbene non vi fosse stata alcuna maledizione contro il Re e il Papa affinché fossero convocati dinanzi al tribunale di Dio, sta di fatto che Papa Clemente morì quattro settimane dopo e Filippo lo seguì lo stesso autunno. Lo stesso Marigny finì ucciso per impiccagione il 30 aprile 1315. Il popolo vide in quegli accadimenti la mano vendicatrice di Dio anche perché era sempre stato chiaro a tutti quanto il Processo che aveva portato alla soppressione dell’Ordine fosse stato una farsa, dovuta soltanto all’avidità del Re.
Ma come mai nessun Ordine Cavalleresco levò la propria voce a favore dei Templari? Perché i Gerosolimitani e i Cavalieri Teutonici restarono in silenzio? Proprio questi ultimi avrebbero potuto esercitare un notevole influsso, al riparo della loro sede centrale in Germania, sotto la protezione del Re tedesco e soprattutto lontano da Filippo. Purtroppo, però, Templari e Teutonici non avevano mai avuto relazioni amichevoli. I primi rimproveravano i secondi di aver copiato loro sia lo stemma che la divisa (bianca per entrambi). Persino la Regola era molto simile. I due Ordini furono in opposizione anche per motivi politici in quanto nella guerra tra impero e papato i Teutonici appoggiarono gli “Hohenstaufen”, mentre i Templari patteggiarono per i guelfi. Il Gran Maestro dei Teutonici fu inoltre un grande consigliere di Federico II che invece non era visto di buon occhio dai Templari in quanto scomunicato dal Papa. Queste tensioni sfociarono in una vera e propria guerra nel 1241 che vide i Templari vincitori mentre i Teutonici persero quasi tutti i loro possedimenti in TerraSanta.
Anche gli Ospitalieri non erano mai stati in buoni rapporti con i Templari e anche in questo caso ci furono vere e proprie guerre.
I Gerosolimitani si mostrarono invece in qualche modo cavallereschi: si dice che avessero preso contatto nelle prigioni con Molay per cercare di aiutare i Templari, ma il Gran Maestro li avrebbe sconsigliati di osare qualche azione, in quanto era ormai tutto perduto. I Gerosolimitani erano a conoscenza di quale fosse la dedizione dei Templari verso il Signore, avevano anche combattuto fianco a fianco in TerraSanta e sapevano con quale coraggio e determinazione questi si opponevano all’eresia.
CONSEGUENZE
Con la soppressione dell’Ordine fu la Chiesa, e soprattutto il papato, a subire un grandissimo danno. Un Papa aveva sacrificato un Ordine all’avidità di un Re. Si era quindi ben lontani dalla grandezza che il papato aveva avuto nell’alto Medioevo, quando Roma aveva ancora il ruolo di arbitro assoluto tra i sovrani cristiani. La Curia di Avignone era caduta ai piedi di Filippo il Bello diventando un suo strumento. Il grande Innocenzo III e i suoi successori avevano sempre considerato l’Ordine Templare come una sorta di esercito permanente della Chiesa che poteva essere impiegato ovunque a favore della Santa Sede, e di esempi ce ne furono molti: dalla Crociata contro gli albigesi, dove i Templari si mostrarono fedeli servitori della Chiesa, fino allo scontro con Federico II che venne combattuto dai Templari in Italia, accorsi tra le fila dell’esercito pontificio.
E’ difficile calcolare l’entità dei danni religiosi e culturali causati dalla soppressione dell’Ordine; lo scandalo del processo, le confessioni dei Cavalieri, la debolezza del Papa, lo schieramento di un subdolo Re contro un Ordine secolare, minarono le basi della società stessa, gli alti ideali Medioevali come la cavalleria, il senso dell’onore, la disciplina, il valore, la cortesia, la religiosità vennero messi in discussione.
Anche la Francia avrebbe tratto più vantaggi dalla sopravvivenza dell’Ordine che dalla sua soppressione. L’esempio è il Portogallo: i Cavalieri di Cristo che avevano ricevuto tutto il patrimonio dei Templari portoghesi, contribuirono non poco allo sviluppo del Paese, e alla nascita di una potenza marinara mondiale. Eppure la Francia aveva nei suoi confini molte province assai più potenti di quelle del Portogallo. Avrebbero potuto, ad esempio, servirsi dei Templari per contrastare le scorribande dei Saraceni che rovinavano i traffici francesi con l’Oriente. Lo stesso Re di Francia avrebbe fatto bene a ricordare che i suoi antenati dovevano la vita ai Templari: San Luigi, caduto in mano ai musulmani, fu liberato, insieme ai superstiti al massacro, grazie al riscatto pagato dall’Ordine tempare, non dalla Corona di Francia. Anche Luigi VII e il suo esercito furono aiutati dai Templari, che li guidarono nelle zone impervie, inospitali, e misero a disposizione la loro esperienza in fatto di guerriglia contro i musulmani. L’amore dei Templari per la patria d’origine si riconosceva in ogni loro azione. La Francia avrebbe potuto trarre grande vantaggio dai Templari, come fecero i Re tedeschi con i Cavalieri Teutonici.
Alla luce di tutto questo si può ragionevolmente pensare che la Chiesa abbia il dovere morale di rivedere il processo e di riabilitare l’Ordine. Il processo si svolse contro numerose norme di diritto canonico e civile e i Templari vennero trattati in modo disumano, le loro confessioni estorte con la tortura. Una revisione è tutt’altro che impossibile.
L’incontro con Nogaret segna irrimediabilmente il destino del glorioso Ordine del Tempio. È probabile che il consigliere del re abbia maturato, insieme al re stesso, la consapevolezza di poter saccheggiare impunemente l’Ordine. Se poi il saccheggio, quindi l’arricchimento, fosse stato accompaganto dall’annientamento dell’Ordine, il risultato sarebbe stato migliore. Non si deve dimenticare, infatti, che l’Ordine costituiva da tempo una forma di potere socio-economico rilevante, la prima multinazionale della storia. Inoltre l’oblio dell’ideale crociato insieme al ritiro dei Templari dalla Terrasanta, destava preoccupazione nei principi Europei. Se lo sviluppo dell’Ordine era stato così efficiente quando doveva occuparsi della gestione militare dei suoi Cavalieri in Terrasanta, ossia dovendo destinare una quantità notevole di risorse all’approvvigionamento e mantenimento dei Cavalieri, dei loro scudieri e dei cavalli stessi, nonché nella costruzione di castelli e roccaforti in una regione lontana ed ostile, cosa sarebbe stato in grado di fare quando tutte queste risorse economiche e organizzative, non fossero più state spese? Chi detiene il potere non vede di buon occhio le novità. In particolare in un periodo storico come quello medievale. La realtà dell’Ordine monastico-militare era fuori da ogni schema, era stata “inventata” dal grande Bernardo da Chiaravalle, e si mostrava fedele solo alla Chiesa. La stessa Chiesa che non è stata in grado di difenderlo. Dopo l’arresto fu presentata ai Templari una lunga lista di misfatti che da tempo sarebbero stati abituali nell’Ordine. L’imputato doveva sottoscrivere il documento di colpevolezza, in questo caso sarebbe stato perdonato e avrebbe potuto godere di una rendita a vita. Chi invece avesse negato le accuse sarebbe stato torturato fino alla confessione o alla morte. Molti cedettero alle torture sottoscrivendo l’atto di accusa e altri non ressero all’infamia, suicidandosi (lo fecero almeno in dodici). Le condizioni in cui vennero a trovarsi gli accusati furono terribili e la tortura a cui furono sottoposti fu di una crudeltà che parve spaventosa anche agli stessi uomini del Medioevo. La ferocia fu tale che molti morirono prima di poter confessare. Un trattamento atroce documentato da una vittima sopravvissuta fu quello di sfregare i piedi dell’imputato con del grasso e porlo davanti al fuoco: l’accusato perse molte ossa dei piedi, che potè esibire poi come prova in una successiva fase del processo. Ma non furono solo le torture fisiche che permisero agli aguzzini di estorcere le confessioni: ciò che contribuì al cedimento dei cavalieri fu il completo rovesciamento del loro sistema spirituale e sociale, perpetuato attraverso il completo isolamento fisico edinformativo.
CONCLUSIONI
I Templari restarono fedeli persino a una Chiesa che li perseguitava, difesero il loro nome malgrado le torture e i roghi, e si rivelarono i cristiani migliori, più santi dei Cardinali e del Papa che invece si piegarono vilmente a un’autorità statale iniqua.
Le eresie e i peccati che ci vengono attribuiti non sono veri. La regola del tempio e’ santa , giusta e cattolica. Sono degno della morte e mi offro di sopportarla, perchè prima ho confessato, per la paura delle torture, per le moine del papa e del re di Francia…
Con queste parole di ribellione l’ultimo Gran Maestro dell’Ordine, ritrattò la confessione, spinto da un’ultima fiammata di orgoglio e dignità.
La ritrattazione finale di Jacques de Molay e il suo sacrificio assieme a Geoffrey de Charnay il 18 marzo 1314 di fronte alla cattedrale di Notre Dame, sono la conclusione di una vicenda che lascia un alone di mistero, di un segreto che forse non verrà mai svelato. Il crepitio della catasta di legna ormai bruciata non spegne il ricordo della fine tragica e ingiusta di de Molay, mentre testimoni affermano che “la morte lo ha preso così dolcemente che tutto il popolo ne è rimasto meravigliato“.
Il tramonto dei cavalieri dal bianco mantello è arrivato ma l’eco delle loro spade, del loro coraggio e anche dell’infinita tragedia finale rimarrà vivo per secoli e secoli. La studiosa italiana Barbara Frale ha recentemente rinvenuto negli Archivi vaticani un documento che dimostra come papa Clemente V perdonò segretamente i templari nel 1314, assolvendo il loro Gran Maestro dall’accusa di eresia.
BIBLIOGRAFIA
– Dizionario Enciclopedico Italiano” della Treccani
– “I Templari ” di Enzo Valentini
– “I Templari “di Peter Partner ed. Einaudi Tascabili
– “Processo ai Templari – Una questione politica” di Malcom Barber , Editore: ECIG
Siti sui Templari:
– http://www.exultet.it/templari.html
– http://www.templaricavalieri.it/
– http://cronologia.leonardo.it/mondo27.htm
– http://it.wikipedia.org/wiki/Cavalieri_templari
– http://www.medievale.it/new_site/p03_001.asp
– http://www.maat.it/livello2/templari.htm