Nello scontro armato di Fidene (426 a.C.) si fronteggiarono le truppe romane, condotte da Mamerco Emilio Mamercino (periodo iniziale del V secolo a.C.-successivamente al 426 a.C.) alla sua terza dittatura[1], e quelle dei Fidenati e dei Veienti, unite da un patto di alleanza. I Romani batterono[2][3] le milizie nemiche e il centro abitato di Fidene[4] venne messo a ferro e a fuoco[5].

PRESUPPOSTI
Nel 426 a.C. vennero eletti tribuni consolari Tito Quinzio Peno Cincinnato, Gaio Furio Pacilo Fuso, Marco Postumio Albino Regillense e Aulo Cornelio Cosso[6] con l’incombenza di attaccare la città di Veio[7], rea di saccheggiare ripetutamente le aree soggette alla giurisdizione romana. Chiamati alle armi i cittadini romani, mentre Marco Postumio restò a sorvegliare il centro urbano, i restanti tre tribuni guidarono le forze armate romane in territorio nemico. Tuttavia i medesimi furono vinti, più per la loro mancanza di capacità nel coordinare le proprie operazioni militari che per l’eroismo degli Etruschi. A Roma la notizia della disfatta provocò lo sgomento dei suoi abitanti, pure perché i Fidenati uccisero senza pietà coloro che avevano occupato e abitato zone soggette alla giurisdizione di Fidene e avevano preso a coltivarle, tanto che il Senato stabilì di eleggere un dittatore, servendosi per la terza volta di Mamerco Emilio Mamercino[8].
SVOLGIMENTO DELLO SCONTRO ARMATO
Mentre i Veienti guadavano il Tevere[9] e giungevano a Fidene, Mamerco Emilio Mamercino affidò a Aulo Cornelio Cosso l’incarico di luogotenente e iniziò a reclutare soldati per l’incombente combattimento[10]. Emilio Mamercino, mentre sistemava provvisoriamente i contingenti romani a un miglio e mezzo da Fidene, protetto a destra da rilievi di modesta entità e a sinistra dal Tevere, comandò al proprio legato Tito Quinzio Peno Cincinnato di installarsi, di nascosto, su una collina dietro gli avversari[11].
La battaglia ebbe luogo il giorno seguente e si caratterizzò per la particolare ferocia dei combattenti. I Romani stavano per avere la meglio sugli avversari, quando da Fidene sopraggiunsero numerosi militi brandendo torce e gridando a squarciagola, cosa che suscitò grande scompiglio nell’esercito romano. Il dittatore ordinò allora che entrasse in azione la riserva, fino a quel momento tenuta celata. L’attacco della cavalleria romana provocò grave turbamento fra gli avversari e i cavalieri, muovendosi all’impazzata e sollevando un’enorme quantità di polvere, ne ridussero anche i movimenti[12].
Aggrediti da due lati ed ostacolati dalle rapide incursioni della cavalleria nemica, i Veienti fuggirono dal luogo dello scontro armato trovando rifugio oltre il Tevere, mentre i Fidenati indietreggiarono verso il proprio centro abitato, inseguiti dalle truppe romane fresche. Queste furono in grado di introdursi a Fidene e furono raggiunte in seguito dal resto delle delle milizie romane[13].

«In città il massacro non fu certo minore che in battaglia; infine i nemici, gettate le armi, si consegnano al dittatore, chiedendo soltanto di aver salva la vita. Città e accampamento vengono messi a sacco». |
(Tito Livio[14], Ab Urbe condita, IV, 34.)
RIPERCUSSIONIIl giorno seguente, dopo aver ricompensato con diversi prigionieri coloro che fra i Romani più si erano distinti nel combattimento, il dittatore condusse il resto dei Fidenati a Roma dove vennero messi in vendita come schiavi al miglior offerente. BIBLIOGRAFIA AA.VV., La Grande Storia, RBA ITALIA, Milano 2016; G. CLEMENTE, Guida alla storia romana, Arnoldo Mondadori, Milano 1985; S.J. KOVALIOV, Storia di Roma, Pgreco, Roma 2011; T. MOMMSEN, Storia di Roma antica, Sansoni, Milano 2001; M. PANI – E. TODISCO, Storia romana, Carocci, Roma 2008; A. SPINOSA, La grande storia di Roma, Arnoldo Mondadori, Milano 1998; A. ZIOLKOWSKI, Storia di Roma, Bruno Mondadori, Milano 2006. |
[1] Carica pubblica provvisoria.
[2] Tito Livio, Ab Urbe condita. IV, 34.
[3] Aa.Vv. La Grande Storia. vol. X. Milano: RBA ITALIA, 2016, p. 74.
[4] Pani, M.; Todisco, E. Storia romana. Roma: Carocci, 2008, p. 64.
[5] Clemente, G. Guida alla storia romana. Milano: Arnoldo Mondadori, 1985, p. 108.
[6] Tito Livio, Ab Urbe condita. IV, 31.
[7] Potente centro urbano etrusco, i cui ruderi sorgono pressappoco 15 km a nordovest di Roma.
[8] Tito Livio, Ab Urbe condita. IV, 31.
[9] Corso d’acqua di maggiore importanza dell’Italia centrale e peninsulare.
[10] Stando a Tito Livio questa fu la settima rivolta di Fidene contro Roma. Ab Urbe condita. IV, 32.
[11] Tito Livio, Ab Urbe condita. IV, 32.
[12] Tito Livio, Ab Urbe condita. IV, 33.
[13] Tito Livio, Ab Urbe condita. IV, 34.
[14] Autore romano di trattati storici.
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