Federica Battaglia, venuta alla luce nel 1989 a Bologna, si è laureata nel 2015 in Archeologia e culture del mondo antico (specializzazione in Egittologia) all’Università degli Studi di Bologna. Studiosa di archeologia ed egittologia, sin dalla fanciullezza amante della storia, desidera diffondere e far conoscere le peculiarità delle civiltà di epoca remota e la loro straordinaria attrattiva.
Di particolare importanza per una piena comprensione del testo La stele della figlia di Cheope (pubblicato nel mese di settembre del 2017) risulta l’introduzione. Nella stessa l’autrice spiega brevemente che: «la stele della figlia di Cheope, altrimenti nota come stele dell’inventario o Cairo JE2091, è un’epigrafe, apparentemente commemorativa, che ha sempre scatenato una certa curiosità ed interesse nel mondo dell’archeologia e non. Inizialmente, a suscitare tanto entusiasmo fu la lettura di parte della titolatura del sovrano Cheope, incisa in alto nella cornice dell’iscrizione. Attestazioni recanti il nominativo di questo celebre faraone della IV dinastia (2575 a.C. – 2450 a.C. circa) sono piuttosto rare, e quando i primi egittologi si trovarono di fronte a questa epigrafe, pensarono di avere tra le mani un reperto autentico dell’Antico Regno (2575 a.C. – 2125 a.C. circa). A ritrovarla fu il celebre egittologo francese Auguste Mariette, nel 1858. Si trovava nella piana di Giza per operare diversi lavori di scavo. Per la precisione, la stele fu rinvenuta all’interno di una delle tre piramidi secondarie site a sud-est della Grande Piramide. Tuttavia, il reperto non faceva parte del corredo della piramide, ma bensì di un santuario edificato al suo interno, appartenente ad un’epoca ben posteriore. Questa struttura è ora nota come il tempio di Iside, ed è l’oggetto principale del testo dell’epigrafe. La denominazione stele dell’inventario deriva, infatti, da una lista di statue ed emblemi votivi che dovevano fare parte del corredo del tempio e che l’iscrizione ci riporta, con tanto di raffigurazioni e legende. La costruzione templare è stata presa in analisi e studiata, in modo da poter contestualizzare il luogo del ritrovamento della stele, ricerca preliminare utile, di conseguenza, anche per cercare di attribuirne una datazione. Dopo aver analizzato con cura il contesto di ritrovamento della stele, si può analizzare il reperto in sé, dal punto di vista epigrafico, stilistico e formale.
La stele è in pietra calcarea, di forma rettangolare, le sue dimensioni sono 70 cm di altezza e 42 cm di larghezza. Il testo è diviso in due parti principali, nella cornice vi è una sorta di iscrizione introduttiva, che riporta parte della titolatura di Cheope, mentre nel pannello centrale figura l’inventario vero e proprio. Il motivo principale della fama di questo manufatto è dovuto alla controversia che è scaturita sulla sua veridicità storica. Questo poiché nel testo vengono riportate varie iniziative evergetiche che Cheope avrebbe operato presso Giza, tra le quali figurerebbe il restauro parziale della Sfinge. Questo libro vuole ripercorrere ed affrontare la storia degli studi e delle controversie di un reperto che ha fatto discutere, per cercare di giungere ad una verità effettiva. All’interno dello stesso mondo dell’egittologia, tuttora non c’è chiarezza in merito, tanto è che non si è ancora giunti ad un accordo unanime sulla questione. Da una parte vi sono studiosi che dichiarano la stele un banale falso storico privo di importanza, dall’altra chi cerca di valutare con obiettività il valore del reperto, sostenendo che riporta in ogni caso molte informazioni interessanti sulla Sfinge stessa, sulla topografia della piana di Giza e sullo sviluppo dei culti di Iside e di Horon-Horemakhet.
In fondo, il mestiere dell’archeologo consiste nell’interpretare le vestigia del passato per dare loro un significato e carpirne valore e funzionalità. Indagare, investigare e scoprire sono parole chiave in questa professione. Come fa notare Carandini, l’archeologo si dimostra simile ad un investigatore sotto certi aspetti, facendo un parallelismo romanzesco con l’acuto protagonista delle opere di Doyle: “Il metodo analitico deduttivo di Sherlock Holmes somiglia molto a quello della ricerca archeologica. Anche l’archeologo insegue il «libro della vita» e cerca di raggiungere tassi sempre più alti di scientificità.” Ed è proprio questo, a mio parere, il fascino dell’archeologia. Con l’avanzare del tempo si evolve, si sviluppa e amplia le proprie metodologie, collaborando con altre discipline, per aumentare e progredire il livello di conoscenza e cercare di divulgarla il più possibile».
Si ritiene che quanto detto nell’introduzione da Federica Battaglia abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità dell’opera presa in esame. Di grande utilità sono le cartine, le fotografie, i disegni e la discreta bibliografia. Un libro meritevole di attenzione che si consiglia di leggere e regalare a coloro che sono interessati alla storia e civiltà dell’Antico Egitto.
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Titolo: La stele della figlia di Cheope
Autore: Federica Battaglia
Editore: Harmakis Edizioni
Pagg. 118
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