Castel Mareccio tra storia e leggenda del fantasma di Clara

Castel Mareccio (Schloss Maretsch) si trova nel comune di Bolzano, ed è uno dei pochissimi castelli dell’Alto Adige costruiti su terreno pianeggiante.

STORIA

Si è ritenuto a lungo che il capostipite della famiglia dei Maretsch fosse un certo Berthold von Bozen (Bertoldo Bauzanarius, cioè da Bolzano) che fece costruire il primo nucleo del castello alla fine del XII secolo. I suoi due figli, Alberto e Mainardo, presero il nome di Maretsch dal possedimento sul quale era stato eretto il castello.

È opinione odierna, invece, che il casato di Maretsch compaia solamente dal 1275 con Enricus de Marets, un amministrativo al servizio del conte Mainardo II di Tirolo-Gorizia. Il torrione principale, infatti, è databile solamente nel Duecento mentre è dal Trecento in poi che si susseguono diverse fasi di ampliamento, di cui fanno parte anche il muro di cortina e i merli.

Volcmaro di Mareccio morì nel 1385 senza lasciare eredi e il castello passò al ramo Maretsch dei cugini, già proprietari del castello di Naturno. Per matrimonio il castello passò infine alla famiglia Reifer.

Christofer Reifer, che soffriva di manie di persecuzione, si ribellò al duca Sigismondo e fu da questi imprigionato. Liberato, venne incarcerato una seconda volta per aver disobbedito agli ordini del duca e costretto a pagare una multa ad integrazione della quale cedette il castello con le sue adiacenze. Così, dopo soli dieci anni, Castel Mareccio diveniva proprietà del duca Sigismondo che, nel 1476, lo vendette a Metzner. Questi lo cedette per “700 marche veronesi, moneta di Merano” al cognato Sigismondo Römer “tale e quale lo aveva acquistato dal duca Sigismondo”.

Sotto la famiglia Römer il castello conobbe il suo periodo più splendido. I figli di Cristoforo Römer ampliarono la costruzione dandole l’aspetto di un antico maniero dotandolo di quattro torri di differente diametro e altezza, del fossato di cinta con il ponte e di un muro verso la città. Vasti affreschi a tema biblico ed araldico decorarono il salone, la cappella e le torrette. Anche come riconoscimento per questi lavori, avvenuti tra il 1558 e il 1570, l’arciduca Ferdinando II d’Austria concesse ai Römer il titolo di baroni.

I quattro fratelli vissero in leale amicizia e la vedova dell’ultimo erede, Lukas, passò per matrimonio il castello alla famiglia Hendl che vi fece numerosi rifacimenti tra il 1629 e il 1634. Nel 1657 gli Hendl vendettero il castello al convento di Stams che l’anno successivo lo cedette a Guidobaldo di Thun, arcivescovo di Salisburgo.

Durante il periodo napoleonico la costruzione non subì gravi danni ma lo stato di abbandono nel quale era caduta fece andare in rovina gran parte delle decorazioni e dei soffitti.

Dopo che il conte Carlo Thun, maggiore generale in Boemia, lo vendette nel 1851 alla contessa Anna von Sarnthein, Castel Mareccio fu dato in affitto all’erario austriaco diventando per oltre mezzo secolo un deposito d’armi e un magazzino per la leva. Nel 1919 divenne sede dell’Archivio di Stato, ma gli unici locali usufruibili erano quelli a pianoterra e una parte del primo piano.

Importanti restauri furono portati a termine tra il 1930 e il 1931 che diedero al castello l’aspetto attuale. Negli anni Ottanta l’Archivio fu spostato altrove e Mareccio fu acquistato dall’Azienda di Soggiorno e Turismo di Bolzano che si occupò della sua valorizzazione.

Oggi Castel Mareccio è adibito a Centro Congressi e vi si organizzano numerosi eventi. È possibile visitarlo ma solo su prenotazione.

IL CASTELLO

Il portale d’ingresso, incorniciato di pietra arenaria con decorazioni a punta di granato alternato a rose stilizzate, porta lo stemma di Hendl-Thun, datato 1630.

Il nucleo primitivo dell’edificio è situato a nord del cortile ed è composto dal palazzo signorile e dalla torre, collegati tra loro da un breve muro di cinta. Il lato occidentale, ad uso abitazione, venne aggiunto tra il 1560 e il 1570, insieme con il porticato e il muro di ronda. Su una parte di quest’ultimo si trova il quadrato magico SATOR AREPO, parola palindroma che contiene il Padre Nostro e l’alfa e l’omega. L’esempio più antico di questo quadrato è stato rinvenuto a Pompei ma si trova anche in diverse parti del mondo, in ogni epoca. Nonostante i tentativi per cercare di capirne il significato, a tutt’oggi non si sa con esattezza se si tratti di una preghiera, una benedizione, una maledizione o qualcosa di completamente differente.

Sulla stessa parete del Sator si trovano le quattro torrette, di diametri diversi, erette per ordine dei quattro fratelli Römer fra il 1562 e il 1570, come indicano le lapidi in esse murate.

Dal cortile, mediante una scala esterna, si raggiunge una scala interna e quindi il corridoio del primo piano. Sulla destra si accede alla sala grande che è la più decorata del castello e presenta anche un fregio con gli stemmi delle varie famiglie imparentate con i Römer. Diverse sono le raffigurazioni dipinte: Davide che sta decapitando Golia; un combattimento tra Israeliti e Filistei; Giosuè a cavallo; il giudizio di Salomone vicino al quale si trova una visione del castello cinta da due guerrieri (due Römer, probabilmente Sigismondo e Lukas). Sulla parete settentrionale, dove si trovano le finestre, sono rappresentate le virtù teologali e cardinali che si estendono anche sulla parete occidentale dove è dipinta anche la scena di Davide che suona l’arpa.

Da notare, inoltre, la torretta di nordovest con il soffitto dipinto a foglie e frutti e quella di sudest, usata come cappella, con una serie di antichi dipinti ormai rovinati. Nel cortile si trova anche un affresco che ricorda l’incendio del 1573.

 

LA LEGGENDA DI CLARA

Su Castel Mareccio grava una leggenda d’amore.

Si racconta che la bellissima Clara, unica figlia dell’ultimo dei Mareccio, fosse fidanzata con un cavaliere di nome Teobaldo.

Il giovane, per conquistarsi onore e gloria, partì per la Terra Santa promettendo eterno amore alla sua promessa sposa e giurando che sarebbe tornato da lei.

Dopo tre anni Teobaldo effettivamente tornò ma, seguendo un costume spesso messo in atto dagli uomini, volle mettere alla prova l’amore di Clara. Si presentò quindi al castello sotto mentite spoglie, come uno stanco e lacero pellegrino che portava notizie dalla Terra Santa.

Ricevuto da Clara le raccontò che il cavaliere Teobaldo si era comportato valorosamente in battaglia, tanto che un ricchissimo pasha gli aveva offerto in dono la mano della propria figlia. E il cavaliere aveva accettato, decidendo di rimanere in quelle terre.

Clara, appresa la tremenda notizia, fuggì su per le scale per raggiungere la propria stanza che guardava sulle acque del fiume, chiudendosi all’interno con la motivazione di voler essere lasciata da sola a piangere.

Dopo il primo smarrimento, Teobaldo comprese l’amore di Clara per lui e, rivelata la sua identità ai castellani, corse assieme a loro fino alla camera della fanciulla.

Ma era troppo tardi.

Entrati a forza nella camera, trovarono la finestra spalancata. Teobaldo accorse alla finestra solo per scorgere, ai piedi del castello, un ammasso di veli bianchi.

Si dice che, di quando in quando nelle notti di luna, il fantasma della fanciulla vestita di bianco torni ancora a vagare per gli spalti del castello alla ricerca dell’uomo al quale ha dato la più terribile prova d’amore.

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