Massimo Bocchiola ha tradotto i testi di alcuni tra i più importanti autori di opere letterarie in lingua inglese (Pynchon, Kerouac, Auster e Welsh). Ha dato alle stampe i seguenti volumi contenenti componimenti in versi: Al ballo della clinica (1997), Le radici nell’aria (2004), Mortalissima parte (2007). Inoltre su giornali e pubblicazioni periodiche letterarie ha editato molteplici studi critici brevi. Marco Sartori, dedicatosi con impegno e serietà allo studio della storia romana, ha dato alle stampe parecchi studi critici brevi su pubblicazioni periodiche specializzate come Athenaeum e Rivista storica italiana. Docente, traduttore e consulente di svariate case editrici. Con Massimo Bocchiola ha editato L’inverno della Repubblica (2012) e Teutoburgo (2014).
Di particolare importanza, per una piena comprensione del saggio La battaglia di Canne, è l’introduzione intitolata Hannibal ad portas. In questa gli studiosi affermano che: «Il cammino della civiltà non è irreversibile. Crisi e catastrofi possono spingere indietro l’orologio della Storia e far ripiombare le comunità più progredite nel buio di una ferocia che credevano ormai alle loro spalle, sepolta in un passato di cui non si desidera neanche avere memoria. Tito Livio, il grande storico di età augustea, ricorda di sfuggita e con laconico imbarazzo uno di questi episodi, avvenuto nel 216 a.C.: Nel frattempo si fecero alcuni sacrifici straordinari, secondo i precetti dei Libri Sibillini; tra questi uno che non era affatto in uso presso i Romani. Infatti un Gallo ed una donna gallica, un Greco e una Greca furono calati vivi sottoterra nel Foro boario, in un luogo circondato da pietre, già da anni prima impregnato del sangue di vittime umane (Liv., XXII, 57). Dunque, per qualche motivo, i Romani sono tornati a una pratica sanguinaria che Livio ci presenta come in disuso, anzi ormai estranea ai loro costumi. Una pratica, quella dei sacrifici umani, a cui lo storico accenna nel mezzo di un elenco di altre misure di emergenza meno raccapriccianti ma di ben più vasta portata. Come la nomina di un dittatore, M. Giunio Pera. O il reclutamento nell’esercito dei cittadini più giovani, a partire dai diciassette anni (“ed anche alcuni che indossavano ancora la toga pretesta”, dunque diciassette anni non li avevano ancora compiuti) per formare ben quattro nuove legioni. A equipaggiare le quali, fra l’altro, non c’è una scorta di armi sufficiente: è necessario procurarle in ogni modo, anche portando via da templi e portici le antiche armi dei nemici consacrate come spoglie. E poi non basta ancora. Continuano a mancare uomini, tanto che lo stato riscatta a proprie spese ottomila schiavi per arruolarli dopo aver chiesto loro se accettano di combattere per Roma. Insomma, dal passo di Livio ricaviamo l’immagine di una città confusa, sbigottita, ridotta a opzioni estreme. La causa di tutto questo deve essere per forza un evento di straordinaria gravità. Niente di più vero.
La causa di tutto questo è Canne, il giorno più funesto nella storia della Roma repubblicana, una catastrofe militare le cui dimensioni e i cui semplici ragguagli numerici a tutt’oggi, dopo ventidue secoli, non finiscono di stupire e sgomentare. Gli eserciti schierati, l’andamento dello scontro, i caduti – tutto a Canne ci appare in scala macroscopica: la dimensione dell’evento annulla la distanza cronologica accostandolo paurosamente a noi attraverso la tragica familiarità con i grandi fatti d’armi del Novecento, delle guerre mondiali. … Ed ecco un primo punto su cui è il caso di soffermarsi. A Canne non c’erano armi da fuoco di nessun genere; men che meno le micidiali mitragliatrici o i grossi calibri di artiglieria capaci di rovesciare una tempesta di piombo sui fanti intrappolati nel fango della terra di nessuno. Non c’erano gli aerei dai quali nel secondo conflitto mondiale piovvero migliaia di tonnellate di esplosivo sulle armate, sulle fabbriche e sulle abitazioni civili. C’erano solo dardi, pietre e giavellotti, armi bianche e armi primitive, zoccoli di cavalli e mani nude, calci e morsi. Eppure il conto delle vittime di questa battaglia è nello stesso ordine di grandezza del primo giorno dell’offensiva britannica sulla Somme o delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Secondo la maggioranza degli storici, addirittura più alto. In poche ore, dice la tradizione più seguita, circa 40.000 uomini abbatterono con dardi e sassi, trafissero, sgozzarono, fecero a pezzi 60 o 70.000 loro simili servendosi soltanto della loro forza muscolare, alimentata dall’adrenalina e da una feroce etica guerriera. Dunque, Canne è uno dei fatti d’armi più famosi nella storia dell’uomo, e una delle più sanguinose battaglie campali: forse in assoluto la più sanguinosa mai combattuta in un sol giorno in Occidente.
I protagonisti sono noti a tutti. Da una parte il sommo condottiero Annibale Barca, erede della gloria militare di Cartagine e della sua famiglia, i Barcidi. Annibale che quando era fanciullo aveva giurato a suo padre odio eterno contro Roma. Annibale alla guida di uno strano esercito composito, fatto di veterani fedelissimi al loro comandante e di mercenari reclutati da poco con la promessa del bottino e della fine della potenza romana. Dall’altra parte le legioni di Roma – otto, un esercito quale la repubblica non aveva mai schierato, quale non si era mai visto in Italia – e i loro alleati italici più fedeli. Una macchina militare enorme, sotto il comando a giorni alterni di due consoli forse poco concordi sulla tattica e diversi per lignaggio e ambizioni: Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone. Fra tutte le battaglie, Canne è anche la più studiata dai generali e dai cultori di tattica e storia militare. Rappresenta lo scontro campale per eccellenza, l’apoteosi della scaltrezza e della duttilità di manovra. Molti ricorderanno cosa accadde in quella giornata. L’esercito di Annibale riuscì a neutralizzare e ad annientare l’esercito romano, superiore di numero in ragione di quasi due contro uno, dando ai suoi avversari scacco matto in tre mosse: sgominando la cavalleria, facendo flettere al centro le proprie fanterie, e infine risucchiando e accerchiando il nemico. Una sequenza di movimenti di geniale semplicità: così geniale e così semplice che sarebbe stata ripresa fino ai tempi moderni nei manuali bellici dell’Occidente; ma che in modo del tutto inconsapevole si è vista ripetuta nelle tattiche di popoli guerrieri ritenuti primitivi, come gli Zulu sudafricani. La fortuna di Canne, il fascino grandioso e sinistro che ha esercitato attraverso i secoli, si deve certo alle sue proporzioni, ma anche a quella che potremmo definire un’immediata comunicativa. In questo scontro tutto appare molto semplice, perfino schematico: abbiamo un genio della guerra contrapposto a un comandante meno capace e più presuntuoso e arrogante; un’armata di mercenari abili e navigati contrapposta a un esercito di cittadini coraggiosi, ma in maggioranza giovani e inesperti. … Mano a mano che ci avviciniamo alla realtà del campo di battaglia, le figure perdono tutta la loro asettica geometria e ci troviamo sempre più avvolti in una confusione di polvere, grida e colpi; in una bolgia assordante e fetida dove è impossibile avere non diciamo un’idea generale delle manovre che si stanno svolgendo, ma neanche il senso di ciò che succede cinquanta passi più in là.
La mischia è spaventosa, e i combattimenti continuano ore e ore lungo una traiettoria che … sembrava logica e ineluttabile, ma che – scopriamo ora, nel cuore dell’azione – in realtà mostra lunghe pause e momenti contradditori. E a poco a poco, paradossalmente, si ripresenta in noi l’incredulità di chi della battaglia conosce solo i numeri e non lo svolgimento. Perché vediamo e sentiamo aleggiare nel campo di battaglia anche l’incredulità dei Romani che vengono mietuti a mano a mano, senza di fatto potersi difendere. E l’incredulità, forse, degli stessi Cartaginesi che, ubriachi di sangue e di stanchezza, continuano a stringere il cerchio attorno alla massa sempre meno formidabile dell’esercito nemico. Perché … come è possibile, ci domandiamo adesso, che in una battaglia all’arma bianca, e sia pure una battaglia di accerchiamento – cioè uno scontro nel quale l’accerchiato è costretto dalla mancanza di spazio a opporre all’avversario solo una piccola parte del suo potenziale difensivo – cadano da una parte decine di migliaia di soldati e dall’altra solo poche centinaia? E ancora, a monte: come è possibile che questi Romani valorosi e feroci, maestri di guerra e disciplina militare, alla quarta battaglia contro Annibale dimostrino la stessa malaccortezza tattica che era costata loro le prime tre sconfitte, sempre subite malgrado schierassero eserciti più numerosi del nemico? In breve ci rendiamo conto che queste prime domande ne originano altre, meno strettamente legate a quanto sta accadendo sul terreno. Come ha potuto Annibale arrivare fino a Canne dopo avere disceso tutta Italia? Quali idee, quali progetti lo guidavano? E non ricorda, l’epica marcia del Cartaginese, altre marce di grandi condottieri? E i Romani, come poterono continuare a opporgli un esercito dopo l’altro, passando di sconfitta in sconfitta senza piegarsi, quasi senza demoralizzarsi, come se disponessero di una fucina in grado di produrre all’infinito soldati e capitani disposti a sacrificare le loro vite? Ancora: erano davvero così mediocri i loro generali, o non esprimevano, invece, un modo di combattere meno evoluto di quello del nemico? E poi, guardando oltre: quale rapporto di causa ed effetto sussiste fra tutti questi elementi e l’esito della seconda guerra punica? E infine: esiste anche al di fuori degli ambiti specifici di tattica e strategia una lezione di Canne? Lo schema degli eventi che accompagnarono e seguirono quella battaglia si è più ripresentato nella Storia, e potrà forse presentarsi di nuovo? In questo libro abbiamo provato a rispondere al maggior numero possibile di interrogativi».
Si ritiene che quanto detto nell’introduzione dagli autori abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità dell’opera presa in esame. Di grande utilità sono la bibliografia, l’indice dei nomi e la mappa della battaglia. Un volume meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e regalare a coloro che sono interessati alla storia romana ed in particolare a quella militare.
Titolo: La battaglia di Canne
Autori: Massimo Bocchiola e Marco Sartori
Editore: UTET
Pagg. 372