Luoghi comuni errati sull’antica Roma. Blog Tour “L’inviato di Cesare” di Andrea Oliverio.

Siamo giunti all’ultima tappa del blog tour dedicato al romanzo storico di Andrea Oliverio “L’inviato di Cesare”.

TRAMA

Roma contro Roma, Cesare contro Pompeo: mezzo secolo prima della nascita di Cristo, nella guerra civile che lacera la Repubblica, a nessuno è consentito di rimanere neutrale. Lucio Servilio Verre ha deciso da che parte stare e seguirà il proprio generale, uscito vittorioso dalla campagna di Gallia, nella sua lotta contro lo strapotere del Senato e dell’aristocrazia capitolina. Non tutti però hanno compiuto la stessa scelta: dall’altra parte della barricata il valoroso centurione troverà, oltre a individui senza scrupoli, vecchi compagni d’armi, decisi a sbarrargli il passo.
Prima che sui campi di battaglia, la contesa si consuma all’ombra dei sette colli, ma anche in Africa, tra i vicoli angusti e pericolosi di Leptis Magna. Un messaggio da consegnare, un piccolo tesoro da custodire: per portare a termine la sua missione, Verre dovrà districarsi tra funzionari corrotti, miserabili spie, sicari sanguinari e donne misteriose.

 

Andrea Oliverio
Andrea Oliverio

Nelle tappe precedenti del Blog Tour sono stati illustrati i seguenti argomenti:

 

I luoghi del romanzo, a cura di Septem Literary

I personaggi storici, a cura de La lettrice distratta

I personaggi inventati, a cura de Thriller Storici e dintorni

Il tradimento, a cura de Amabili letture

Ho letto con molto piacere il romanzo di Andrea Oliverio e mi associo ai giudizi positivi espressi dagli altri colleghi blogger. Al di là della storia narrata e dell’evidente preparazione dell’autore in merito al periodo storico, quello che balza all’occhio fin dalle prime righe è la qualità della scrittura e l’editing accurato del testo che ne fanno un libro di assoluto interesse e che mi sento di consigliare.

 

Per il Blog Tour, Storie di Storia tratterà di alcuni luoghi comuni nei quali ci s’imbatte quando si parla di storia romana, dovuti specialmente a quanto ci ha trasmesso nel tempo certa narrativa e filmografia di stampo hollywoodiano.

 

LUOGHI COMUNI ERRATI SULL’ANTICA ROMA

 

IL COLORE NERO

L’abbigliamento nero, si sa, è da sempre prerogativa dei “cattivi”. Ma davvero si possono descrivere personaggi dell’antica Roma vestiti di tale colore?

I romani ben conoscevano tale tinta che usavano nei loro dipinti principalmente con la tecniche della tempera, dell’encausto o dell’affresco.

Ritratto del Fayyum
Ritratto del Fayyum

Il nome attribuito variava a seconda dell’intensità e della luminosità del colore, per cui si aveva il nero lucente (nigrum) e il nero opaco (ater). Altri colori prendevano invece il nome dal luogo in cui venivano prodotti (esempio il blu egiziano o il rosso di Sinopia).

I pictor romani realizzavano la tintura nera con pigmenti e polveri di grafite che avevano ottenuto per combustione di resine o  pece. Più economico e di facile ottenimento risultava il nero fumo (fuliggine) che veniva usato per la creazione di inchiostro o per modificare le sfumature di altri colori.

Più pregiati erano i pigmenti neri che si ottenevano dalla macinazione di minerali e sostanze come ad esempio lignite, torba, magnetite, bitume, manganite, nero d’ossa e nero d’avorio.

La tintura dei tessuti, però, aveva tutta un’altra genesi: dalle incrostazioni all’interno dei tini per la produzione del vino si ricavavano i tannati di rame che venivano poi impiegati per la colorazione della stoffa. Questa tuttavia non aveva una tonalità che poteva definirsi propriamente nera, per cui è corretto affermare che gli antichi Romani, nelle occasioni che lo richiedevano, indossavano abiti scuri e non neri, non avendo essi le competenze per creare e fissare quel colore nella stoffa.

 

LE ROTTE MERCANTILI

Gli antichi Romani hanno avuto il dominio del mar Mediterraneo per lungo tempo. Le loro abilità di navigazione si sono evolute di pari passo all’esigenza di proteggere i traffici navali d’interesse romano. Soprattutto nella fase iniziale della sua nascita, Roma aveva il controllo di un territorio circostante limitato e circondato da popolazioni con le quali era spesso in guerra. Ne consegue che il sostentamento dell’Urbe, per derrate e materie prime, era in ampia parte possibile grazie ai trasporti per via marittima.

 

Rilievo con caudicaria, Età Imperiale, Museo Nazionale Romano
Rilievo con caudicaria, Età Imperiale, Museo Nazionale Romano

La necessità di proteggere le navi mercantili da eventuali attacchi di pirati o di navi da guerra nemiche portò allo sviluppo delle competenze marinare, sia in termini di capacità di navigazione che di costruzione delle navi, ma il vero balzo qualitativo avvenne in occasione della prima Guerra Punica. La lunga lotta contro Cartagine spinse Roma a uno sforzo bellico marinaresco (in campo finanziario, cantieristico e di addestramento) che la portò infine alla vittoria sul nemico e al dominio del bacino occidentale del Mediterraneo.

Il passo successivo fu quello di spingersi a Oriente, finendo per ingaggiare scontri con i maggiori regni ellenistici, i quali potevano vantare un’esperienza marittima antichissima. Tuttavia i Romani riuscirono a imporsi e a diventare la forza dominante, cosa che consentì loro l’espansione oltremare.

Con questa enorme forza navale militare in campo è facile immaginare un’altrettanto potente forza navale mercantile che solcasse il Mediterraneo attraversandolo da un punto all’altro. In realtà le navi commerciali, anche se non si trattava di caudicarie (imbarcazioni a fondo piatto adibite al trasporto fluviale, senza vela né remi e solo con un timone, trainata da uomini o bestiame) ma di onerarie (adibite al trasporto via mare, dotate di uno o due alberi e remi solo per le manovre nei porti), navigavano a vista della terraferma per puntare poi alla traversata nel punto in cui le due coste erano più vicine. Questa modalità di navigazione, dovuta anche spesso alla precarietà della stabilità delle imbarcazioni, allungava talvolta i viaggi via mare per la complessità della rotta.

 

Rotte mercantili romane
Rotte mercantili romane

 

LE TRIREMI

La trireme è stata la nave da guerra romana più comune nonché quella che è rimasta più famosa, e fu ampiamente utilizzata, pur con qualche differenza costruttiva, anche dai Greci e dai Fenici.

Battaglia navale nell'antica Roma
Battaglia navale nell’antica Roma

Per muoversi sul mare usava, oltre alla vela, tre file di rematori disposti sulle due fiancate dello scafo i quali costituivano la quasi totalità dell’equipaggio: sui 200 uomini che lo componevano, infatti, 170 erano rematori e solo la restante trentina era composta da milites addestrati alla guerra e impiegati negli arrembaggi.

Dotata di un doppio timone, nella parte inferiore della prua possedeva uno sperone di legno, rivestito di bronzo e con lame taglienti, chiamato rostro. Sporgente per un paio di metri, il rostro serviva a speronare e affondare le navi nemiche. Lungo i bordi si trovava una balconata sulla quale i milites potevano muoversi mentre i rematori restavano al riparo dai colpi nemici dietro alla murata.

 

Trireme romana
Trireme romana

 

Nonostante l’elevato numero di persone a bordo, non era una nave imponente come si cade in errore a pensare. La triremi era in realtà un’imbarcazione leggera e a dimensioni ridotte (circa una quarantina di metri di lunghezza), dotata di un solo albero con una vela rettangolare che veniva ammainata durante lo scontro. La sua caratteristica principale era quella di essere altamente manovrabile e veloce (poteva viaggiare alla velocità di 5 nodi), cosa che, per contro, sacrificò la stabilità e la robustezza del natante causandone dei limiti nella navigazione: non era adatta al mare aperto né alla navigazione notturna. Le sue dimensioni contenute, inoltre, non consentivano il carico di grandi scorte di provviste, per cui erano necessari frequenti scali.

Dal momento che era leggera e con poco pescaggio, poteva venire tirata in secco ogni sera (condizioni della costa permettendo).

 

SCHIAVI AI REMI
Charlton Heston in Ben Hur
Charlton Heston in Ben Hur

È questa una convinzione errata che ci proviene soprattutto dai film hollywoodiani come Ben Hur.

Nell’antica Roma i rematori, pur provenendo dalla quinta classe dei cittadini (la più povera) o dai capite censi (nullatenenti), erano comunque liberi cittadini e volontari. Solo nei casi di estrema necessità venivano arruolati forzatamente schiavi, carcerati o prigionieri di guerra. Va da sé che gli equipaggi migliori e più affidabili erano quelli composti da persone libere che assolvevano in questo modo il servizio militare nelle legioni o avevano, comunque, vitto e alloggio e una modesta paga. Inoltre potevano partecipare agli abbordaggi lanciando, all’occorrenza, giavellotti o usando fionde.

Non si trattava quindi di uomini ridotti alla fame e alla malattia da un trattamento crudele (sarebbero stati una ben povera forza motrice della nave) ma di un vero proprio equipaggio nel senso inclusivo del termine che veniva istuito e allenato per questo compito. L’hortator (che altri non è che l’aguzzino delle galere medievali) non doveva esercitare altro che il normale controllo e disciplina (quindi anche possibili punizioni, certo, come in ogni organizzazione militare), senza l’alone di crudeltà che gli è poi stato dipinto addosso.

Dunque niente catene, escrementi sul ponte, piaghe purulente da piaghe da scudiscio ma igiene della postazione di lavoro e cuscini sui quali sedersi, tutto a vantaggio dell’efficienza.

Solo dal XIII al XVIII secolo la schiavitù ha costituito un elemento essenziale dei commerci nel Mar Mediterraneo.

I costi di allestimento e di mantenimento di una flotta militare permanente erano diventati sempre più elevati fino a diventare insostenibili per molte Potenze dell’epoca, per cui, oltre a ricorrere al “noleggio” di navi private, si introdusse la classe dei forzati ai remi costituita da galeotti che dovevano scontare una pena. La condanna al remo fu la più diffusa in epoca moderna, tanto che il termine “galera” è tuttora sinonimo di “prigione”.

 

L'inviato di Cesare di Andrea Oliverio-minTitolo: L’inviato di Cesare

Autore: Andrea Oliverio.

Editore: Aporema Edizioni

Pagg. 254

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