È finalmente disponibile il seguito del romanzo storico egizio Il marchio di Sekhmet, il cui titolo è La Città dei Morti.
La storia del faraone Tutankhamon, nata con il racconto del ritrovamento della sua tomba, diventa ora di più ampio respiro, e si va a sviluppare in quattro episodi.
Opera “Il romanzo di Tutankhamon”:
0.1 Il marchio di Sekhmet
0.2 La Città dei Morti
0.3 Il sigillo di Anubis
0.4 La tomba del canarino (nuova edizione)
Molti di voi conoscono già La tomba del canarino. Questo romanzo è attualmente stato ritirato dalla pubblicazione perché uscirà a novembre con una veste nuova e in versione ampliata quale ultimo capitolo de “Il romanzo di Tutankhamon”.
La storia di cui vi parlo oggi, invece, inizia alla corte di Tutankhamon poche settimane prima della morte del giovane faraone, sovrapponendosi così in piccola parte con Il marchio di Sekhmet ma proseguendo poi di vita propria, sviluppando le premesse del libro precedente.
Il testimone di questa nuova avventura passa a Nimaat, un’ipotetica figlia del famoso scultore Thutmose, l’uomo che ha realizzato il celeberrimo busto della regina Nefertiti.
Ho scelto di raccontare il periodo immediatamente successivo alla morte di Tutankhamon perché è piuttosto interessante per varie ragioni.
Gli studi compiuti sul corpo del famoso faraone e sulla sua tomba evidenziano come sia il processo di mummificazione che la sepoltura non siano stati eseguiti in maniera ottimale bensì in modo piuttosto affrettato e con alcune modalità insolite.
Che cosa aveva spinto i protagonisti dell’epoca a un tale comportamento e quali erano le condizioni politiche che l’avevano determinato?
Bisogna considerare che la morte improvvisa di un sovrano così giovane e, soprattutto, senza eredi, doveva aver creato un pericoloso vuoto di potere nonché turbamento degli equilibri nella XVIII dinastia: niente e nessuno poteva più considerarsi in una posizione inattaccabile.
Al pari che nella storia di Khemfre ne Il marchio di Sekhmet, ho voluto in questo romanzo affiancare Nimaat con numerosi personaggi storici con i quali intrecciarne le vicende.
Da piccoli camei a presenze più importanti, troverete:
– il faraone Tutankhamon,
– il Grande Scultore Reale Thutmose
– il Sovrintendente ai Lavori nel Luogo della Verità, Maya,
– il capitano della Guardia Cimiteriale Thutmosis,
– il capitano Paramesse (qui ancora nel suo ruolo di ufficiale braccio destro del generale Horemheb, ma suo futuro successore al trono con il nome di Ramesse – o Ramses – primo della famosa XIX dinastia),
– l’Inviato Reale Hani
Il Grande Scultore Reale e il capitano della Guardia Cimiteriale, in realtà, si chiamavano allo stesso modo. Per non creare confusione con i personaggi ma volendo comunque conservare il loro nome originario, ho scelto di adottare per ciascuno di essi una delle due grafie con cui di solito viene indicato tale nome.
A seguire un estratto dove Nimaat, bambina, ricorda la scoperta del busto di Nefertiti nel laboratorio del padre.
ESTRATTO
«Vedi nessuno?»
Il ciuffo di capelli ribelli di mio fratello spuntava da dietro una giara nel cortile inondato dalla luce del tramonto.
«No» risposi, guardandomi attorno. «Sono andati via anche gli apprendisti. Dai, vieni!» Feci un cenno con la mano affinché mi seguisse e lo precedetti all’interno del laboratorio.
A poco più di sette anni non avevamo ancora l’età perché nostro padre ci permettesse di curiosare tra le sue opere in lavorazione o toccare i fragili calchi in gesso. Thutmose era consapevole che gli strumenti che custodiva nella sua officina di Primo Scultore del Dio, nonché la profusione di tinture e perle invetriate della più incredibile gamma di colori che il Kemet potesse produrre e che si trovavano custoditi in altrettanto ricchi e allettanti contenitori, esercitavano un richiamo irresistibile per gli occhi e le piccole mani inesperte dei bambini. Tuttavia io e Reneb, nonostante il preciso divieto, organizzavamo delle sortite esplorative non appena ci era possibile, soprattutto quando il severo genitore era impegnato a seguire le opere presso qualche tomba e i lavoranti approfittavano dell’assenza del suo occhio vigile per rincasare prima.
«Facciamo presto» bisbigliò, alle mie spalle, con voce ansiosa.
«Non ti preoccupare: voglio solo dare un’occhiata al nuovo lavoro di nostro padre. Gli apprendisti non fanno altro che dire che sia l’opera più bella che sia mai stata creata in tutto il Paese delle Due Terre!»
«Qualsiasi oggetto creato da lui non ha rivali» commentò, orgoglioso, mio fratello prendendo un piccolo ushabti di ceramica invetriata azzurra da uno scaffale.
«Lo penso anch’io. Per questo sono proprio curiosa di vedere cosa… Reneb, guarda su quel tavolo!»
Mio fratello sgranò gli occhi e si affrettò a rimettere sulla mensola la statuetta funeraria. Ci precipitammo al grosso tavolo, macchiato di tinture e consumato dagli anni, sul quale capeggiava il busto di una donna indossante un alto copricapo cilindrico.
«La regina!» esclamò, riconoscendola.
Nefertiti era inconfondibile, ma quel busto che la ritraeva era davvero la cosa più bella che avessi mai visto.
Lo stucco che ricopriva la pietra calcarea era stato modellato a ritrarre le fattezze del volto e del copricapo in maniera tanto fedele e perfetta che sembrava di trovarsi davvero di fronte alla Grande Sposa Reale. Gli occhi, un intarsio di cristallo di rocca con l’iride perfettamente incisa e rivestita di nero, sembravano vivi. Perfino il colore dell’incarnato, così omogeneo e realistico, toglieva il fiato.
Io e Reneb guardammo affascinati quel volto che trasmetteva perfezione, bellezza e regalità da ogni angolazione. Facendo attenzione a non sfiorarla, mi allungai verso la statua per studiarne i colori e il modo in cui erano stati stesi, a strati progressivi, sulla base di gesso.
«È bellissima e perfetta» mormorai, estasiata. «Quanto vorrei essere anch’io capace di creare oggetti così belli.»
«Lo sarai. Anzi, lo saremo entrambi: all’arrivo della stagione del raccolto avremo l’età per iniziare l’apprendistato. Siamo fortunati ad avere come maestro il migliore del Kemet.»
Reneb scoppiò a ridere ma io distolsi lo sguardo per nascondere l’amarezza, come se mio fratello non fosse stato in grado di leggermi dentro con un solo sguardo.
«Ehi, sorellina» riprese lui. «Lo so che nostro padre ha parlato solo di me, ma ti assicuro che gli farò cambiare idea.»
«Reneb, lo sai che non mi vuole perché io… perché io…» balbettai, la gola che si stringeva in un nodo di pianto soffocato.
Mio fratello si aprì in un largo sorriso dai denti bianchissimi e dall’aria furbesca. «Se vorrà avermi con sè in officina, dovrà accettare anche te e impartirci gli stessi insegnamenti. Non m’interessa nulla: se non ci sarai tu, non ci sarò nemmeno io. E non intendo cedere. Ti fidi di me, Nimaat?»
Titolo: La Città dei Morti
Autore: Isabel Giustiniani
Editore: Isabel Giustiniani Storie di Storia
Pagg. 290