Oggi parliamo per la prima volta di un uno non europeo: Hinmaton Yalaktit
Chi era Hinmaton Yalaktit? Meglio noto come “il capo Giuseppe” nella storiografia statunitense.
Giuseppe nasce nel 1840, figlio di…Giuseppe, capo di quello che rimane degli indiani Nasi Forati in Oregon. I nomi cristiani sono dati dal fatto che, sia lui che il padre, si convertirono alla nuova religione, probabilmente su pressione degli Statunitensi, come d’altronde stava accadendo per il resto delle tribù native americane.
Nel 1860 i Nasi Forati avevano perso la possibilità di vivere liberi come i loro padri; i superstiti della tribù erano stati confinati in una riserva negli attuali Oregon, Idaho e Washington, che teoricamente gli era stata donata per tutti i secoli dei secoli, similmente a quanto successo alle tribù Lakota di Nuvola Rossa e Toro Seduto.
Purtroppo la scoperta di giacimenti auriferi in loco (1863) forzò il governo USA a domandare la deportazione degli indiani in una riserva più piccola (da 31.000 km quadrati a 3.100 km quadrati). Non tutti gli indiani accettarono la deportazione e quelli che decisero di rimanere furono deliberatamente attaccati dai cercatori d’oro statunitensi, attacchi a cui reagirono nonostante il parere contrario di Giuseppe, che cercava di gestire una difficile mediazione. Questo infatti diede il pretesto agli americani di inviare un gruppo di soldati per condurre gli indiani all’obbedienza. Giuseppe decise quindi di tentare la fortuna radunando la sua gente e fuggendo per migliaia di miglia, verso il Canada, forse imitando Toro Seduto, che aveva ottenuto asilo.
Giuseppe radunò chi riuscì della sua gente e si unì ai comandanti indiani Uccello Bianco e Specchio nell’esilio verso nord. Disponeva di circa 250 soldati, 500 civili e un migliaio di cavalli. Chi li combatteva erano 2000 soldati del 2o e 7o battaglione di cavalleria, dotati anche di artiglieria campale, oltre che di un moderno equipaggiamento.
Inizialmente Giuseppe si mosse in Idaho e a Passo Molo sbaragliò un contingente statunitense riuscendo a salvare i suoi nel parco di Yellowstone. Successivamente, nel sud Montana, dopo aver ottenuto un rifiuto di alleanza dai Crow, Giuseppe e 200 dei suoi tennero testa agli americani per due giorni a Big Hole, un altopiano montuoso adatto alle manovre di guerriglia dove si stavano dimostrando dei maestri. In questa occasione gli indiani catturarono un obice da montagna e diverse munizioni.
Nuovamente, a Bear Pows Mountain, Giuseppe inflisse pesanti perdite agli americani e li costrinse ad arrestare il loro inseguimento per un po’. In seguito Giuseppe spinse con un attacco di non specificata natura e costrinse le truppe del capitano Howard a fuggire, cercando una posizione favorevole.
A soli 65 km dal Canada Giuseppe sentiva di avere la vittoria a portata di mano, ma non immaginava che da sud il generale Nelson Miles stesse giungendo con 3 reggimenti composti da veterani delle guerre indiane, pronto a portare soccorso ai reggimenti statunitensi, ormai fiaccati e demoralizzati. In totale, gli Statunitensi schieravano 1500 soldati per combattere forse 150-170 guerrieri indiani superstiti.
Assaltati all’improvviso nel loro accampamento il 30 settembre, i Nasi Forati di Giuseppe seppero organizzare la resistenza per coprire la fuga dei civili a nord, oltre il confine col Canada. Tennero testa al nemico per 3 giorni, dopodiché iniziò un pesantissimo bombardamento con vari assalti da ogni lato. Dopo altri 2 giorni di resistenza, le forze di Giuseppe erano allo stremo e la sua paura per la sorte sconosciuta dei civili lo costrinsero a negoziare una tregua. Riuscì ad ottenere il permesso di restare nella sua riserva di origine con la sua gente, ma gli americani si rimangiarono subito la parola e li trasferirono inizialmente in una riserva piccola e paludosa; poi fu la volta di una vicino a Tonkawa, infine, nel 1885, furono inviati a Coalville, nello Stato di Washington (i Nasi forati dovevano essere circa 300, in quel momento).
Giuseppe continuò a governare la sua gente per oltre trent’anni e morì nella riserva nel 1904.
La stampa statunitense, pare lo abbia chiamato in alcune occasioni “il Napoleone Rosso”.
La sua guerra lo portò a vincere 18 piccoli scontri, 2 scontri di grosse dimensioni e 4 battaglie, di cui non abbiamo molti dettagli.
La guerra finì con 125 morti per gli statunitensi e 103-130 per gli indiani.
Fonte:
Wilkinson, Charles F. (2005). Blood struggle: the rise of modern Indian nations