Torniamo a parlare di leggende, ed in particolare di leggende sul medioevo che molti credono vere.
Mi è infatti capitato di entrare in contatto con persone che ritengono che veramente la Chiesa sia stata guidata per un certo tempo da una donna sotto mentite spoglie.
La leggenda, devo dire, non era particolarmente diffusa tra il volgo prima del 2009, anno in cui uscì un film tedesco intitolato appunto “la Papessa” (Die Päpstin il titolo originale) che racconta, in parte inventando e in parte riprendendo i racconti leggendari, la suindicata storia.
Mi pare superfluo sottolineare che, al primo impatto, la storia di una donna che si traveste da monaco e poi sale al potere sul trono di Pietro qualche sonora risata non può evitare di strapparla: al mio occhio appare tanto un espediente narrativo alla Robert Louis Stevenson (presente quando Johanna ne “la Freccia Nera” si traveste da uomo per sfuggire alle grinfie di Sir Daniel?).
Per quanto riguarda la trama e la realizzazione della scena, il film di cui trattiamo ora non è propriamente brutto, anzi direi che partiva piuttosto bene: a rovinare il climax è stato quel finale orrendo, che nulla ha da tributare non solo alla storia, ma anche alla leggenda.
La pellicola, diretta da Sönke Wortmanns, segue la scia di altri film del periodo come Agorà, uscito proprio lo stesso anno, e mischia alcuni paradigmi storici con un vivo romanticismo e un velo di anticlericalismo un po’ alla Il Nome della Rosa.
Ripeterò qui alcune delle osservazioni da me fatte in un precedente articolo su Agorà, film dedicato alla figura di Ipazia di Alessandria, riguardanti soprattutto un’errata visione dello “stacco” tra età antica ed età medievale.
Non dirò troppo della trama del film, ma facendo riferimento alla leggenda, devo avvisarvi che mi vedrò costretto a fare degli inevitabili spoiler.
IL FILM
Per quasi tutta la prima parte della pellicola si tratta della vivida intelligenza di Giovanna, nata in Sassonia da un sacerdote di origini inglesi (forse facendo riferimento al fatto che fino ad un certo periodo ai preti fosse concesso contrarre matrimonio). Già l’introduzione ci racconta della devastazione portata da Carlo Magno nelle terre di Sassonia per convertire i pagani alla fede cristiana. L’Impero di Carlo trova certamente nel cristianesimo uno dei suoi caratteri fondamentali, tuttavia il film rimane muto sulle reali cause che portarono alla guerra.
I Sassoni erano una delle genti germaniche più bellicose stanziate a nord-est del fiume Reno: spesso e volentieri orde di guerrieri germanici provenienti dalla Sassonia attraversavano il fiume per fare scorrerie in territorio franco; ciò indusse re Carlo a muovere guerra per assoggettare quelle tribù. Anche una volta annesso ai domini carolingi, il territorio della Sassonia fu teatro di numerose ribellioni: ogni qualvolta l’armata di Carlo lasciava la zona dell’alta Germania per recarsi in altre campagne militari, i germani si rivoltavano distruggendo le roccaforti, bruciando le chiese e i monasteri e uccidendo i monaci e religiosi che li abitavano. Carlo adottò dunque il pugno di ferro, facendo giustiziare molti sassoni ribelli e instaurando una sorte di regime marziale.
Il film prosegue sottolineando la condizione di discriminazione della donna dell’epoca, cui era proibito imparare a leggere e a scrivere. C’è da dire che al tempo pochissime persone, indipendentemente dal sesso o dal rango sociale, imparavano a leggere e a scrivere, ma erano però già sorti diversi conventi femminili in cui la donna poteva raggiungere una sorta di affrancamento dalla prospettiva di un matrimonio, e avere accesso alla cultura: non si trattava di “prigioni”, bensì di piccole società interamente gestite dalle donne.
Le società germanica dei Franchi e dei Sassoni, erano prettamente società maschiliste, come anche la cultura romana e quella israelitica. Tuttavia il cristianesimo ebbe così tanto successo proprio perché il suo messaggio era rivolto ai membri di ogni sesso e di ogni status sociale: fu forse questo elemento a consentire il formarsi nella società medievale di grandi personalità femminili come Trotula da Ruggiero, che esercitò la professione medica, e Cristina da Pizzano, scrittrice e femminista ante litteram.
Il film tesse un po’ le lodi a S. Caterina e a S. Benedetto, come esempi di fede e di sapienza, cadendo però in errori piuttosto grossolani, come attribuire la decisione di chiudere la scuola di Atene a Giustiniano per avversione della filosofia: la scuola chiuse per ragioni ancora non del tutto chiare, tuttavia l’insegnamento della filosofia rimase attività del tutto lecita e ampiamente praticata sia ad Atene che altrove.
Gli ambienti monastici descritti nel film ricordano un po’ “Il Nome della Rosa”: il sapere medico e le invenzioni tecnologiche che nel medioevo erano appannaggio dei monaci vengono qui presentate come merito di una sola mente illuminata. Per non parlare delle penitenze inflitte negli stessi ambienti: digiuni totali e pene corporali non erano contemplati. I monasteri medievali erano anche gli antesignani degli ospedali, e i ricoveri per le malattie considerate infettive (lazzaretti e lebbrosari) venivano in buon parte gestite dai religiosi.
LA LEGGENDA
La storia della “Papessa Giovanna” risale al XIII secolo e si riferisce ad avvenimenti occorsi quasi quattro secoli prima. Il mito ebbe una grande diffusione, tanto da venire ripreso pure da Boccaccio.
La leggenda in questione ebbe origine in ambiente religioso a scopo satirico, e fu tempo dopo ripresa dagli ambienti antipapali tedeschi.
La storia in realtà ha numerose varianti, anche piuttosto diverse tra loro: alcune ci dicono che la donna seduta al soglio di Pietro si chiamasse Giovanna, altre Agnese, Gilberta o in diversi modi ancora. Costei riuscì a spacciarsi per monaco e a scalare i ranghi delle gerarchie ecclesiastiche fino a raggiungere la massima carica. La donna governò sul trono di Pietro per tre anni dall’853 all’855 con il nome di Giovanni VIII. In verità, il vero Giovanni VIII governò solo dall’872 per una decina d’anni.
Numerose varianti della storia riguardano pure la fine di tale “papessa”. La versione più famosa è quella più cruenta: Giovanna avrebbe concepito un bambino da un amante; nel corso della processione pasquale le acque si ruppero prematuramente, svelando l’inganno. A questo punto, Giovanna sarebbe stata legata per le caviglie ad un cavallo, trascinata in una piazza e lapidata dalla folla.
Il papa-donna fu praticamente cancellato dalla cronaca e il suo nome da pontefice fu assegnato a un altro papa, vissuto in seguito. Per evitare il ripetersi dello scandalo fu imposto l’uso, prima della proclamazione del pontefice dell’uso di una “sedia gestatoria”, ossia un trono in marmo con un’incavatura sul sedile: grazie ad essa un addetto avrebbe dovuto verificare che il candidato neoeletto fosse veramente di sesso maschile.
Come ultima onta per Giovanna, le autorità ecclesiastiche disposero che fosse cambiato il percorso della processione pasquale, in modo che non passasse più nel luogo dove era avvenuto lo scempio.
Giovanna riposerebbe insieme al corpo del figlio nella stessa piazza dove fu uccisa, che alcuni collocano tra San Giovanni in Laterano e Via dei Querceti, dove sorge una piccola edicola ormai semi abbandonata. Si dice anche di un’iscrizione che reciterebbe “Peter pater patrum papissa pandito partum”, la cui traduzione dovrebbe essere “Pietro, padre dei padri, tradito dal parto della papessa”. Un’altra versione dell’iscrizione sarebbe “papa pater patrum peperit papissa papellum”, tradotto come “la papessa che era papa partorì un piccolo papa”. Di nessuna delle due iscrizioni però abbiamo traccia in alcun luogo.
Le altre varianti del racconto dicono invece che il papa-donna regnò per un altro paio d’anni, oppure che fu bandita, ma poté crescere il figlio il quale divenne un ecclesiastico di grande fama, o addirittura un vescovo.
LA TEORIA COSPIRATIVA
L’alto medioevo fu certamente un periodo in cui le fonti scritte non abbondarono, ma dovremmo in qualche modo spiegare perché, nel corso di oltre tre secoli, non abbiamo una sola notizia scritta di un papa donna; non una lettera, non un libro conservato in qualche monastero. Qui non si trattava di far sparire i documenti da un archivio, ma di trovare e distruggere ogni prova sparsa in tutta Europa. Secondo le stime, per coprire lo scandalo della papessa Giovanna si sarebbero dovuti falsificare quasi due secoli di storia della Chiesa, cercando di far combaciare le date.
Nonostante tutto, c’è persino qualche ardito ricercatore intenzionato a non demordere, e a considerare la vicenda una realtà storica: Michael Habicht, archeologo australiano, crede di aver scoperto un’anomalia talmente rilevante da riportare alla ribalta la storia di Giovanna. In particolare Habicht avrebbe riscontrato delle differenze tra monete d’argento coniate proprio in quel periodo: alcune di queste recano un monogramma papale leggermente diverso da quello consueto.
Il ricercatore però non ha fornito grandi spiegazioni in proposito: non ha spiegato in che modo sia possibile ricondurre le monete “diverse” ad un periodo antecedente al Giovanni VIII che conosciamo, e nemmeno in che modo la faccenda delle monete comproverebbe l’esistenza di un papa di sesso femminile.
Se osserviamo i due modelli di moneta presentati da Habicht ci accorgiamo che il monogramma non cambia affatto per contenuto, ma solo leggermente nella forma: questo può essere spiegato in molteplici modi; forse era stato cambiato lo stampo, e magari si trattava di una variazione volontaria, di carattere puramente estetico.
Anche uno scrittore nostrano, Pietro Ratto, ha sostenuto la tesi di una storia reale e della falsificazione ecclesiastica per mettere tutto a tacere: sul tema ha scritto un libro edito in Italia nel totale silenzio. «Ho capito che avevo toccato un potere davvero forte, oltre ogni immaginazione» ha affermato l’autore. Da notare che già per il film Agorà si parlò di pressioni vaticane per non fare uscire il film in Italia, e questo solo perché uscì con qualche settimana di ritardo; dunque bisognerebbe avvisare Ratto che non basta che un libro non abbia successo per poter parlare di un “complotto vaticano”.
LA CONFUTAZIONE DELLA LEGGENDA
A rendere impossibile, o comunque assai poco credibile la vicenda è, oltre all’assoluta assenza di indizi storici a sostegno, anche il fatto che negli anni dall’ 853 all’855, periodo a cui risalirebbe il pontificato della “Papessa” sotto il nome di Giovanni VIII, il predecessore di quest’ultimo, Leone IV, era ancora vivo e vegeto (morirà proprio nell’855), e prima di giungere all’elezione di Giovanni VIII nell’872 si succederanno altri tre papi.
Fu David Blondel, pastore luterano vissuto nel seicento, a screditare del tutto la leggenda: tra le altre cose, egli dimostrò che la tradizionale processione pasquale, uno degli argomenti fondanti utilizzati dai sostenitori della veridicità della vicenda, non è mai passata nel presunto luogo in cui sarebbe stata sepolta la Papessa, nemmeno nei secoli precedenti.
La cosiddetta “sedia gestatoria” usata dai papi, è in uso da molto prima dell’epoca della papessa. Il significato della cavità nel sedile non è chiara, e forse ha un qualche significato simbolico legato al fatto che la Chiesa è definita “madre”.
Non esiste nemmeno traccia nella liturgia prescritta per l’investitura papale della famosa “ispezione” di cui si è detto poc’anzi.
Un’ipotesi abbastanza suggestiva è che la satira fosse riferita proprio ad un omonimo di Papa Giovanni, l’XI stavolta (pontificato dal 931 al 935): si racconta che Marozia, la madre di tale pontefice, che era una donna di nobili origini e dalle grandi ambizioni politiche, esercitasse un’enorme influenza sulla personalità del figlio, tanto che costui ne era totalmente succube. Da qui è facile capire come la satira può aver giocato: il Papa non era lui, era sua madre!
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