Una storia di odio e compassione ambientata tra i più umili nella Spagna medievale.

Il Bargello è un romanzo storico in cui non compaiono personaggi illustri né vengono trattati avvenimenti di particolare rilievo, tuttavia riesce magnificamente a far vivere al lettore l’atmosfera del tempo. Si sentono sulla pelle il freddo dell’inverno, la pioggia che entra nelle ossa, le ferite brutali inferte dalle frecce – che non guariscono mai del tutto – e quelle delle lame, che in un batter di ciglia possono trasformare il giovane più coraggioso in uno storpio se non un cadavere. Ma soprattutto, si percepisce e comprende la paura con cui tutti a quel tempo dovevano imparare a convivere e che non arriva solo dal pericolo dei briganti, i temibili albari dalle facce bianche, ma anche e soprattutto dall’interno del villaggio e dalle persone più insospettabili: chi dovrebbe difendere i più deboli e invece protegge solo chi fa più comodo.

 

TRAMA

 

Aragona, inverno del 1134.

Estranei al succedersi di re e corone, gli abitanti dei villaggi vivono le loro semplici vite. L’inverno non porta solo il freddo e la fame, ma anche la morte. Un gruppo di infami briganti, conosciuti come “gli albari”, si è accampato nei pressi di Lacorvilla e progetta di attaccare il villaggio.

Sancho il Nero è un povero carbonaio che cerca di sopravvivere meglio che può. Non condivide l’entusiasmo dei suoi compaesani all’idea di seguire il bargello nella lotta contro gli albari; non crede nella vittoria né nell’uomo che ha giustiziato suo padre. L’odio è reciproco, sono anni ormai che il bargello cerca un modo di scacciare il carbonaio dal paese. A qualunque prezzo.

Nel mezzo di questa lotta per la sopravvivenza, un misterioso cavaliere arriverà al villaggio proclamandosi eroe e salvatore delle sorti del villaggio, ma in realtà vuole appropriarsi di quello a cui alcuni tengono di più. Cosa succederà quando scopriranno le sue intenzioni? Come andrà con i briganti? E quale sarà il ruolo delle donne, decise a non restare nell’ombra?

 

ESTRATTO

 

A volte qualcuno la chiamava ‘La taverna di Bermudo’, per via del padrone. Ma i più la chiamavano semplicemente ‘la taverna’, era l’unica in paese e non aveva bisogno di un nome. All’interno si svolgeva quasi tutta la vita sociale del villaggio ed era il posto giusto per celebrare quelle riunioni importanti. E l’argomento del giorno, più che importante era vitale.
Jimeno intendeva esporre il suo piano ai compaesani e guadagnarsi la fiducia dei più adatti a portarlo a termine. A questo scopo aveva invitato gli uomini del villaggio, per cominciare a esporre la sua proposta. Arrivò davanti alla porta e spinse. Non c’era posto nemmeno per il silenzio. In nessun caso sarebbe potuto esistere in quella densa massa di voci umane che cercavano di farsi sentire sovrapponendosi l’una all’altra. Jimeno aveva invitato solo gli uomini ma persino i bambini piccoli erano presenti, accompagnati dalle loro madri. Tutti volevano dire la loro a proposito della minaccia che pendeva sul villaggio, ed erano ben pochi i compaesani che non erano scesi alla taverna in quella mattinata frenetica.
«Dannazione…» bofonchiò mentre entrava. Abbassò la testa istintivamente per non andare a sbattere contro l’architrave della porta.
Sembrava quasi impossibile che ci stesse anche solo uno spillo in più, con quella marea umana. Ma Jimeno si diede da fare con uno spintone a destra, uno a sinistra e si fece strada nel locale raggiungendo le prime posizioni. Alcuni si spostavano al suo passaggio, altri li spostava lui. Ben presto ebbe i palmi delle mani coperti di sudore altrui. Jimeno grugnì per il disgusto. Al fuoco della taverna si sommava il calore umano, e la temperatura interna era degna quanto meno dell’Inferno.
Guillén era salito su uno dei tavoli del locale e raccontava ai presenti i fatti della sera precedente. Né Jimeno né Alfonso gliene avevano parlato, quindi doveva averlo saputo da Sancho, il Nero. Le sue parole venivano ascoltate dai presenti con grande attenzione e la preoccupazione emergeva decisa al di sopra dell’odore pestilenziale che pervadeva il locale.
«…videro due cavalieri oscuri avvicinarsi a tradimento. Con le loro nere lance pronte ad uccidere…».
In pochi si accorsero della presenza di Jimeno, che ricevette qualche pacca sulla sua eroica schiena. Quando raggiunse le prime file vide sua sorella, Jimena, che era riuscita a farsi largo e si era messa in un angolino. Schiacciata nel poco spazio a disposizione e respirando la stessa aria impregnata dell’odore di decine di persone, scambiò un’occhiata con il bargello.
«Sorella…».
«Jimeno, come sta Alfonso?».
La bocca del bargello si curvò in un mezzo sorriso e disse a sua sorella che Alfonso stava bene. Che non doveva preoccuparsi per suo nipote. Era stato sfortunato, nulla di più. O il cavaliere era stato molto fortunato. Quando si trattava di lance o di combattimenti, il caso aveva un ruolo importante. La punta della lancia si era conficcata in profondità e non avevano potuto prendersi cura di lui prima di aver raggiunto il castello. A quel punto avevano visto che non aveva perso molto sangue, e che la ferita non era fatale. Gli avrebbe fatto male e poi sarebbe guarita.
«E quando avrà smesso di fargli male gli servirà di lezione».
Jimena rise.
«Una lancia nel culo» osservò scherzosamente, «che grande maestra! E io che credevo che la cosa migliore per i figli fosse insegnar loro un mestiere».

 

 

Titolo: Il Bargello
Autore: Carlos Pérez Casas
Casa editrice: indipendente
Pagg. 248
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