Uno straordinario romanzo ambientato nella lombardia del XVII secolo.
TRAMA
Autunno 1652. Un pugno di uomini, stanchi di subire le angherie dei nobili e dei soldati che razziano i paesi della brughiera lombarda tra una battaglia e l’altra, si raccoglie intorno a Bonaventura Mangiaterra, un capopopolo che affascina i suoi compagni con la Bella Parola, una versione personale e ribelle delle storie della Bibbia. Bonaventura diventa presto una leggenda tra i contadini e i poveri: ha carisma, saggezza e una lingua sciolta con cui predica la libertà, in breve la sua banda cresce di numero e forza, minacciando il potere costituito. Per fermare la rivolta, l’Inquisizione e i nobili della zona schierano infide spie e un esercito poderoso, ma quando riusciranno ad arrivare a Bonaventura, una sorpresa metterà in discussione tutte le loro certezze. Vent’anni dopo, la cantastorie Pùlvara ripercorre le stesse brughiere che hanno vissuto l’epopea di Bonaventura e della sua banda. La donna si era unita in gioventù a quegli uomini valorosi travestendosi da maschio e ora, in cambio di ospitalità, racconta ai contadini le loro imprese. Mano a mano che quelle gesta eroiche rivivono nelle sue parole, Pùlvara si avvicina sempre di più, come in un gioco che diventa reale, al mistero della vita di Bonaventura Mangiaterra. Un romanzo di ribellione e libertà, la storia di un sogno di giustizia e di una donna coraggiosa che sfida le convenzioni del suo tempo.
RECENSIONE
In cerca di un romanzo storico un po’ diverso dai soliti e di buona e bella scrittura, ho scoperto questo romanzo che mi ha subito catturato fin dalla prima pagina.
Si sviluppa su due piani temporali: uno nel 1652 e uno vent’anni dopo, nel 1672. La prima “voce narrante” racconta la storia di Bonaventura Mangiaterra alla guida di un manipolo di rivoltosi che inseguono quella che fin da subito appare un’utopia, ovvero ottenere maggiore giustizia per popolo dei terrieri contro i signorotti locali e la Chiesa, in una terra martoriata da continui abusi commessi dai potenti di turno; “Francia o Spagna, basta che se magna”, un proverbio che ancora oggi si ricorda. Il guaio è che mangiare non si mangia mai.
L’altra “voce” ci racconta la vita raminga di Pùlvara, un’anziana cantastorie che intuiamo avere una missione nel suo vagabondare apparentemente senza meta. Presto capiamo che la sua vita si è intrecciata un tempo con quella di Bonaventura e quando le loro storie dopo vent’anni torneranno a incontrarsi, finalmente scopriremo cosa li lega e il segreto che in qualche modo li accomunava.
Ciò che è straordinario in questo romanzo però è la lingua in cui è scritto, e l’uso che l’autrice ne fa: una lingua inventata ma molto più adatta di quella vera a farci immergere nella misera vita della Lombardia del XVII secolo, un mix di latinorum, di termini tratti da tutte le lingue parlate sul suolo lombardo su cui si sono avvicendati in tanti, ma anche modi di dire, proverbi e parole che fanno parte ormai del gergo lombardo, forse più che dei vari singoli dialetti. In questo modo l’autrice riesce a calare il lettore nel contesto storico, senza bisogno di ricorrere se non in minima parte a riferimenti storici o comunque colti che avrebbero rotto l’incantesimo creato dai giochi e dai ricordi di Pùlvara e dalle parabole profane di Mangiaterra. Un incantesimo che ci fa sentire sulla pelle il freddo, la paura, l’incertezza dei terrieri, dei più umili che vivono senza trovare mai pace neanche in chiesa, a causa di una miseria spirituale ancora più che materiale.
Un romanzo che merita di essere letto e che consiglio senza ombra di dubbio.
Titolo: Il Gioco di Santa Oca
Autore: Laura Pariani
Editore: La nave di Teseo
Pagg. 272