Barry Kemp è docente emerito di Egittologia all’Università di Cambridge ed è direttore della missione di ricerca ad Amarna sin dal 1977. Ha dato alle stampe Antico Egitto: anatomia di una civiltà e parecchi altri testi che si occupano soprattutto dell’età amarniana.
Di particolare importanza, per una piena comprensione del volume Il Pensiero egizio in 100 geroglifici (pubblicato in lingua italiana nel 2019), risulta essere l’introduzione dell’autore. Nella stessa Barry Kemp afferma che: «Probabilmente al giorno d’oggi le persone che conoscono la scrittura geroglifica sono tante quante quelle che sapevano leggere e scrivere nell’Antico Egitto. Molti testi pubblicati di recente vogliono essere una guida all’apprendimento dei primi passi nella lettura dei geroglifici. Questo testo non vuole però essere un manuale: ci presenta invece 100 geroglifici come chiave di accesso alla comprensione del mondo e della mentalità degli antichi Egizi.

I geroglifici egizi sono una delle fasi documentate più antiche nella creazione della parola scritta; una invenzione straordinaria e fondamentale per lo sviluppo di una società complessa. L’utilizzo di immagini nella scrittura – come del resto avveniva in altre scritture antiche – porta a ritenere che questa sia iniziata come una rappresentazione artistica codificata del mondo visibile. Le scene raffigurate nelle tombe, per esempio quelle di vita rurale o rituali religiosi, talvolta integrano fra loro testi e immagini in modo così stretto che l’intera scena sembra un solo geroglifico esteso e allargato, grazie anche al fatto che le convenzioni artistiche impiegate per geroglifici e figure erano le medesime e che uomini, animali e oggetti venivano rappresentati in un modo e con uno schema ben preciso, ignorando spesso le regole della prospettiva. Le righe o le colonne di geroglifici non sono però come parte di una sequenza cinematografica o una striscia a fumetti. Solo un numero relativamente piccolo di geroglifici – gli ideogrammi – sono immagini che rappresentano direttamente l’idea che vogliono comunicare. La maggior parte dei segni richiede invece la sostituzione mentale e la traduzione immediata dell’immagine rappresentata con concetti alquanto differenti, come suoni di lettere, singole o a gruppi. Rivelano una grande capacità mentale di superare quella che è la prima impressione di ciò che una immagine rappresenta e costruire invece un sistema di significati con una propria coerenza e integrità. La scrittura geroglifica, come tutti i sistemi di scrittura, è il prodotto di un livello di processi mentali altamente sofisticato. Non vi è nulla di naïf in tutto questo. Alcuni segni con sola valenza fonetica esprimono singoli suoni, come le lettere dell’alfabeto; altri esprimono un insieme di due o tre suoni. Un gruppo più limitato di segni, chiamati determinativi, possono venire aggiunti alla fine di un nome o di un verbo per collocare quella parola in una categoria più generale. Un buon esempio di un determinativo è rappresentato da un paio di gambe che camminano, che viene aggiunto alla fine dei verbi che indicano movimento. La scrittura geroglifica richiede una continua oscillazione avanti e indietro tra il simbolo e il suo valore fonetico, in quanto gli egizi mescolano insieme questi due aspetti per dare forma alle parole. Queste forme trasmettevano immediatamente il loro significato ai lettori dell’antico Egitto, senza che questi dovessero scomporre le parole nelle loro singole componenti. Chi oggi studia i geroglifici acquisisce rapidamente questa capacità, abituandosi rapidamente al fatto che gli egizi scrivessero normalmente da destra a sinistra, come le parole scritte in geroglifico all’interno di questo libro, sebbene in determinati contesti decorativi si scrivesse da sinistra a destra, rovesciando di conseguenza i segni. Per esempio, il segno, molto importante, nella parola niwt, che significa Città, ha sia valore di suono che la funzione di determinativo. Per enfatizzare la sua natura di ideogramma si aggiunge il segno |, mentre il segno che rappresenta un piccolo pane e che rappresenta la lettera t, indica che è un femminile. Tranne che per un vocabolo dal suono simile, utilizzato per indicare l’Oltretomba in testi mitologici, il segno principale non viene impiegato per scrivere alcun’altra parola. Viene però normalmente aggiunto ai nomi di città come determinativo, per specificare a quale categoria i nomi appartengano (cioè, ai nomi di città). Il segno principale che indica città è un simbolo che rappresenta in modo facilmente identificabile un centro urbano, in quanto costituito da una pianta semplificata di strade che si incrociano. Il verbo amare mri, al contrario, utilizza un simbolo raffigurante una zappa, che non è certamente in alcun modo correlato al concetto di amore. Anche se non ancora identificato nei testi, deve essere esistito un termine che indicava la parola zappa che aveva come due consonanti prevalenti m+r. Si generò così una convenzione secondo cui altre parole, incluso il verbo amare, in cui la presenza di m+r era prevalente, andavano scritte col geroglifico della zappa. Acquisendo così una dimestichezza con questa convenzione, un egizio, vedendo il geroglifico della zappa in un determinato contesto, come per esempio nei templi in cui il sovrano era il prediletto della divinità locale, avrebbe immediatamente letto la parola amore.

La lingua egizia era una lingua parlata e la maggior parte dei geroglifici rappresenta i suoni di consonanti e di alcune vocali pronunciate con particolare enfasi. Le vocali più deboli, che cambiavano col diverso uso grammaticale, non venivano scritte, come accade nell’arabo moderno. Dal momento che le parole non erano scritte nella loro interezza e che si tratta di una lingua ormai morta, non la possiamo parlare come avrebbero fatto gli antichi egizi. Troppe sfumature sono andate perdute. Sappiamo solo approssimativamente a quale suono corrispondesse ciascun geroglifico e questo ci fornisce uno schema, una struttura che possiamo trasferire al nostro alfabeto, procedimento chiamato traslitterazione. La traslitterazione viene espressa convenzionalmente in corsivo. Molti dei suoni delle consonanti egizie corrispondono a quelli presenti nelle lingue europee moderne, ma l’egiziano possedeva alcuni suoni che richiedono speciali lettere dell’alfabeto. Utilizzava quattro gradi diversi di durezza nel pronunciare il suono della h, ci sono due suoni per la a, resi dai segni 3 e ‘, di cui il primo più o meno corrisponde alla a italiana, il secondo che corrisponde invece a un colpo di glottide, come l’arabo ‘ain; due versioni della k, di cui la prima si legge come k e la seconda come una k pronunciata dal fondo del palato, simile alla q italiana; … L’assenza della maggior parte delle vocali significa che ci dobbiamo abituare, quando vediamo una parola come pr, che significa casa, a pronunciarla per. Sepolto all’interno di questo sistema della lingua geroglifica si trova un alfabeto. Questo ha trovato un uso proficuo nei moderni negozi di gioielleria per turisti, che si offrono di scrivere il vostro nome in geroglifico inserendolo meravigliosamente in un ciondolo d’oro o d’argento. Anche se sembra divertente, gli antichi egizi non avrebbero certamente fatto questo uso dei geroglifici. Quando infatti dovevano scrivere nomi stranieri, li dividevano in sillabe e usavano un insieme di geroglifici appositamente modificati a questo scopo e non pronunciavano i nomi con le singole lettere dell’alfabeto come facciamo noi. È facile e allettante per noi credere che un alfabeto sia un sistema più semplice da apprendere e utilizzare di quanto non lo sia il geroglifico, ma questo non è necessariamente vero. Un alfabeto occidentale, anche se costituito da un numero molto inferiore di segni, è un insieme completamente arbitrario di simboli che non è ancorato ad alcuna rappresentazione del mondo circostante. Il grande vantaggio, tuttavia, di un sistema di scrittura basato su un alfabeto è che può essere utilizzato per poter scrivere in qualsiasi lingua e non ha i suoi fondamenti in alcuna specifica cultura, mentre i geroglifici sono legati così strettamente all’antica lingua egizia che non possono essere utilizzati, considerando il sistema nella sua interezza, per scrivere in alcun’altra lingua. La scrittura geroglifica è di per sé una introduzione al pensiero degli antichi egizi. Non è il prodotto di un breve periodo in cui la gente si sia seduta per redigere una tabella in cui i segni, il relativo valore fonetico e il loro significato visuale venissero organizzati in modo logico, tentando di evitare duplicati e di riempire i vuoti. Il sistema appare invece come l’accumulo di abitudini basate su alcuni semplici principi, arricchito da una selezione personale idiosincratica e soggetta a quei processi di estinzione e crescita in direzioni divergenti, subiti da tutti i sistemi complessi in periodi di tempo molto estesi. È pieno di incongruenze e usi che ci sorprendono. Ma, nonostante questo, funzionava magnificamente. Quando gli scribi tentavano di migliorarlo, semplicemente vi aggiungevano nuove varianti. Le testimonianze relative alle fasi iniziali della scrittura geroglifica sono incomplete. Almeno a partire dal 4.000 a.C. chi realizzava ceramiche graffiava singoli segni sulla superficie di recipienti, probabilmente per indicarne la proprietà. Vi è una generale riluttanza a considerare questi segni una scrittura. Nel 1988 ad Abydos, in una tomba databile circa al 3150 a.C., un secolo e mezzo prima della I Dinastia, vennero rinvenute molte piccole placchette in osso e avorio che recavano gruppi di segni, di solito una o due semplici figure seguite da un numero. Questi sono i più antichi esempi di scrittura rinvenuti fino ad oggi in Egitto. Questi segni, anche se pochi, sembrano seguire delle regole e appaiono strettamente collegati a segni geroglifici di epoche successive. A partire dall’inizio della I Dinastia compaiono testi molto brevi che utilizzano un insieme abbastanza esteso di segni, indubbiamente esempi di una vera e propria scrittura geroglifica. Questi testi sono brevi e riportano i nomi di sovrani, eventi importanti ed elementi del sistema amministrativo. Si sono però dimostrati insufficienti a mappare in modo dettagliato l’evoluzione del sistema di scrittura, geroglifico per geroglifico. Dobbiamo attendere ancora cinque o sei secoli, fino alla parte finale dell’Antico Regno, per incontrare testi narrativi di lunghezza significativa scolpiti nella pietra ed esempi di testi scritti sul papiro: a questo punto il sistema aveva già raggiunto una sua maturità. Tutte le traduzioni di testi utilizzate in questo libro sono databili a periodi non antecedenti a questa epoca. Molte delle fonti scritte, sia racconti che utili suggerimenti di vita contenuti all’interno di manuali di istruzione scritti da famosi saggi, poemi amorosi, lettere private, comunicano con noi in modo abbastanza diretto. Altre fonti sono poi rappresentate da speculazioni filosofiche sulla natura dell’esistenza, scritte da sacerdoti. Queste creavano, in forma complessa, dettagliata e intricata, un Oltretomba in cui le forze che governavano l’esistenza – specialmente il dio solare – lottavano per mantenere il mondo in equilibrio. Il Libro dei Morti, una raccolta di formule e incantesimi, fu un testo religioso molto diffuso che forniva allo spirito del suo proprietario le conoscenze per navigare sano e salvo attraverso questo regno complesso e pericoloso. Le fonti che descrivono l’Oltretomba diedero molte conoscenze per scontate e non elaborarono un pensiero religioso. Gli egizi, che conoscevano i dettagli, non sentivano il bisogno di fornire una spiegazione semplice e coerente di questo mondo così complesso. Si sentivano arricchiti dall’accostamento di spiegazioni alternative, accettando le ambiguità e l’incompiutezza della conoscenza. Anche se discutevano le cause legali nei tribunali, non applicavano il sistema del contraddittorio – che mira al raggiungimento di un unico verdetto corretto – alla conoscenza speculativa. Allo stesso modo le divinità mostravano la fallibilità dell’uomo, soggetto alla debolezza fisica e morale, mentre contemporaneamente rappresentavano idee filosofiche come giustizia, verità, male e potere e gli elementi fondamentali dell’universo. La lettura dei testi religiosi egizi può essere una esperienza stupefacente, nel momento in cui tentiamo di entrare a esplorare una mentalità completamente diversa. Anche i singoli ideogrammi ci forniscono un modo del tutto unico per esplorare il mondo egizio. Non ce ne mostrano comunque un quadro completo, in quanto non tutti gli aspetti della loro esperienza e della loro cultura erano rappresentati da specifici geroglifici. Molte parole e molti concetti utilizzavano un segno dominante basandosi più sulla somiglianza fonetica che non su una rappresentazione diretta, come ho spiegato in precedenza per il verbo amare. Ciononostante, una selezione di 100 geroglifici ci può fornire uno schema iniziale del mondo degli antichi egizi, dei loro concetti e delle loro conoscenze.

Se vogliamo pensare come gli egizi dobbiamo pensare in geroglifico. Ho perciò creato qui un album di istantanee che ci mostrino cosa significasse essere un antico egizio. Parte di questa esperienza è ricreata attraverso l’ordine con cui presenterò i geroglifici. Le convenzioni moderne ci incoraggiano a elencare le conoscenze in ordine alfabetico, anche se questo è concettualmente arbitrario. Gli egizi non attribuivano questa importanza alle lettere iniziali delle parole. Un lungo testo, scritto intorno al 1000 a.C. dall’antico studioso Amenemope, ci presenta un insieme di informazioni sotto forma di una lista di parole. Non fornisce alcuna spiegazione delle singole parole, ma queste sono disposte secondo una progressione di associazioni. Alcune di queste associazioni sono abbastanza intuitive ed evidenti, ma qualche volta il legame non è così ovvio. La sua lista inizia con parole che indicano il cielo, l’acqua e la terra, per passare poi a categorie di persone, città dell’Egitto, tipi di edifici e terre agricole, per finire poi con l’elenco delle parti del corpo di un bue. Non ho seguito questo ordine, se non altro in quanto ho incluso anche azioni e concetti come, ad esempio, venire al mondo, mentre Amenemope si era limitato a nomi concreti. Anche io però ho tentato di seguire un flusso di associazioni, partendo dal mondo visibile che circondava gli egizi, proprio come fece Amenemope. L’antica civiltà egizia svolse il suo percorso in circa 3000 anni, a partire circa dal 3000 a.C. fino all’impero romano compreso. Le immagini dell’Antico Egitto che ci sono familiari, come le piramidi, Tutankhamon e i templi – come quello di Edfu che ci è giunto quasi completo – appartengono a periodi diversi di quest’arco di tempo e non vanno considerati come tipici al di fuori delle loro epoche di appartenenza. In questa sede tuttavia, ho generalmente ignorato le divisioni in diverse epoche e gli esempi da me considerati riguardano tutta la durata della civiltà egizia, in modo da fornire un quadro di una società che era differente da qualsiasi altra. La principale concessione che ho fatto rispetto alla lunghezza dell’arco temporale considerato è stata quella di collegare alcuni esempi allo schema delle dinastie egizie. Gli antichi Egizi vennero governati da sovrani scelti su base ereditaria (i faraoni) appartenenti a una sequenza di famiglie reali o dinastie. Queste vennero ordinate e numerate, non molto tempo dopo che l’ultima dinastia aveva avuto termine, in una sequenza da 1 a 30, da un sacerdote egizio chiamato Manetone. Egli visse durante il regno di uno dei sovrani di lingua greca che succedettero ad Alessandro Magno (che aveva conquistato l’Egitto nel 332 a.C.). Duemila anni dopo lo schema di Manetone ha ancora la sua utilità, anche se solo come canovaccio. Gli storici moderni raggruppano le dinastie in periodi più ampi: Antico Regno, Medio Regno, Nuovo Regno e Periodo Tardo, alternati a tre Periodi Intermedi in cui il paese era diviso in regni diversi con sporadiche guerre interne. Vi invito a condividere il fascino che esercita su di me una società esistita prima che qualsiasi elemento di modernità vi si potesse intrufolare. L’Antico Egitto ci mostra fino a che punto una civiltà possa giungere non solo senza tecnologie complesse, ma anche senza molte delle idee e dei sistemi di credenze che siamo inclini a considerare come il fondamento delle civiltà moderne. Noi siamo in grado di comprendere le origini dell’universo in un modo che era inimmaginabile per gli egizi, ma la domanda perché rimane ancora oggi senza risposta e porta molti a rivolgersi alla religione esattamente come accadeva per gli egizi. Personalmente ho molta fiducia nella moderna odontoiatria, ho un sentimento ambiguo verso l’interferenza del governo nella vita quotidiana e provo orrore nei riguardi della crescita esponenziale dell’odio e del numero di uccisioni che hanno avuto luogo nel corso della mia vita e di quella dei miei genitori. Gli antichi egizi si domandavano perché il mondo fosse un luogo così caotico e privo di armonia. Io mi faccio la stessa domanda e mi sento confuso e frastornato esattamente come lo erano loro. L’antico Egitto ci dà la misura di quanto grandi e, allo stesso tempo, quanto piccoli siano stati i cambiamenti del mondo negli ultimi millenni».
Si ritiene che quanto detto nella introduzione dall’autore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità dell’opera presa in esame. Di grande utilità sono la cronologia, la cartina dell’antico Egitto e la nota sulle fonti. Unica nota alquanto stonata risulta l’editing che in diversi passi dovrebbe essere più curato. Un libro meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e/o regalare a coloro che sono interessati a conoscere e studiare la scrittura geroglifica dell’antico Egitto.
Titolo: Il Pensiero egizio in 100 geroglifici
Autore: Barry Kemp
Editore: Kemet
Pagg. 212