Daniele Salvoldi (1982) ha conseguito la laurea triennale in Storia e Archeologia del Mondo Antico (2004) all’Università di Milano, la laurea specialistica in Lingue e Culture del Vicino e Medio Oriente (2007) all’Università di Pisa ed infine il dottorato in Egittologia (2011) alla medesima Università. Nel 2011 ha disposto in catalogo l’enorme raccolta di disegni dell’Egitto e della Nubia di William J. Bankes, custodita a Dorchester (Inghilterra). A partire dal 2014 è assegnista di ricerca al Dipartimento di Storia Antica (Geografia Storica del Mediterraneo) della Freie Universität di Berlino, tenendo un corso sull’istruzione e la politica nell’Egitto romano. Si è specializzato sul periodo finale del Nuovo Regno egiziano, sulla storia dell’Egittologia e sulla raccolta sistematica di documenti del Paese delle Due Terre.
Di particolare importanza per una piena comprensione del testo L’Egitto Romano da Augusto a Diocleziano (dato alle stampe nel mese di agosto del 2016) è sia l’introduzione dell’autore che la presentazione dello stesso da parte dell’editore nella quarta di copertina. Nell’introduzione Daniele Salvoldi afferma che: «Nell’estate del 30 a.C. Caio Giulio Cesare Ottaviano (il pronipote di Giulio Cesare, da lui adottato poco prima di essere ucciso), entrava vittorioso ad Alessandria dopo aver sconfitto le armate del rivale Marco Antonio e della regina egiziana Cleopatra. Poco dopo, i suoi nemici si suicidavano e l’Egitto, l’ultimo dei regni ellenistici, veniva inglobato nell’Impero romano, diventando una provincia dallo statuto particolare, governata da un prefetto che rendeva conto direttamente a Ottaviano (il quale, nel 27 a.C., assunse il cognomen di Augusto). Si estinse così la dinastia macedone dei Tolomei, che aveva governato il paese dal 323 a.C. Per l’Egitto aveva inizio una nuova era, sotto il segno di Roma.
Nel famoso fumetto Asterix e Cleopatra (1965), un arrogante Giulio Cesare si rivolge così alla regina egiziana: “Regina mia, bisogna arrendersi all’evidenza. Il tuo popolo è in decadenza! Ormai è buono solo per vivere sotto il giogo di Roma in stato di semi-schiavitù” Cleopatra risponde: “Tu dimentichi che il mio popolo ha costruito le piramidi! La torre di Faro! I templi! Gli obelischi!” Cesare, facendosi versare del vino, ribatte: “Roba vecchia, alla mercé delle piene del Nilo …”.
L’idea che spesso viene trasmessa di un paese decadente, arroccato su tradizioni millenarie in disfacimento, divenuto solo l’ombra della sua gloriosa storia passata, deve lasciare il passo a una valutazione più equilibrata della situazione, in grado di cogliere gli elementi di novità originali e il meccanismo di riciclo con cui le culture egiziana e greco-egiziana si riproposero nei secoli successivi in nuove forme. La relazione romantica fra Cleopatra e Giulio Cesare, e poi fra la regina e Marco Antonio, ha spesso attirato l’attenzione di studiosi e appassionati, come giustamente meritano una grande storia d’amore e di guerra e lo scenario di un incontro fra due grandi civiltà. Ma le relazioni fra Roma e l’Egitto, per secoli prima e dopo la conquista, non si limitarono a questo. La straordinaria ricchezza delle fonti documentarie provenienti dall’Egitto romano costituisce un caso unico, dovuto certamente alle condizioni climatiche del paese, che permettono la conservazione di materiali normalmente deperibili come il papiro e il legno, ma anche dovuto a una grande tradizione di civiltà della scrittura.
Gli scavi archeologici eseguiti in Egitto hanno restituito e continuano a restituire decine di migliaia di papiri e ostraka (schegge di ceramica usate come supporto per la scrittura) contenenti sia testi letterari sia documenti della più varia natura: lettere private, ricevute fiscali, dichiarazioni censitarie, decreti amministrativi, denunce di polizia, ordini militari, contratti di affitto o di vendita, comunicazioni fra dipartimenti dell’amministrazione, libri contabili, testi scolastici e persino inviti a nozze. Non siamo così bene e così direttamente informati su nessun’altra provincia dell’Impero romano, su nessun’altro luogo o periodo della storia mediterranea antica.
Se da un lato lo stato delle fonti ci permette di delineare abbastanza precisamente la natura della provincia romana d’Egitto e dei suoi abitanti, allo stesso tempo questa ricchissima messe di informazioni ha posto lo storico di fronte a un dilemma ancora in parte irrisolto: quanto di quello che possiamo affermare riguardo all’Egitto valeva anche per il resto dell’Impero romano? Quanto era invece tipico del solo Egitto? Uno studio attento delle fonti può aiutare a capire la strada da percorrere caso per caso, ma non vi è dubbio che l’unicità di questa situazione abbia contribuito a creare l’immagine dell’Egitto come di un posto particolare all’interno dell’Impero romano, una provincia diversa e caratterizzata da vere e proprie anomalie.
Questo intenso dibattito sull’unicità o meno dell’Egitto romano ha innescato in qualche modo un altro dibattito storico, quello che oppone una visione di prevalente immobilità della nuova provincia romana rispetto al suo passato regime monarchico (e in particolare faraonico) a una visione di marcata innovazione. Il dibattito, insomma, si concentra sui temi della continuità e della rottura, anche se gli studiosi tendono ora più chiaramente verso la seconda visione. In passato si è persino dubitato che l’Egitto fosse a tutti gli effetti una provincia, preferendo descriverlo come una proprietà privata del principe, amministrata da un prefetto che era equiparabile a un viceré coloniale, un po’ come il Congo belga della fine dell’Ottocento, possedimento personale di Leopoldo II (ma senza le stesse disastrose conseguenze sulla popolazione). Questa è senza dubbio una forzatura: le tasse pagate dall’Egitto andavano all’erario pubblico, non confluivano certo nel patrimonio privato dell’imperatore, così come le legioni stanziate in Egitto non erano le legioni di Ottaviano, ma appartenevano allo stato romano, mentre il prefetto era un magistrato pubblico, non l’amministratore di una tenuta privata. Gli elementi di rottura con il vecchio regime tolemaico sono tanti e non sono solo simbolici, come lo furono il rifiuto di Ottaviano di rendere omaggio al toro Api di Menfi, considerato una divinità dagli Egiziani (“Dicendo che era solito venerare gli dei, non i buoi”, Cassio Dione, LI 16,5) o di visitare le tombe dei re tolemaici dopo aver visto quella di Alessandro Magno (“Il mio desiderio era di vedere un re, non dei cadaveri”, Svetonio, Vita di Augusto 18,1; Cassio Dione, LI 18,5). Innanzitutto le fonti greche e in lingua demotica (si veda il Capitolo V) non si riferiscono mai ad Augusto rispettivamente come a basileus, “re”, o per aa, “faraone”; al contrario usano esclusivamente i nomi di “Cesare” o “imperatore”. Nei testi geroglifici, in genere più conservativi, vengono introdotti i nomi di “romano” e ancora “imperatore” (dalla forma greca autokratōr). Scompaiono anche i titoli di corte, spariscono i sacerdoti del culto dinastico, così tipici della regalità tolemaica, e viene abolita ad Alessandria la boulē, il consiglio cittadino (si veda il Capitolo III). Nelle parole dello storico e geografo Strabone, che dell’Egitto ebbe una esperienza di prima mano durante il regno di Augusto: “Così era, dunque, se non peggio, lo stato degli affari sotto gli ultimi re, ma i Romani hanno, al meglio delle loro capacità potrei dire, aggiustato la maggior parte delle cose, avendo riorganizzato la città … e avendo nominato in tutto il paese magistrati chiamati epistrateghi, nomarchi ed etnarchi, considerati degni di sovrintendere ad affari di modesta importanza” (Strabone, XVII 1,13).
I limiti cronologici di questo studio sono definiti da due date precise, la conquista dell’Egitto da parte di Augusto (30 a.C.) e l’avvento della Tetrarchia con Diocleziano (284 d.C.). Nessuna storia si esaurisce tuttavia fra due limiti cronologici precisi. È per questo motivo che un corposo capitolo sarà dedicato alla lunga fase dei rapporti diplomatici, politici, economici e culturali fra Egitto tolemaico e repubblica romana a partire dal 273 a.C. Per lo stesso motivo, il capitolo finale getterà uno sguardo al di là della storia dell’Impero romano, perché l’evolversi di alcune situazioni culturali e religiose non si interrompono con il passaggio all’età tardoantica. In tutto il resto del libro si farà comunque riferimento costante a episodi avvenuti prima o dopo questo limite temporale. Questa opera ha un taglio tematico e solo saltuariamente cronologico. Se è spesso difficile mettere in ordine temporale preciso tutti i processi politici e culturali, è tuttavia necessario considerare le differenze e le evoluzioni che si sono succedute in quasi tre secoli di storia e riconoscere che l’Egitto riorganizzato da Augusto è molto diverso da quello attraversato dalle persecuzioni di Decio trecento anni dopo (si veda il Capitolo IX). E, prima di iniziare questa narrazione, è doveroso esprimere la mia gratitudine ad alcune persone che hanno reso possibile questo lavoro e che mi hanno aiutato con suggerimenti su stile e contenuto scientifico: Giovanna Cicala, Antonino Crisà, Anna Dilengite, Maria Fornoni, Andrea Puglia, Albert Salvoldi e, in particolare, Giusto Traina».
Invece nella presentazione dell’opera da parte dell’editore il medesimo dichiara che: «Nello studio della storia antica, quello dell’Egitto romano (30 a.C.-284 d.C.) rappresenta un caso unico, sia per il particolare trattamento riservato alla provincia al momento della sua annessione sia per l’impressionante numero di documenti conservati. Dopo tre secoli di dominazione greca, che aveva però mantenuto l’indipendenza del regno e persino aumentato i confini territoriali, il paese si avviava a diventare una delle province di un impero tanto vasto quanto oppressivo. Passata l’epoca della splendida civiltà faraonica, l’Egitto seppe comunque evolversi e reinventarsi, mantenendosi al centro del mondo mediterraneo, fiorendo e persino eccellendo in nuove forme espressive. Attraverso lo studio delle fonti antiche e dei reperti archeologici, l’Egitto romano emerge in questo volume come una regione straordinaria, vero crocevia di culture e tradizioni, dove il sostrato indigeno, forte di una tradizione plurimillenaria, si incontra e si scontra con i nuovi elementi ellenistici, romani, vicino orientali e giudeo-cristiani. L’Egitto romano è terreno per una società multietnica, multilinguistica e multiculturale che negli oltre tre secoli di dominazione romana mantiene inalterati il prestigio e la cultura di una grande potenza mediterranea».
Si ritiene che quanto detto sia nell’introduzione dall’autore sia nella presentazione del libro da parte dell’editore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità del volume preso in esame. Di grande utilità sono le tre mappe, la bibliografia essenziale e le note a piè di pagina. Un testo meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e/o regalare a coloro che sono interessati ad avere informazioni dettagliate sulla dominazione romana nel Paese delle Due Terre.
Titolo: L’Egitto Romano da Augusto a Diocleziano
Autore: Daniele Salvoldi
Editore: Arkadia
Pagg. 152