Ogni anno, con l’approssimarsi del 17 febbraio, il web si riempie puntualmente di post commemorativi in onore di Giordano Bruno, al secolo Filippo da Nola, celebrato come paladino della scienza e della libertà di espressione, e bruciato dall’Inquisizione Romana proprio in quel giorno, nell’anno 1600.

Possiamo affermare che la memoria popolare del personaggio di Giordano Bruno sia coerente con le informazioni che la storia ci ha lasciato? Oppure ci troviamo di fronte ad un grandissimo errore di valutazione?

Capita molto spesso che dei personaggi storici vengano disprezzati o idolatrati a seconda di come si muove il “vento” del pensiero popolare; brutta cosa è che questo pensiero poggi le proprie fondamenta su un assai scarso bagaglio di informazioni storiche.

Una considerazione analoga, anche se sostanzialmente divergente, vale per le donne condannate e giustiziate per stregoneria nel corso dell’umanesimo-rinascimento: esse vengono innalzate come antesignane del moderno femminismo; si trattava invece, da quel che possiamo dedurre, di comuni donne dell’epoca, non impegnate in alcuna battaglia politica. L’innocente mandata al rogo muove certo più compassione di un Giordano Bruno, ma non può essere eletta arbitrariamente a simbolo di ciò che non fu.

Errore che si compie di frequente nel formulare un giudizio sulla figura di Bruno consiste nel partire dal presupposto che il tribunale che lo condannò fosse indubbiamente malvagio; da ciò viene fatto discendere a forza il successivo postulato: se l’Inquisizione era malvagia, Bruno doveva per forza di cose essere buono. Per tale motivo considero più opportuno scindere il Giordano Bruno arso sul rogo, vittima di un sistema non proprio equo di giudicare e di condannare, dal Giordano Bruno intellettuale e filosofo, assai lontano dall’idea di libero pensiero e libera espressione che il mito moderno ha costantemente ricollegato.

Trovando abbastanza poco serio il considerare semplicisticamente la storia come un conflitto tra buoni e cattivi, tralascerò di esprimere un parere diretto sull’operato del tribunale che condannò Bruno, concentrandomi per la maggior parte sui tratti salienti della vita del personaggio, al fine di tracciarne un profilo quanto più possibile veritiero.

Sulla figura di Giordano Bruno si sprecano pagine e pagine di elogi, che vanno a formare quell’immagine di libero pensatore, di delatore delle ingiustizie, nonché di scienziato o addirittura di anticipatore della scienza o del pensiero moderno: vedremo a suo tempo se tali elogi fossero veramente meritati.

 

Statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori

 

 

IL CONTESTO STORICO

Il contesto storico in cui si colloca l’intera vicenda di Bruno era caratterizzato da forti tensioni: lo scisma protestante era sfociato in gravi guerre e massacri e la minaccia dell’eresia riformista costituiva uno spettro che stringeva in una morsa di ghiaccio il mondo cattolico.

I protestanti, similmente agli eretici di quattro secoli prima, non erano dei pacifici riformatori, né degli zelanti contestatori, ma gruppi ribelli che avevano impugnato le armi contro le istituzioni ecclesiastiche, votandosi alla sua distruzione: poco meno di un secolo prima del rogo in Campo dei Fiori, i lanzichenecchi inviati dall’imperatore avevano percorso la penisola italiana lasciandosi dietro una scia di devastazione, culminata con il saccheggio e l’incendio di Roma.

Nello stesso periodo, in Svizzera, ad opera di Giovanni Calvino, si era instaurato un ferreo regime teocratico che si rese colpevole della morte di un enorme numero di persone accusate di abbracciare la vecchia fede, oppure di eresia o stregoneria.

Le altre frange del protestantesimo tra le quali, ricordiamo, quella anglicana creatasi con lo scisma promosso da Enrico VIII, non si mostrarono meno cruente.

In sintesi, se intolleranti furono i vertici cattolici, ancor più intolleranti si dimostrarono i riformatori, che con la scusa di voler schiacciare l’oppressore, perpetrarono oppressioni ancor più crudeli.

A fronte di tali fatti, essere individuati come protestanti, o come amici dei protestanti, nell’Italia del XVI secolo non volgeva certo a favore della propria reputazione di uomini onesti: quello era un modo molto efficace per cadere sotto la lente dell’Inquisizione, addirittura ancor più efficace che essere ritenuti dediti a pratiche stregonesche.

Uno dei comuni modi di pensare è questo: “Io non ho pregiudizi, avrei semplicemente giudicato Giordano Bruno senza tener conto dei dogmi religiosi o delle fazioni politiche che aveva abbracciato”. Provate però ad immedesimarvi in un contesto specifico: vi risvegliate nei panni di un’autorità politica o giudiziaria degli USA e un bel giorno vi ritrovate tra le mani un individuo che fino al giorno prima ha manifestato disprezzo per la bandiera “stelle e strisce” e pure è andato a braccetto con membri del KGB. In una tale situazione che fareste? Lo lascereste andare impunemente o lo considerereste un pericolo per la sicurezza nazionale?

 

Giordano Bruno

 

 

BRUNO E LA SCIENZA

Come ho lasciato intendere nella mia premessa, sono più propenso a considerare la condanna di Bruno come il frutto di chiare, anche se non del tutto condivisibili, motivazioni politiche, piuttosto che come il risultato di un dibattito di natura puramente dogmatica.

Tuttavia, prima di gettarci nell’intento di descrivere l’intricata esperienza di Bruno e i suoi rapporti con gli uomini del tempo, analizzerei in maniera sintetica il suo pensiero, sfatando il mito che il filosofo di Nola sia in qualche modo accostabile al sapere scientifico. Bruno infatti non recò prove a sostegno delle proprie tesi, ma se dobbiamo proprio dare un parere scientifico possiamo prendere le mosse dalle teorie e dalle constatazioni formulate dalla scienza moderna: le teorie di Bruno contemplavano l’infinità dell’universo e dei mondi abitati, la trasmigrazione delle anime e l’eliocentrismo; possiamo contestare tali affermazioni tanto sul fronte del dato scientifico effettivo, quanto sul versante del metodo di ricerca.

L’universo, per la fisica moderna, non è infinito: lo spazio, o meglio, lo spazio-tempo trova una precisa origine in un preciso momento della storia dell’universo (il Big-Bang, secondo la teoria più accreditata), dunque non ha senso parlare di ciò che possa trovarsi oltre i limiti dell’universo stesso. L’universo, dicono ancora i fisici, è in espansione, ma è dotato di una massa definita: l’implicazione logica è che non solo il nostro universo non ha estensione illimitata, ma non è nemmeno idoneo a contenere gli infiniti mondi di cui parla Bruno.

Nessuna teoria di Bruno sembra fare riferimento alla teoria del multi-verso, dunque non sembra possibile sostenere che il filosofo di Nola si riferisse all’esistenza di dimensioni parallele, tesi comunque ancora dibattuta dai fisici odierni. La teoria degli infiniti mondi sembra più che altro posta a sostegno della teoria della reincarnazione; qui ci troviamo su un terreno in cui la quasi totalità degli scienziati manifesta un aperto scetticismo.

Vero il fatto che Bruno fosse un sostenitore della teoria copernicana-eliocentrica, tuttavia ancora una volta l’elemento scientifico-probatorio risulta assente: qualcuno ha ipotizzato che la figura di un universo con il sole al centro rispecchiasse il pensiero magico-ermetico di Bruno piuttosto che un suo sincero modo di pensare la conformazione del cosmo.

Solo qualche decennio dopo il processo al filosofo di Nola, Galileo Galilei cercherà di fornire una dimostrazione scientifica del sistema eliocentrico. Giunti a tale punto, possiamo sostenere che Bruno fosse del tutto carente tanto del carattere argomentativo, quanto dello spirito di osservazione proprio dell’uomo di scienza. Ad ogni modo, il sostegno alla teoria copernicana non costituì motivo della condanna di Bruno.

Da notare come il filosofo francese Pierre Bayle, nel suo Dizionario storico-filosofico, consideri Bruno un nemico da combattere in nome non della religione, ma della scienza stessa.

 

IL PENSIERO MAGICO

Tematica ricorrente nelle opere di Bruno è la magia: egli parla di un infinito universo, di infiniti mondi e di reincarnazione. Le teorie c.d. “scientifiche” di Bruno, a questo punto, non sarebbero nulla più che asserzioni degne della new age: nulla che possa essere considerato, nemmeno a larghe vedute, scientifico.

Abbiamo già avuto modo di far notare, seppur in estrema sintesi, che le note di cordoglio e di elogio per Giordano Bruno risultano assai povere: non dicono nulla della sua filosofia, né del suo carattere. Se dovessimo chiedere a chiunque condivide i post commemorativi del 17 febbraio di dirci qualcosa di Giordano Bruno, possiamo supporre che le risposte si spingerebbero di poco oltre al “è uno che è stato bruciato dall’Inquisizione”.  Numerosi aspetti della sua vita, se non la totalità di essi, vengono puntualmente trascurati o lasciati sullo sfondo, quando invece dovrebbero essere assunti a indici del corretto ritratto storico e divenire il metro di giudizio del personaggio. Uno di tali aspetti è certamente la magia che, secondo alcuni, era un innocuo passatempo; anzi, il revival dell’esoterismo sembra contribuire a far apparire Bruno ancor più simpatico al grande pubblico.

La magia per Giordano Bruno era invece intesa come strumento di dominio, un’arte in grado di influenzare e soggiogare le anime: proprio una linea filosofica coerente con un “paladino del libero pensiero”!

Lo storico Luigi Firpo ha ricostruito con pazienza e minuziosità il pensiero magico di Giordano Bruno, ripristinando la sua originaria centralità non solo nelle opere, ma anche nella vita del filosofo di Nola. Costui, scrive Firpo, era veramente convinto di essere in possesso di segreti dell’arte magica che gli permettessero di piegare gli altri alla propria volontà, e fu proprio questa assurda convinzione, con ogni probabilità, a riportare Bruno in Italia: non sarebbe agevole spiegare altrimenti la scelta di fare ritorno in un luogo in cui egli era già accusato di molteplici reati, tra cui addirittura un omicidio (anche se probabilmente non commesso da lui). Ed ancor più, il nolano si convinceva, attraverso il proprio misticismo, di soggiogare i vertici stessi della Chiesa e di porsi come capo e profeta di una nuova religione, da lui stesso fondata.

 

 

IL PROTESTANTESIMO

Se l’idea di un “Bruno stregone” poteva ancora essere bollata dalla Chiesa come una mera congettura irrazionale, gli intensi rapporti intrapresi dal filosofo di Nola con i protestanti certamente non potevano essere ignorati. È anche probabile che, oltre a detti legami, il collegio inquisitorio che poi condannerà Bruno abbia notato la frequente tendenza di quest’ultimo a prestarsi ad un doppio gioco con il mondo protestante: ciò non poteva che rendere il soggetto agli occhi dell’organo giudicante ancor più pericoloso. La storia di Bruno può infatti essere descritta come un’alternanza disorganizzata di momenti di apparente pace e di marcato conflitto tra il nolano e i suoi anfitrioni del momento: ma sarebbe da ipocriti pensare che sia da addossare sempre a questi ultimi la colpa della “rottura”. I sintomi della discordia erano spesso presenti già prima che Bruno facesse il proprio ingresso in un nuovo ambiente, e di questo il filosofo di Nola ne era ben consapevole. A titolo esemplificativo si ponga attenzione all’episodio che segue: nel 1586 Bruno si trasferì a Marburg dove abbracciò il luteranesimo con un discorso elogiativo declamato in pubblico. Possiamo intuire che la speranza del nolano risiedesse nel fatto che i suoi nuovi correligionari non conoscessero il contenuto del suo libello “Spaccio della Bestia Trionfante“, pubblicato a Londra in lingua italiana appena poco tempo prima: con esso l’autore formulò un feroce attacco a tutto il mondo cristiano, cattolico e protestante, e si spinse a tal punto da auspicare proprio lo sterminio dei luterani nelle maniere più atroci. Nemmeno un anno dopo, Bruno sarà scomunicato anche dai luterani.

Quella appena narrata non fu né la prima né l’ultima delle peripezie che costellarono la vita del nolano: ovunque egli andasse non mancava di seminare zizzania e di rendersi inviso agli occhi dei suoi stessi mecenati.

I reiterati legami di Bruno con i protestanti costituiranno parte integrante delle accuse mosse durante il processo inquisitorio: tra le varie accuse troviamo quella di “vivere al modo degli eretici protestanti”. Tale accusa, si noti, costituisce un capo ben distinto dall’avere opinioni contrarie alla fede cattolica: dunque non può essere ricondotta ad una semplice generalizzazione dei giudici, bensì ad un effettivo trascorso nella vita dell’inquisito.

 

LIBERTÀ DI PENSIERO A SENSO UNICO

Il filosofo Anacleto Verrecchia, nel suo saggio dedicato alla figura di Giordano Bruno scrive: “Molti si sono chiesti perché il filosofo abbandonasse Parigi, dove aveva uno stipendio sicuro come lettore reale e dove poteva contare sulla protezione di Enrico III, per trasferirsi in Inghilterra.

“Pensare a una qualche segreta missione diplomatica affidatagli dal sovrano (…) significa lavorare un po’ troppo di fantasia. Bruno era la persona meno diplomatica che si potesse immaginare, ed è da escludere che il re se ne servisse per compiti che richiedevano tatto, cortezza e flessibilità. Semmai egli era adatto per seminare scompigli, non per cercare accordi”.

 

Il filosofo Anacleto Verrecchia

Poco più avanti l’autore lascia palesare il sospetto che la rapida dipartita di Bruno sia dovuta all’ennesima condotta litigiosa tenuta dallo stesso, e alla reazione del mondo accademico. Si noti come l’opera del Verrecchia non sia affatto antibruniana, ma dipinga il filosofo con la consueta dose di simpatia: eppure si può dire che la buona fede dell’autore in questo caso abbia giocato un ruolo di “bocca della verità”.

Abbiamo tutti gli elementi per tracciare il profilo di una personalità che di certo non era incline al dialogo o alla tolleranza: tutto ciò ci porta in aperto scontro con l’idea popolare di Giordano Bruno, che lo dipinge nelle vesti di un individuo dotato di un intelletto unico, talmente particolare da essere “più avanti” rispetto agli uomini dell’epoca, tanto da condurlo ad un inevitabile conflitto con i vari ambienti culturali. In altre parole, il filosofo viene mitizzato come archetipo del “genio ribelle” incompreso e osteggiato dal mondo intellettuale del suo tempo, formato, per antitesi, da ignoranti e superstiziosi. In contrasto a questa idea, del tutto aprioristica e concettualmente sbagliata, possiamo sostenere che ogni atto rivoluzionario presupponga, anche metaforicamente, una condotta ribelle, ma non che ogni atto ribelle possa essere considerato in sé un atto rivoluzionario.

Non si può certo affermare che all’epoca fosse ben plasmato o affermato un principio di libertà del pensiero, in particolare in ambito dogmatico e religioso, tuttavia il tanto decantato “libero pensiero bruniano” si riduce ad una libertà “a senso unico”: il pensiero libero e genuino per Bruno era unicamente il suo.

Bruno, inoltre, non entrò in conflitto solo con il mondo religioso, ma con l’intero panorama culturale dell’Occidente europeo: ricordiamo a proposito le aspre critiche mosse alla filosofia aristotelica, ancora considerata al tempo uno dei fondamenti della cultura occidentale. Ciò che traspare in modo inequivocabile è il fatto che il filosofo di Nola fu acerrimo nemico di tutti, compreso di sé stesso.

In più di un’occasione Bruno attaccò e calunniò senza ritegno professori e dotti che frequentavano gli stessi ambienti intellettuali in cui lui pretendeva di essere accettato; quando gli fu rifiutata la cattedra all’Università di Oxford, egli pubblicò un libello diffamatorio intitolato “la cena delle ceneri”, in cui accusava di incompetenza l’intero corpo docente, sostenendo in sostanza che fosse una mandria di ubriaconi ignoranti. Nel lessico usato da Bruno nelle sue opere, gli insulti agli avversari si sprecano: bifolchi, stolti, matti, sofisti, talpe, bestie, volgari, asini, tutti orbi, porci, barbagianni; tutto ciò solo per il fatto di non condividere la sua visione del mondo.

 

CLASSISTA E ANTISEMITA

Abbiamo già avuto ampi scorci del carattere antiaccademico, oltre che antireligioso, di Bruno, ma che dire del suo modo di vedere le masse? Sarebbe auspicabile che un paladino del libero pensiero rispecchi quegli ideali di uguaglianza che costituiranno le principali rivendicazioni morali delle moderne rivoluzioni.

Dirò sin da ora che al filosofo di Nola sono mosse accuse di misoginia, ma posso affermare per spirito di obiettività che tali accuse non paiono essere veritiere; tuttavia il filosofo di Nola non si risparmierà manifestazioni di disprezzo verso altre categorie sociali, come mostreremo nelle righe che seguono.

Nella citata “cena delle ceneri” egli fa pronunciare al personaggio di Teofilo, suo alter ego, parole di denigrazione per la plebe, e di compiacimento per la condizione di sottomissione e oppressione cui tale parte del popolo è soggetta.

Bruno, in questa circostanza, utilizza la parola “plebe”, non però per indicare i disgraziati che vivono nei bassifondi, ma per indicare la gente semplice di rango non nobiliare, ivi compresa la piccola borghesia mercantile. Per spirito di obiettività si può notare come il nolano sembra denunciare una sorta di razzismo da parte delle classi popolari inglesi, tuttavia lo fa con il consueto acido disprezzo con cui aggredì spietatamente ogni altro individuo a lui inviso.

Non si può fare a meno di sospettare, giunti a tale punto del discorso, che Bruno nutrisse un profondo odio per il genere umano, lo stesso odio che egli paleserà nei confronti dei Giudei, definendoli “generazione pestilente, lebbrosa e pericolosa” ed “escrementi d’Egitto”, o ancora “gente sempre vile e servile”.

 

Il rogo di Giordano Bruno

 

 

17 FEBBRAIO 1600

Con il rogo di Campo dei Fiori si conclude l’esperienza terrena di Giordano Bruno. Ciò che però fu riesumato dai circoli illuministi altro non fu che un simbolo, una sorta di eroe archetipico che nulla ha a che fare con la storia concreta. Benché sia deprecabile il solo pensiero di mettere a morte un essere umano, non si può comunque pretendere di trarre giustizia o giovamento nell’affibbiare ad un soggetto una veste non sua perché divenga simbolo di una causa completamente estranea alla propria; affermare il contrario non sarebbe meno grave che difendere un inquisitore malvagio. Tutto ciò che ci resta infine è, al massimo, la possibilità di compiangere Bruno come vittima, ma non come eroe.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno;

Anacleto Verrecchia, Giordano Bruno;

Petro Balàn, Il vero volto di Giordano Bruno;

Hilary Gatti, Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento;

Anna Foa, Giordano Bruno.


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