TRAMA
Giugno 1940. Nel campo di internamento di Whart Mills sono detenuti centinaia di italiani civili. Sono uomini che da anni vivono in Gran Bretagna e che la dichiarazione di guerra dell’Italia fascista ha reso nemici. Qui s’intrecciano le vicende di Guido, arrestato nell’imminenza della nascita del figlio, di Innocente, cui hanno sottratto il violino da concertista, di padre Gaetano, che trascorre le notti recitando il rosario, di Enrico, famoso tenore dell’epoca, di Cesare, il cinico direttore del Piccadilly Hotel di Londra, e di tanti altri. E poi c’è Oscar, che le guardie trattano con durezza perché è mezzo irlandese. In una domenica afosa, vengono tutti caricati su un transatlantico in procinto di salpare da Liverpool per chissà dove. Si tratta dell’Arandora Star, che all’alba del 2 luglio 1940 incontrerà il proprio destino.

RECENSIONE
Ho letto tanti romanzi storici nella mia vita, mi piacciono molto, di tutti i tipi: a sfondo storico, biografici, gialli ambientati nel periodo vittoriano o nella provincia francese… Amo soprattutto quelli che si focalizzano su storie minori, di personaggi semplici che solo occasionalmente sfiorano i grandi eventi epocali che cambiano la storia, oppure quelli che riportano alla luce episodi dimenticati, spesso schiacciati tra accadimenti di maggiore risonanza.
È bello perché queste storie ci avvicinano ai nostri antenati e alle nostre radici, oltre ad aiutarci a capire i grandi avvenimenti che tutti conosciamo e abbiamo studiato a scuola. In questo caso però, la storia dimenticata che ci racconta l’Autrice ha una funzione ancora più nobile: riscattare dall’oblìo le vittime innocenti di quello che si configura come un vero e proprio crimine di guerra, l’affondamento dell’Arandora Star.
Ma cosa successe esattamente? Il 2 luglio 1940, al largo delle coste inglesi, la nave Arandora Star colò a picco, silurata da un sommergibile tedesco. Nave da crociera adattata ad uso militare, l’Arandora era partita dal porto di Liverpool diretta a un campo di detenzione in Canada: trasportava oltre 1500 persone di nazionalità italiana, tedesca e austriaca, quali “prigionieri di guerra” ma in realtà la maggior parte di loro colpevoli solo di trovarsi sul suolo inglese durante la fase iniziale del secondo conflitto mondiale. Intercettata in navigazione due giorni dopo la partenza, procedeva a luci oscurate e senza insegne umanitarie a bordo. Fu erroneamente identificata come nave nemica e affondata. Delle 865 persone che vi persero la vita, 446 erano italiani.

Come moltissimi prima di me, neanch’io ero al corrente di questa tragedia, e solo in seguito alla lettura di “Quel che abisso tace” ho riconosciuto la vicenda per averne letto, molti anni fa, su un libro di Alistair MacLean: “Mare solitario e altri 13 racconti”.
Per queste e molte altre ragioni, questo non è un romanzo come tutti gli altri. Non me la sento di definirlo un semplice romanzo storico: per me è un’elegia, o ancora meglio un elogio funebre scritto in onore delle 865 vittime di questo drammatico episodio della nostra storia recente.
L’autrice, pur senza mai spegnere la luce della speranza che la fede conferisce a coloro che la vivono con la sua stessa intensità, ci racconta in ogni dettaglio la durissima esperienza dei passeggeri di questa nave maledetta: dall’arresto drammatico del protagonista, doppiamente odiato dai suoi aguzzini in quanto non solo italiano ma anche irlandese, al calvario nel campo di detenzione di Whart Mills, all’imbarco sull’Arandora Star e al drammatico epilogo.

Come dicevo, Maura Maffei non ci risparmia nulla: dalle code davanti agli improvvisati gabinetti, alla lotta quotidiana con ogni tipo di parassiti, il disprezzo delle guardie, alle marce forzate dal campo di prigionia al porto di Liverpool, alla disperazione del capitano della nave costretto a viaggiare in condizioni pericolosissime, gli assurdi rotoli di filo spinato sul ponte che impediranno a tanti di salvarsi, la morte dei molti naufraghi narrata come se fossimo lì con loro. Ma è così amorevole, così affettuosa e delicata nella sua narrazione che sembra stringere in un abbraccio ideale tutti i suoi personaggi e rendere loro onore, uno per uno, prima della fine inevitabile, del destino che lei, artefice di questo racconto in cui sapientemente intreccia le vicende di personaggi veri e immaginari, sa attenderli con inesorabile certezza.
E così, l’accuratezza con cui l’Autrice si è documentata e che le permette di descrivere in ogni dettaglio il dramma di questi uomini – tutti uomini, la cosa mi ha colpito moltissimo – diventa anche il mezzo attraverso il quale riesce a rendere tutto più vero del vero, tanto che non distinguiamo mai i personaggi reali da quelli immaginari e riusciamo a sentire sulla nostra pelle la paura, la disperazione, il destino che la maggior parte di loro sente come segnato fin da subito.

Ma non solo, perché quest’Autrice amorevole trova il modo di raccontarci anche il dramma di chi è rimasto a casa: mogli, sorelle, fratelli… e di concludere con un sentimento di speranza, quello che percorre tutto il romanzo e che si realizzerà, purtroppo, in modi molto diversi per ciascuno.
Non voglio aggiungere altro perché non desidero rovinare la magia di questa bellissima storia che, pur narrando un dramma spaventoso, riesce a chiudere un cerchio ideale tra chi non ce l’ha fatta e chi invece è sopravvissuto, ma anche a farci concludere la lettura con un sorriso: perché dopo averci portati in fondo all’abisso del titolo, Maura Maffei ci riporta in superficie facendoci capire che in fondo la vita vince sempre, e che non dobbiamo dimenticarlo mai.
Titolo: Quel che abisso tace
Autore: Maura Maffei
Editore: Parallelo45 Edizioni
Pagg. 356