Alberto Friso è venuto alla luce a Padova nel 1978 ed ha conseguito la laurea in Lettere classiche presso l’Università di Padova. Giornalista professionista, a partire dal 2007 svolge la propria attività lavorativa nella redazione del Messaggero di Sant’Antonio e dal 2012 è caposervizio. Ha dato alle stampe, insieme a fra Jarek Wysoczański, il seguente volume: Frati martiri. Una storia francescana nel racconto del terzo compagno (EMP 2013).
Di particolare importanza per una piena comprensione del testo La vita è dono. Miguel e Zbigniew beati martiri (pubblicato nel mese di novembre del 2015) è sia la prefazione dal titolo Nati per fare nuove tutte le cose di Giulio Albanese (comboniano, direttore di Popoli e Missione) che la presentazione dello stesso da parte dell’editore nella quarta di copertina. Nella prefazione Giulio Albanese afferma che: «Stiamo vivendo, soprattutto grazie al pontificato di papa Francesco, una straordinaria stagione missionaria. Si tratta di un orientamento che, oltre a essere squisitamente evangelico, legato alla tradizione dei padri e al magistero della chiesa, ha un valore aggiunto: l’incarnazione nella storia. D’altronde, un messaggio asettico rispetto alla vita della gente, o puramente dottrinale, non serve: è oppiaceo, alienante, come se fosse espressione di una civiltà senza amore. Il cristianesimo non può infatti prescindere dall’attualizzazione della Buona Notizia nella quotidianità della vita, o essere ridotto a un algido compendio di leggi, leggine e osservanze. La discepolanza è piuttosto un cammino di fede, dalla forte valenza communionale, dunque relazionale, in cui emerge, tra l’altro, a chiare lettere, l’essenza del carisma francescano, quello della minorità. Questa espressione, sottintende la verace testimonianza dei valori del Regno, la cosiddetta martyria, unitamente all’affermazione della fraternità universale. È questa la cornice esistenziale all’interno della quale si colloca la storia, raccontata in questo libro, di due frati conventuali di nazionalità polacca, Miguel Tomaszek e Zbigniew Strzalkowski, uccisi[1] il 9 agosto 1991 a Pariacoto, interpretando il Vangelo, in terra peruviana, secondo i canoni del Maestro di Nazaret. Le pagine che seguono scivolano dentro l’anima del lettore, non solo per la maestria dell’autore, ma anche per la disarmante narrazione dei fatti, così come avvennero realmente. Non siamo di fronte a due missionari che ostentavano protervia, dal piglio polemico o trionfalistico che dir si voglia. La loro grandezza, che fu solo apparentemente soffocata dai carnefici di Sendero Luminoso, si manifesta nel resoconto dei piccoli successi pastorali che questi missionari stavano raccogliendo ferialmente. Nessuna grande costruzione o cantiere avviato nella loro stazione missionaria, pubblici proclami ai quattro venti o comparse televisive. L’aver scelto uno stile povero tra i poveri, fraternamente, predicando il Vangelo, assistendo i malati, prodigandosi nella cura degli ultimi, aiutandoli per quanto possibile, ha comunque raggiunto il culmine nel martirio. Motivo per cui questi testimoni, ora beati dunque anche intercessori, hanno molto da insegnarci.
Sarebbe, pertanto, auspicabile riflettere sul significato del loro sacrificio in una stagione, quella che stiamo attraversando, in cui vi è un’evidente crisi valoriale. A noi spetta, e questa nostra civiltà dovrà darne prova ogni giorno, di salvaguardare la vita, affermare la tolleranza, rendere intelligibili, soprattutto alle giovani generazioni, la solidarietà e l’integrazione, tutelando i diritti delle minoranze etniche e religiose. Allora, per tutti noi, saranno davvero molte le cose da rendicontare, cominciando, per quanto ci riguarda, dall’aver impunemente alimentato un senso illusorio d’immortalità e privilegio, perché ostaggi di un materialismo pratico senza precedenti, fondato sull’avidità e l’arroganza. Un fenomeno inquietante che ha trasformato il consesso delle nazioni, su scala planetaria, nel Paese dei balocchi, essendo questo l’obiettivo esistenziale stabilito per la società globalizzata. Ecco che così si scatena nell’immaginario collettivo, anche in tempi di crisi, il bisogno di possedere a oltranza, mentre la popolazione del globo è per oltre due terzi formata dagli infelici che vivono confrontando il proprio stato con quello di chi li ignora. Qui tutto nasce dalle farneticanti risoluzioni di un mondo che si sente offeso non soltanto nelle cose terrene, quelle legate alla sopravvivenza, ma addirittura nel suo patrimonio religioso; la cui espressione estrema, per i fautori del jihadismo (che tanto preoccupa l’opinione pubblica nostrana), è una commistione di rivalse a non finire e protagonismi deliranti e violenti. Eppure, sappiamo bene che non c’è migliore giustificazione della paura per escludere l’altro; diventando, per così dire, intolleranti all’eccesso. Guai, però, se immaginassimo che la persistenza del male, nelle periferie geografiche ed esistenziali, segni un fallimento definitivo per questa umanità dolente di cui noi stessi siamo parte integrante. E qui entra in gioco il mistero, proprio nel segno del martirio. Il vero rimedio è quello di chi crede, fino in fondo, nella gratuità incondizionata, anche a costo di morire. Proprio il coraggio serafico di osare, quello delle eccellenze del cristianesimo scarsamente mediatizzate da chi fa informazione, dovrebbe indurci a sperimentare l’agognato cambiamento. Con quale credibilità, altrimenti, potremo sostenere che il Vangelo è il libro della liberazione, quello che predica il non fate ad altri … e che addirittura concepisce il nemico come amico? Se non entriamo in quest’ordine di idee, inutile nasconderselo, procrastineremo, chissà per quanto, la peggiore delle recessioni, quella dell’anima. Ma scusate, non siamo nati, nella fede, per far nuove tutte le cose? Pertanto, al di là delle interpretazioni possibili sulla deriva contemporanea, ciò che oggi urge davvero è la definizione di uno stile di vita rispetto a cui porre l’ethos, non soltanto come modus vivendi (prassi e costume), ma anche come fondamento del vivere, dell’agire e del morire umanamente. Perché per trovare i martiri – come ha detto papa Bergoglio – non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti paesi. E il grido di questi reietti, che non conta affatto per i distratti, provoca un bisogno di trascendenza, di uscita da sé verso gli altri, verso l’Altro.
Il mistero della vita, la profezia dei martiri, il mondo come luogo spirituale, i frammenti della nostra esistenza, tutto, ma davvero tutto, ci indica il percorso da seguire. Celebrare, allora, la memoria di questi martiri polacchi significa, davvero, per ogni credente, riconoscere il trionfo della vita sulla morte e sul peccato. Per il bene di ciascuno e di tutti. In fondo, a pensarci bene, le vicende di Miguel e Zbigniew rappresentano un paradigma della missione ad gentes, non solo per l’Ordine a cui essi appartenevano, ma per ogni uomo e donna di buona volontà. Buon viaggio, dunque, col cuore e con la mente, a questo libro del riconoscimento e della condivisione, ma soprattutto ai suoi lettori. Nella consapevolezza che, nella vita, come leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli, c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
Invece nella presentazione dell’opera da parte dell’editore il medesimo dichiara che: «Giovanni Paolo II di loro disse: “Sono i nuovi santi martiri del Perù”. La Chiesa il 5 dicembre 2015 lo conferma, proclamandoli beati. Miguel Tomaszek e Zbigniew Strzalkowski, francescani conventuali polacchi, erano arrivati sulle Ande peruviane nel 1989. Annunciavano la Buona Notizia di Gesù, una rivoluzione profonda. Non quella auspicata, però, da Sendero Luminoso. Un commando armato, il 9 agosto 1991, condannerà i frati a morte, perché “con l’attività caritativa e con la Bibbia addormentano la coscienza rivoluzionaria del popolo”. Zbigniew aveva 33 anni, Miguel 31 ancora da compiere. Al funerale i fedeli esporranno un cartello: “Padri, per noi non siete morti”. Sono vivi, i beati Miguel e Zbigniew, e lo saranno per sempre».
Si ritiene che quanto detto sia nella prefazione da Giulio Albanese sia nella presentazione dell’opera da parte dell’editore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità del libro preso in esame. Di grande utilità risultano l’indice, le due cartine e le cinque fotografie a colori. Un volume meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e/o regalare a coloro a cui interessa l’agiografia.
[1] In odium fidei (in odio alla fede).
Titolo: La vita è dono. Miguel e Zbigniew beati martiri
Autore: Alberto Friso
Editore: EMP
Pagg. 136