Giambattista Scirè (1975), studioso di storia, ha pubblicato diversi saggi, tra i quali è opportuno menzionare: La democrazia alla prova, Il mondo globale come problema storico (insieme a Giovanni Gozzini), Il divorzio in Italia, L’aborto in Italia e Gli indipendenti di sinistra. È amministratore e responsabile scientifico di Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo, www.trasparenzaemerito.org.
Di particolare importanza per una piena comprensione del volume Mala Università (dato alle stampe nel mese di settembre del 2021) è sia la prefazione di Piercamillo Davigo che la presentazione dello stesso da parte dell’editore nella seconda di copertina. Nella prefazione Piercamillo Davigo afferma che: «Questo volume rassegna un’impressionante panoramica di vicende connesse ai concorsi universitari, ritenute illecite, talvolta anche sotto il profilo penale. Non avendo studiato gli atti dei numerosi procedimenti (amministrativi, civili e penali) citati nel testo, non posso pronunciarmi sulla fondatezza dei singoli fatti riferiti, ma la visione di insieme autorizza alcune valutazioni generali su ricorrenti anomalie di funzionamento delle procedure concorsuali. Anzitutto, Giambattista Scirè sottolinea che il sistema di reclutamento universitario sembra fondarsi, per lo più, non sulle regole del concorso, ma sulla cooptazione. Il dato è certamente vero, in larga misura presente in ogni aggregazione sociale e forse inevitabile. Roberto Michels, del resto, ha elaborato la teoria della legge ferrea dell’oligarchia, che sarebbe comune a qualunque organizzazione. Tuttavia, come sempre, le leggi non possono essere disgiunte dai buoni costumi.
Nel mondo anglosassone è comune che accademici insigni segnalino il merito di loro allievi. Quella che in Italia sarebbe una raccomandazione, altrove è l’attestazione di un merito. Se chi viene segnalato non valesse realmente, ne risentirebbe la rispettabilità di chi lo aveva segnalato. Nel caso italiano, invece, la cooptazione sembra prescindere in larga misura dal merito e dalla responsabilità. In effetti, alcune delle intercettazioni trascritte nel volume dimostrano non solo che negli accordi intercorsi il valore del candidato ha scarso (se non nessuno) rilievo, ma anche, più in generale, che le procedure sono talora gestite o persino costruite in modo da far vincere il predestinato, il più delle volte semplicemente inducendo gli altri candidati a rinunciare alla partecipazione. In questo, il sistema di reclutamento universitario assomiglia dunque a quanto è stato riscontrato anche negli appalti pubblici. Trascrivo (omettendo il nome della stazione appaltante perché ciò che conta è il metodo) parti del brano di un interrogatorio reso nel 1992 da una persona sottoposta a indagini: “Da molti anni, presso XXX funziona un cartello di circa duecento imprese che si riuniscono periodicamente, vedono il ruolino delle opere che sono andate o devono andare in Consiglio di amministrazione e decidono come deve essere attuato il giro di chi vince. Tutto ciò si verifica saltuariamente e serve a decidere in concreto da quale gruppo di imprese si deve incominciare ad assegnare i lavori: la scelta avviene tramite un sorteggio, nel senso che si scrivono i nomi delle imprese sui bigliettini e poi si estrae a sorte. Nell’ambito del sorteggio, ovvero attraverso il sorteggio, si decide cioè che il primo gruppo di imprese si aggiudica il primo appalto, il secondo gruppo di imprese si aggiudica il secondo appalto, il terzo gruppo il terzo appalto e così via. Vengono nominati dei coordinatori delle imprese che hanno il compito – quando la gara viene successivamente bandita – di chiamare le altre imprese che saranno convocate per gli appalti successivi per sollecitarle a ringraziare, cioè rinunciare alla gara che non devono vincere, ovvero per comunicare loro l’entità del ribasso che devono indicare nella loro offerta in modo da non vincere. Tutto ciò passa ovviamente attraverso la comunicazione del valore della scheda segreta. Ciò funziona sia a livello di direzione generale a Roma che nei compartimenti per le imprese regionali. Sulla base di questi meccanismi le imprese prescelte vincono l’appalto. All’XXX si paga praticamente chiunque, voglio dire anche a livello di commessi. In particolare, per il discorso che qui interessa, all’XXX si pagava sia alla struttura dell’ente – il ministro presiede il Consiglio di amministrazione – sia al sistema dei partiti, che ricevono a livello di segretari nazionali amministrativi, che sono, per settori, i segretari nazionali dei partiti di maggioranza e dei più grossi partiti di opposizione. Il flusso di cui ho parlato è standardizzato da almeno vent’anni”. Anche in quel caso si manifestava il rifiuto della libera concorrenza fra le imprese e si preferiva la turnazione, assicurata dal sorteggio, per l’assegnazione dei lavori. Com’è ovvio, ciò implicava il far parte di un sistema illegale in cui “si paga praticamente chiunque, voglio dire anche a livello di commessi”. La resistenza a forme di selezione basate sulla capacità e sul merito si manifesta anche nel sistematico ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni, al precariato, nonostante la previsione costituzionale secondo la quale agli uffici pubblici si accede, di regola, mediante concorso (articolo 97, comma 4 della Costituzione). Le conseguenze sono devastanti perché nel dipendente pubblico, alla fedeltà alla Repubblica e alla consapevolezza del proprio valore per aver superato un concorso, si sostituisce la fedeltà al soggetto al quale si deve il posto da precario e la consapevolezza che la conferma nel posto e infine il transito in ruolo dipenderà dal servilismo dimostrato verso quel protettore. Negli ultimi anni questa patologia ha toccato anche l’ordine giudiziario, che pur è caratterizzato da una selezione all’ingresso neutrale, perché basata prevalentemente su prove scritte corrette e valutate prima di conoscere il nome del candidato. Inoltre il numero di ammessi agli orali è di norma inferiore ai posti messi a concorso e il numero di candidati rende difficili anomalie in sede di correzione e valutazione delle prove scritte. Peraltro, con il massiccio ricorso alla magistratura onoraria si è dato vita a un precariato che ha generato inoltre ricorsi alle Corti europee. Non solo. La riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 ha scatenato una corsa alla carriera che ha determinato anche in magistratura la ricerca di protettori, individuati nei gruppi associativi (le correnti) e talvolta in singoli esponenti di questi. Tali fenomeni non sono limitati al solo settore pubblico, ma si manifestano anche nelle imprese private. Ricordo che un importante manager di un grande gruppo industriale mi disse che un dirigente gli si era proposto per un delicato incarico, assicurando che gli sarebbe stato fedele. Il manager gli rispose che se avesse voluto qualcuno fedele, gli sarebbe stato sufficiente acquistare un cane: una risposta per molti versi non comune! Si tratta quindi di una patologia grave e pervasiva che sta cagionando seri danni all’Italia, spingendo le migliori intelligenze e le persone di carattere a emigrare all’estero, dove ritengono più probabile essere valutati per capacità e merito anziché per parentele, raccomandazioni e servilismo. Il successo che sembra avere l’associazione presieduta dall’autore del volume può essere il segno che la misura è colma e che si manifestano vistosi segni di insofferenza a quel sistema clientelare che finisce troppo spesso per mortificare i migliori, ledere l’immagine dell’istituzione universitaria, danneggiare il paese».
Invece nella presentazione dell’opera da parte dell’editore il medesimo dichiara che: «Bandi sartoriali su misura da Brescia a Messina, passando per Torino e Bologna. Dottorati e assegni di ricerca costruiti ad hoc da Milano a Cagliari, da Napoli a Pisa fino a Chieti. Coinvolto in un processo per tentata corruzione anche l’ex rettore di Tor Vergata a Roma in seguito a una registrazione audio della vittima, che ha denunciato. Nella facoltà di Medicina delle università italiane il 94 per cento circa delle selezioni è vinto da interni, scienziati o medici collegati al dipartimento che bandisce il concorso, e il 62 per cento circa ha addirittura un solo candidato, quello che deve vincere. Le conversazioni intercettate tra i docenti (nelle inchieste delle Procure di Catania, Firenze e Perugia) dimostrano abusi di potere a vario livello. Accordi tra cordate, fazioni e gruppi massonico-accademici che utilizzano, in alcuni casi estremi, meccanismi non molto diversi da quelli mafiosi. La realtà che supera la fantasia nell’inchiesta Università bandita. Fino alla vicenda che ha coinvolto l’autore, storico con all’attivo diversi saggi, che vince il concorso da ricercatore di Storia contemporanea presso l’Università di Catania, ma non ottiene il posto perché assegnato a una laureata in Architettura. Un fatto clamoroso, di cui si sono occupate la stampa e le tv nazionali. Il caso Scirè purtroppo non è l’unico. Merito dell’autore è aver dato spazio e voce, in questo libro, a tutti coloro che hanno subito ingiustizie come la sua. Grazie all’associazione da lui fondata, Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo, che contrasta la corruzione accademica e avanza proposte per rinnovare i meccanismi di reclutamento, è ora possibile fare la mappatura di uno scandalo che arreca grave danno economico e morale a tutti i cittadini. Solo una università basata sul merito potrà garantire un vero rilancio del paese».
Si ritiene che quanto detto sia nella prefazione da Piercamillo Davigo sia nella presentazione del saggio da parte dell’editore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità del testo preso in esame. Di grande utilità risultano la nota dell’autore e l’appendice. Un libro meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e/o regalare a coloro che sono interessati a comprendere perché le università italiane sono in pieno declino.
Titolo: Mala Università
Autore: Giambattista Scirè
Editore: Chiarelettere
Pagg. 336