È il 1729 e l’astronomia e pastore anglicano James Bradley si appresta ad annunciare la prova definitiva di una teoria al tempo non nuova, ma considerata falsa dal mondo accademico: si tratta della teoria della rivoluzione terrestre.
Da qui, si torna a parlare di quell’intellettuale che un secolo prima aveva esposto suddetta teoria di fronte al Santo Uffizio per la Dottrina della Fede, maggiormente noto, impropriamente, come Tribunale dell’Inquisizione.
Costui fu un uomo straordinario per ogni epoca in quanto, grazie a lui, il mondo culturale/scientifico vede l’introduzione di un nuovo metodo, ossia di un nuovo modo di concepire la scienza stessa.
Ma chi era Galileo?
Difficile riassumere in poche parole la storia dell’uomo che chiamiamo Galileo Galilei.
Una tesi, molto diffusa tra il volgo, è che Galileo rappresenti uno spartiacque tra un’epoca di decadenza morale, culturale e tecnologica, il Medioevo, e una nuova era illuminata dalla scienza e dalla ragione.
Tale modo di pensare, per numerosi motivi, presta il fianco ad un gran numero di obiezioni: la ragione principale, forse anche quella più evidente, è che gli storici medievisti negli ultimi decenni hanno demolito l’idea, ormai vetusta e rigorosamente falsa, di un’Età di Mezzo dominata dall’ ignoranza e dalla mancanza di progresso.
Basti pensare che, ancora oggi vi è chi crede che Galileo, insieme a Cristoforo Colombo, sia stato perseguitato dalla Chiesa per aver affermato che la Terra è tonda: detto pregiudizio si basa sull’erronea convinzione che i Medievali ignorassero la vera forma del nostro pianeta.
Sin da ora la vicenda umana di Galileo si pone come esempio di quanto la Storia sia difficile da descrivere, e di quanto la stessa sia impossibile da strumentalizzare, a patto che essa sia narrata nella sua interezza.
Invero, Colombo non subì alcun processo per il suo proposito, volto esclusivamente a raggiungere l’Oriente passando per l’Occidente, e nei verbali del processo inquisitorio cui Galileo fu sottoposto non vi è menzione alcuna circa la forma della Terra.
Il modello cosmologico “medievale” coincide, nei suoi tratti salienti, con quello che era il modello antico, proposto da Aristotele e da Tolomeo: secondo tale schema, la Terra era posta al centro del cosmo, e il Sole, la Luna e gli altri corpi astrali ruotavano intorno ad essa.
Stupirebbe scoprire che, nei testi degli intellettuali medievali, che in sostanza erano tutti esponenti del clero, si fa un continuo riferimento alla “ragione”, all’”intelletto” e alle “leggi della natura”, che l’Onnipotente aveva creato, e che l’uomo doveva sforzarsi di scoprire.
Per aggiungere un ulteriore spunto di riflessione, può risultare quasi paradossale il fatto che il padre del metodo scientifico fosse anche un compilatore di oroscopi, esattamente come lo furono Keplero e Newton.
Durante tutto il Medioevo, e così nella prima età moderna, in cui Galileo visse, l’astrologia non subì troppo l’avversione delle autorità religiose, in quanto non fu mai considerata una forma di magia: la possibilità di trarre previsioni dagli astri era invece ritenuta parte di quella concezione del cosmo secondo cui Dio avesse “scritto la natura” esattamente come si scrive un libro.
Beninteso, Galileo non diede mai prova evidente di credere negli oroscopi che scriveva (scrisse quei vaticini dietro ricompensa in denaro), tuttavia è bene tenere conto di questo aspetto: non rileva un’opposizione così marcata tra il “moderno Galileo” e gli “antiquati medievali”.
Dunque, sotto questa prospettiva, sono gli uomini del Medioevo, e non Galileo, ad anticipare gli illuministi, mostrando uno spiccato senso di osservazione. Volendo approfondire oltre, i medievali ricavarono la loro curiosità per la natura dalla saggezza degli antichi: dal pensiero dei filosofi greci, in particolare Aristotele, ha origine la concezione del mondo medievale-cristiana.
Dunque, la differenza tra mondo antico, mondo medievale e mondo moderno finisce per essere dialettica, più che antitetica.
Galileo, ovviamente, fece un passo in più rispetto ai “medievali”: trasformò il loro spirito di osservazione in un metodo più esatto: non basta la perspicacia per comprendere il mondo che ci circonda… la ripetibilità sperimentale di cui i parlano i fisici non è altro che questo.
La rottura con il passato creata da Galileo appare ancor più evidente se si considera la propria divergenza dal pensiero antico: il noto fisico Antonino Zichichi ci dice infatti che Galileo trasse il grosso delle sue osservazioni fisiche non dall’osservazione delle stelle, bensì da esperimenti su sassi e pietre, quella che gli antichi definivano “materia volgare”.
“Se Galileo si fosse limitato soltanto ad osservare le stelle, noi oggi non sapremmo nulla del funzionamento delle stelle… è grazie all’osservazione della materia volgare, dei sassi e delle pietre, se siamo riusciti a comprendere il funzionamento delle stelle.” (Antonino Zichichi, fisico nucleare)
Galileo rivelò insomma di voler ricercare nelle pietre le “impronte del Creatore”.
“Era necessario un salto concettuale enorme. L’idea della perfezione bisognava legarla non solo alle Stelle, ma anche allo studio dei fenomeni naturali, lasciando l’ultima parola alle prove sperimentali: senza considerare “fuorvianti” i risultati che non seguivano le idee, apparentemente perfette, ma preconcette.” (Antonino Zichichi, fisico nucleare)
Due secoli più tardi vediamo gli Illuministi lodare il genio di Galileo… costoro però commisero un errore di fondo: tentarono cioè di trasformare Galileo in un “uomo loro”, dunque come un paladino della scienza in aperto contrasto con la fede cieca e irragionevole propria del “buio Medioevo”.
Galileo è dunque presentato come un “parente stretto” di quel Giordano Bruno arso sul rogo il 17 febbraio del 1600.
Invero, tra il fisico di Pisa e il frate di Nola la differenza è quanto più evidente: unico punto in comune degno di nota tra i due risiede nel fatto che entrambi furono processati dal Santo Uffizio. Le personalità dei due individui appaiono, ad una ricerca approfondita, separate da un divario pressoché incolmabile.
Galileo fu uno scienziato e un rivoluzionario: una mente illuminata e a tratti incomprensibile per la gente della sua epoca. A ciò si aggiunge che neanche noi “moderni” possiamo dire di aver compreso appieno la portata del pensiero galileiano.
Non mi soffermerò sulle scoperte e sulle invenzioni effettuate da Galileo (non basterebbe un libro per descriverle tutte nel dettaglio): basti però pensare che trasformò un giocattolo, il cannocchiale, in un potente strumento di indagine scientifica.
Bruno invece può essere considerato, al più, un filosofo, nonostante i pensatori illuministi abbiano cercato di addobbarlo a forza con l’abito dello scienziato e del paladino del libero pensiero.
Per quanto concerne il primo dei due aspetti, basta osservare come nessuna delle opere di Bruno costituiscano oggetto di studio presso le facoltà scientifiche; al più, lo sono presso le facoltà filosofiche e letterarie.
A nulla giova pensare che Giordano Bruno fosse un sostenitore della teoria dell’eliocentrismo: non basta infatti il sostegno di una tesi, per quanto oggi salda e inconfutabile, a far assurgere la stessa al rango di “teoria scientifica”. Galileo, per contro, nel corso della sua carriera accademica prima, e del suo processo poi, si sforzò di presentare argomentazioni e deduzioni a sostegno di detta tesi.
Per mero scrupolo, si sottolinea che, nel processo che condusse Bruno al rogo, il sostegno alla teoria copernicana-eliocentrica non costituì capo di imputazione.
Riguardo invece alla militanza per il libero pensiero, posso far riferimento a semplici constatazioni; quando scrissi il mio articolo su Giordano Bruno formulai il seguente pensiero: “ogni atto rivoluzionario può essere considerato, nel suo piccolo, un atto di ribellione… ma non ogni atto ribelle può essere considerato rivoluzionario”.
Il filosofo di Nola, di per sé, mostrò fino all’ultimo una fiera opposizione al dogmatismo religioso dominante… Ciò che però mancava a costui per essere considerato, a pieno titolo, un difensore del libero pensiero è proprio l’avversione ad ogni forma di dogmatismo o fanatismo, fosse quest’ultimo in linea o in netto contrasto con il pensiero più in voga.
Rileva infatti come le tesi di Bruno fossero state recepite negativamente anche presso le fazioni protestanti presso cui il nolano trovò ospitalità nel suo peregrinare attraverso l’Europa.
Galileo invece, nella propria fatica per sdoganare una nuova teoria scientifica, dimostrò pressoché sempre una marcata moderazione.
La battaglia combattuta da Galileo, vi è da dire, fu una battaglia per la scienza e non, come vorrebbero alcuni, una battaglia per la fede.
Riallacciandomi al discorso che facevo poc’anzi, Galileo, come per gli intellettuali medievali, non ricerca contraddizione tra fede e scienza.
Il pisano fu, come si apprende dai suoi stessi scritti, un devoto cattolico: per lui non era ravvisabile un contrasto tra la Natura e le Sacre Scritture, con la precisazione però che queste ultime erano da considerarsi scritte, volutamente, in un linguaggio comprensibile ai più, in considerazione della loro specifica finalità. “La Bibbia”, scrive egli “insegna come si va in Cielo, non come va il Cielo”.
Nelle sue opere Galileo propugna l’idea che dal Verbo divino provengano tanto i testi sacri quanto la natura; ed ancora, in una delle sue epistole c.d. “copernicane” indirizzate a padre Benedetto Castelli, ecclesiastico nonché suo allievo, indica che il divino insegnamento serve a istruire l’uomo su quei principi, volti al proprio bene, che non sarebbero intuibili attraverso il solo studio della natura.
“Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell’ultimo luogo: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto.” (Galileo Galilei)
In sintesi, tra la scienza e la fede non vi sarebbe alcuna differenza di visioni, ma solo una differenza di intenti.
Inoltre, lo spirito che anima l’uomo di scienza non è affatto estraneo al sentimento religioso.
È sicuramente dannoso per le anime il fare un’eresia del credere ciò che è provato. Nelle mie scoperte scientifiche ho appreso più col concorso della divina grazia che con i telescopi. Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono. (Galileo Galilei)
L’assenza di un contrasto originario tra Galileo e la Chiesa è riscontrabile, in un contesto più “umano”, in quelle che erano le conoscenze e le amicizie private di Galileo, tra cui si annoverano membri del clero, cardinali, o addirittura papi.
Negli ambienti intellettuali che Galileo frequentava vi era anche un gran numero di dotti ecclesiastici che si interessavano di filosofia, di astronomia o di matematica, e una buona parte di essi non si mostrò affatto avverso alla nuova teoria copernicana.
L’eliocentrismo, ossia l’idea che il Sole, e non la Terra, costituisca il centro del nostro sistema, si presentava come una novità nel Cinque-Seicento, in quanto lo stesso argomento, seppur già timidamente toccato nell’antichità classica, non era mai stato portato avanti con perseveranza.
Niccolò Copernico, astronomo polacco, espose nel 1543 il proprio modello eliocentrico nell’opera “De revolutionibus orbium coelestium” (Le rivoluzioni delle sfere celesti), egli però non fu tacciato di eresia dalle autorità ecclesiastiche mentre era in vita, poiché presentò l’eliocentrismo come una mera speculazione teorica, piuttosto che come una verità scientifica: da ciò è possibile capire come mai le teorie copernicane furono oggetto di libero studio e insegnamento.
Solo in seguito, proprio in coincidenza dell’emergere del “caso Galileo”, l’opera di Copernico venne iscritta all’indice dei Libri Proibiti: da ciò si può dedurre, come vedremo approfonditamente nel seguito di questo articolo, che la Chiesa non temesse la teoria in sé, ma l’insegnamento della teoria come verità assodata.
Quando Galileo cominciò a scrivere sul tema, persino i gesuiti del Collegio Romano guardarono le sue teorie con vivo interesse.
Non certamente è possibile formulare un giudizio sulla persona di Galileo senza esprimere innanzitutto un giudizio sul tribunale inquisitoriale che lo giudicò.
Per fare ciò è necessario fare affidamento a quanto gli storici hanno contribuito a scoprire negli ultimi decenni riguardo all’Inquisizione e ai suoi metodi.
L’idea di fondo, ancora molto viva, che la Chiesa nel suo complesso provasse avversione per la cultura e utilizzasse i propri tribunali per perseguitare gli scienziati, risulta già in parte confutato dagli elementi già forniti in questo articolo, sia per quanto riguarda l’epoca medievale sia per ciò che concerne il mondo intellettuale dell’età moderna.
La totale inesistenza, già pienamente provata dai medievisti, di un Medioevo in cui regnava l’oscurantismo, fa leva sulla constatazione che un gran numero di invenzioni fiorì lungo tutta l’età medievale, non solo dopo l’anno Mille, ma anche in quel periodo poco conosciuto e povero di fonti che è chiamato “Alto Medioevo”.
Ma l’istituzione giuridica che noi chiamiamo “Inquisizione medievale”, e che fu la capostipite del Santo Uffizio che giudicò Galileo, nasce molto più tardi, intorno al Duecento: in quest’epoca la società si sviluppa e si stratifica enormemente, sorgono le università, rifioriscono i commerci.
Va poi considerato che, in quel periodo che noi chiamiamo Rinascimento, a cavallo tra l’età medievale e l’età moderna, molti cardinali ed ecclesiastici furono promotori dell’arte e della cultura, agendo nelle vesti di mecenati.
Gli storici odierni, attraverso un impegnativo studio delle fonti dell’epoca, ci hanno fornito un’immagine molto meno cupa dei tribunali dell’Inquisizione.
Ciò che tutti questi storici non osano mettere in dubbio è che l’istituzione in oggetto non può essere mondata da un’aura obiettivamente negativa.
Ma quale elemento rende l’Inquisizione tanto inquietante? L’uso della tortura? O il fatto che comminasse condanne alla pena capitale?
Invero, questi e altri aspetti non si presentano affatto come novità dal punto di vista della storia d’Europa: l’esperienza giuridica su cui l’inquisizione pose le proprie radici, quella del processo inquisitorio, in cui si ha unità sostanziale tra l’ufficio di Giudice e quello di accusatore pubblico, risale al tempo dei Romani.
Sempre nell’antica Roma, ma anche molto prima presso altre civiltà, l’uso della tortura era ritenuto legittimo, tanto quanto l’inflizione di pene corporali, o di condanne a morte nelle modalità che oggi riterremmo più crudeli, quali la crocifissione o la damnatio ad bestias, ossia il supplizio tramite animali feroci.
I magistrati romani, infliggevano pene estreme, anche per reati che noi considereremmo di lieve gravità, ovvero per fatti che non considereremmo nemmeno lontanamente dei reati.
In aggiunta, vi è da considerare che non esistevano garanzie di legge a tutela della libertà di espressione, né per quei diritti che in uno Stato sarebbero definiti inviolabili.
E anche per i secoli a venire, fino a un tempo sorprendentemente recente, i giudici hanno fatto ricorso alla tortura per ottenere delle confessioni.
La Chiesa, sotto questo profilo, non inventò nulla: si limitò a fare suoi principi e strumenti giuridici già esistenti.
Da qui si desume che, per quanto l’Inquisizione possa essere ritenuto un tribunale crudele alla luce degli standard moderni, non è possibile classificare lo stesso come un organismo criminale, in quanto si ricadrebbe nell’enorme errore di dare una lettura della storia parziale, poiché basata unicamente sugli stereotipi del presente.
Perciò, il “lato oscuro” dell’Inquisizione cattolica va ricercata soprattutto nella sua finalità repressiva.
Non è lecito dimenticare, inoltre, che il tempo in cui Galileo vive, certamente, non è solo un’epoca fiorente dal punto di vista culturale, ma è anche l’epoca della riforma protestante, che apre la strada alle grandi guerre di religione che insanguinano l’Europa, e della caccia alle streghe che, sia in territorio cattolico che protestante, porta delle innocenti a morire sul rogo.
È un’epoca, dunque, che mostra tutte le sue contraddizioni.
Si può dire, in definitiva che la Chiesa non fosse contraria alla scienza, ma che sin da tempi più remoti rivendicasse l’”esclusiva” in materia di fede, e che i tribunali inquisitoriali rappresentino la concretizzazione più evidente e radicale di questo principio.
In un simile contesto, uno scienziato poteva svolgere tutte le ricerche e le attività sperimentali che fossero di suo gradimento, e di pubblicare le relative scoperte, purché non formulasse tesi che si ponessero in aperto contrasto con la materia di fede.
Per comprendere ciò, basti pensare che, tra tutte le opere pubblicate da Galileo (una quindicina, se consideriamo le epistole), soltanto una, il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano”, proprio quella che propugnava l’eliocentrismo, finì all’indice dei libri proibiti.
Tra tutti gli alti prelati che al tempo si interessavano di scienza, quello che attira di più il nostro interesse è senza dubbio il cardinale Roberto Bellarmino: egli fu infatti, come vedremo a breve, colui che diresse una prima inchiesta nei confronti di Galileo.
Qualsivoglia giudizio vogliamo tributare all’Inquisizione nel suo complesso, non possiamo infatti esimerci da una valutazione obiettiva dell’operato di quei giudici che effettivamente operarono.
Bellarmino fu altresì presidente della medesima corte che emanò la condanna al rogo di Giordano Bruno.
Il noto e stimato storico Alessandro Barbero ci informa dell’effettivo e sincero interesse che il cardinale nutriva per la ricerca scientifica.
“Perché la Chiesa interviene sulla pubblicazione di un trattato scientifico? Perché la Chiesa si interessa moltissimo di scienza… perché la Chiesa non è fuori dalla ricerca scientifica. Per tutto il Medioevo la ricerca scientifica la fanno uomini di Chiesa, di solito; le Università sono in mano alla Chiesa… si studia, e la Chiesa è contenta, perché la Chiesa medievale è convinta che la ragione e la fede possano andare d’accordo. (…) Sia Bellarmino, il cardinale inquisitore, sia Galileo sono due credenti… anche Galileo è credente, fino in fondo; tutti e due sono convinti che la Scienza e la Bibbia debbano andare di pari passo. (…) E il Bellarmino si intende di scienza.” (Alessandro Barbero, storico)
L’errore del Santo Uffizio, perché errore vi fu senza ombra di dubbio, risiedette nel fatto di aver trasposto sul piano teologico un dibattito essenzialmente di natura scientifica.
“I processi inquisitoriali contro Galileo Galilei ebbero conseguenze meno tragiche per l’imputato rispetto ai casi di Tommaso Campanella e Giordano Bruno, ai quali spesso vengono accostati, ma rappresentarono forse un’occasione persa per la Santa Sede di segnare un punto a proprio favore rispetto al mondo protestante e in generale nel progresso delle scienze e della percezioni del rapporto fra scienza e fede negli ambienti intellettuali.” (Franco Cardini, storico)
La teoria eliocentrica, inoltre, non si configurava solo come una contraddizione con un versetto, peraltro abbastanza marginale, del testo biblico: bisogna considerare pure il contrasto con il modello cosmologico antico, quello aristotelico-tolemaico.
Aristotele era, ancora al tempo di Galileo, considerato un’autorità quasi infallibile: contraddire apertamente le tesi del filosofo greco era un modo facile per farsi nemici nel mondo accademico.
Curioso che proprio uno di quei filosofi che, in un’epoca assai antecedente l’era cristiana, aveva intuito la rotondità della Terra, non abbia colto invece l’erroneità del proprio modo di collocare il pianeta nel cosmo.
Si è abituati a pensare al “caso Galileo” solo nell’ambito di un processo pressoché fulmineo… in realtà, prima del processo vero e proprio, si ebbe una sorta di ultradecennale “braccio di ferro” in cui Galileo investì tutte le proprie energie per rendere pubbliche e far accettare le proprie tesi.
Quando il sostegno di Galileo alle teorie copernicane sollevò i primi sospetti di eresia, il cardinal Bellarmino si trovò di fronte ad un bivio: adottare una “linea dura”, avviando subito un processo innanzi al Santo Uffizio, ovvero intimare a Galileo un semplice monitum, ossia un ammonimento formale; quest’ultima fu la via seguita dal cardinale.
Da qui iniziò uno scambio epistolare tra Galileo e l’eminenza: quest’ultima si preoccupò perché Galileo si convincesse a non sostenere l’assoluta verità delle proprie teorie circa l’ordine del cosmo.
Per capire ciò, è utile pensare ad un divertente aneddoto narrato dal già citato Alessandro Barbero.
“Poi arriva Galileo e voi dite che almeno lui aveva ragione… sì, ma io ho un ricordo indelebile del mio professore di fisica del liceo, il quale ci parlava proprio di Galileo, e del cardinale Bellarmino che lo processa.
Beninteso che siamo in un campo in cui Galileo aveva ragione: il mondo è fatto come diceva lui, e la Chiesa ha sbagliato a cercare di farlo star zitto, tanto che alla lunga ha dovuto ammetterlo e chiedere scusa… verissimo! Ma il mio professore del liceo a scuola ci insegnava che la scienza moderna non crede più alla verità, non cerca la verità, ma costruisce delle ipotesi, si sceglie l’ipotesi che spiega al meglio i dati di cui disponiamo ed è destinata un giorno a essere sostituita da un’altra ipotesi… e il mio professore di liceo diceva: guardate che Galileo, certo aveva ragione lui, dopodiché l’inquisitore gli disse «Galileo, va benissimo , il tuo modello dell’universo funziona e corrisponde perfettamente ai dati che abbiamo, peccato che è sbagliato perché la Bibbia dice che le cose vanno in un altro modo, ma noi non ti vogliamo impedire di insegnare questa cosa… basta che tu la insegni dicendo che è l’ipotesi più soddisfacente, se non fosse che la Bibbia la confuta e dovremmo trovarne un’altra migliore… ma finché la insegni come ipotesi lo puoi fare». Galileo rispondeva «No, non è un’ipotesi , è la verità!». A quel punto il mio professore di fisica concludeva «non era moderno Galileo, era moderno il cardinale Bellarmino!»” (Alessandro Barbero, storico)
In una lettera indirizzata a Paolo Antonio Foscarini, padre carmelitano e sostenitore di Galileo, il cardinale Bellarmino aveva avuto modo di precisare che si riteneva pronto a rettificare l’interpretazione dei passi biblici che paiono sostenere il moto solare, ma non prima che Galileo avesse presentato le prove concrete che dimostrino il contrario.
«Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel 3° cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata» (Roberto Bellarmino, cardinale)
In questo più che in altri aspetti, il genio straordinario di Galileo dovette fare i conti con i propri limiti umani: egli mancò infatti di recare la prova che avrebbe spazzato via ogni dubbio sulla veridicità della teoria copernicana; tale prova, come narrato nell’introduzione di questo articolo, venne fornita solo oltre un secolo dopo da James Bradley.
Galileo, nella propria argomentazione, aveva addotto il flusso delle maree come evidente indizio che la Terra si muove: nonostante il concetto di “forza di gravità” fosse al tempo ancora sconosciuta, gli intellettuali e gli uomini di scienza già avevano intuito che le maree non erano correlate al moto del pianeta, bensì alle fasi lunari.
Per la prima volta Galileo si reca spontaneamente a Roma per rispondere alle accuse sul suo conto: in questa circostanza emerge l’esistenza di una fazione ecclesiastica, i Gesuiti, più aperta alle nuove scoperte della scienza, e di un altro gruppo, rappresentato sostanzialmente dai Domenicani, più chiusi e avversi alle teorie eliocentriche.
Si noti che i membri dell’Ordine di San Domenico, furono in età medievale tra i primi ad essere designati come giudici della neonata Inquisizione.
Galileo, pur di salvaguardare la propria tesi dal sospetto di eresia si rivolse nientemeno che all’allora pontefice Urbano VIII, al secolo Matteo Vincenzo Barberini, cui era legato da un rapporto di amicizia e di stima: costui però ribadì il monito di non insegnare le teorie copernicane come verità assoluta.
Galileo chiese ed ottenne per il suo “Dialogo” un imprimatur, ossia un’approvazione da parte della Chiesa, senonché tale approvazione non era definitiva, in quanto l’opera era ancora incompiuta. Non si sa con certezza cosa spinse Galileo a dare alle stampe la sua opera senza che fosse data l’approvazione sull’opera compiuta, ma ciò che certo è che questa mossa fu un errore gravissimo.
Un’accusa pesante come un macigno grava sul capo di Galileo: di aver disobbedito al sommo pontefice.
Altrettanto biasimevole era ritenuto il fatto che nel Dialogo le posizioni ufficiali della Chiesa sul tema di sistema cosmologico fossero messe in bocca ad un personaggio di nome “Simplicio”: ciò venne percepito come un chiaro intento di scherno.
Il Santo Uffizio si attiva, e convoca Galileo a Roma perché chiarisca in aula le proprie posizioni.
L’immaginario popolare ha giocato molto nella maniera di pensare a Galileo alle prese con gli inquisitori: la mente evoca in modo quasi spontaneo l’immagine di un cupo sotterraneo, di strumenti di tortura e di aguzzini pronti a infliggere dolore.
La realtà fu meno drammatica, anche se la situazione di Galileo al momento del processo non doveva essere piacevole, e i rischi che correva erano comunque ingenti.
Tuttavia, il clima in cui il dibattimento processuale si svolse fu certamente meno teso rispetto a quello in cui si trovò inquisito Giordano Bruno.
Gli interrogatori si svolgono nelle sale del Palazzo del Santo Uffizio. Galileo al tempo ha già settant’anni compiuti e soffre di problemi di salute: rimane agli arresti domiciliari nel medesimo edificio per appena venti giorni, prima di ottenere il trasferimento a Villa Medici, sede dell’ambasciata fiorentina a Roma, come ospite del duca di Toscana, suo amico ed estimatore.
A presiedere il collegio dei giudici inquisitori in questa occasione non è il cardinal Bellarmino, deceduto nel 1621, ma il commissario Generale del Sant’Uffizio, Vincenzo Maculani, domenicano: costui era noto per la sua vasta cultura, ma anche per la sua pungente freddezza nel trattare i processi per inquisizione.
Il 12 aprile del 1633 si tiene la prima udienza, cui ne segue il 30 aprile una seconda: in entrambe le occasioni il fisico pisano sostiene di non aver mai sostenuto la tesi della “mobilità della Terra”. Forse l’intento di Galileo faceva affidamento su una caratteristica propria del “Dialogo”: l’opera si presenta come una discussione aperta, in cui manca nel finale una chiara presa di posizione.
La possibilità di porre l’inquisito sotto tortura fu quasi certamente, come prassi del Santo Uffizio, vagliata dagli inquisitori, tuttavia tale opzione venne scartata, in quanto le regole processuali vigenti vietavano di sottoporre al supplizio un soggetto già anziano e malato come Galileo.
Inoltre, gli elementi necessari a formulare una sentenza di condanna erano già, per il collegio inquisitoriale, stati forniti.
Dopo un’ultima udienza tenutasi il 21 giugno, in cui Galileo negò nuovamente di aver sostenuto teorie in contrasto con le sacre dottrine, giunge il momento della delibera: il giorno successivo, 22 giugno 1633, viene data lettura della sentenza: l’Inquisito è ritenuto colpevole di aver sostenuto e insegnato teorie false ed eretiche, ossia che il sole sia immobile al centro dell’universo e che la Terra giri intorno ad esso.
La stampa del “Dialogo sopra i due massimi sistemi” viene proibita e Galileo viene condannato al “carcere formale”, ossia agli arresti domiciliari, e alla penitenza della recita settimanale, per tre anni consecutivi, dei salmi penitenziari, fatta salva la facoltà per il collegio giudicante, di commutare, attenuare o rimuovere la pena.
Possiamo immaginare quale fosse lo stato d’animo di Galileo (: proprio a questo punto, a detta di alcuni, avrebbe proferito la celebre frase ”eppur si muove!”; in realtà non vi è alcuna prova o testimonianza che indichi che tale asserzione sia effettivamente uscita dalle labbra del padre della scienza. Al contrario, il fisico, immediatamente dopo la lettura della sentenza, fece atto di formale abiura, impegnandosi a non sostenere più in alcun modo dottrine o teorie che potessero dare adito anche al minimo sospetto di eresia. Promette altresì di sopportare tutte le pene e di adempiere a tutte le penitenze imposte dai Giudici.
La parte più “religiosa” della sentenza, ossia la recita periodica dei salmi penitenziali, potrebbe sembrare fuori luogo: in realtà non era raro che il condannato, anche qualora scampasse alla pena del carcere, fosse sottoposto a questo tipo di penitenze volte “alla salute dell’anima”.
Risulta abbastanza curioso che la sentenza sia stata sottoscritta da sette giudici sui dieci che componevano il collegio: tre di loro si opposero alla condanna; tra essi vi era il card. Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII.
Galileo ottenne che la recita delle preghiere fosse scontata per lui dalla figlia Virginia, suora di clausura.
Galileo, pur nel suo stato di carcerazione, fu ospite per qualche tempo del suo amico arcivescovo Ascanio Piccolomini, a Siena. Successivamente si trasferì nella propria villa ad Arcetri, a sud di Firenze, dove continuerà i suoi studi e le sue sperimentazioni.
Nel 1638, ormai del tutto cieco, Galileo pubblica la sua ultima opera, intitolata “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”
Galileo muore l’8 gennaio del 1642, ed è sepolto nella basilica di Santa Croce a Firenze. Più tardi, nel 1737,viene eretto un monumento funebre in suo onore.
A metà del Settecento, quando furono diffuse le teorie e le dimostrazioni astronomiche di James Bradley, il sistema copernicano viene definitivamente accettato.
Solo in tempi recenti, una commissione di teologi riesaminò il caso di Galileo, riconoscendo l’ingiustizia della condanna inflittagli dal Santo Uffizio, nonché la fondatezza della sua teoria scientifica sull’ordine del cosmo.
La vicenda di Galileo non può non destare, ancor oggi, un velo di tristezza: tuttavia essa va considerata, sin al principio, una battaglia vinta, non solo a favore della sana ricerca scientifica e della cultura priva di preconcetti o dogmatismi, ma anche come una notevole scoperta della vastità e della bellezza del creato.
Ora vi lascio con un’ultima frase che, a parer mio, simboleggia e riassume tutta l’esperienza, di quel “divin uomo”:
“Ho amato le stelle troppo profondamente per avere paura della notte.” (Galileo Galilei)
PER APPROFONDIRE:
“Processo a Galileo”, libro di De Santillana Giorgio, fisico e storico della scienza;
“Galilei, divin uomo”, libro di Zichichi Antonino, fisico;
“Galilei. Dall’Ipse Dixit al processo di oggi”, libro di Zichichi Antonino, fisico;
“La lunga storia dell’inquisizione. Luci e ombre della «leggenda nera»”, libro di Cardini Franco, strico, e Marina Montesano, storico;
“Storia dell’Inquisizione in Italia”, libro di Black Christopher, storico;
“Il giudice e l’eretico: studi sull’Inquisizione romana” libro di Tedeschi John, storico.
“Galileo”, libro di Battistini Andrea, critico letterario;
Estratto video della conferenza “Le ragioni del torto: il barbaro e il moderno”, relatore Barbero Alessandro, storico (disponibile al link https://www.youtube.com/watch?v=UhsWI7m6080);
Estratto video da “La rivoluzione copernicana”, puntata de Il Tempo e la storia, intervista a Barbero Alessandro, storico (disponibile al link https://www.youtube.com/watch?v=znINVTS4-kQ);
“Dal big bang ai buchi neri”, libro di Hawking Stephen, fisico;
“I grandi della fisica”, libro di von Weizsäcker Carl Friedrich, fisico;
“Galileo, processo al processo”, online su Toscana Oggi, articolo di Cardini Franco, storico;
“Anche Galileo può errare”, disponibile online sul sito del Consiglio della Regione Toscana, articolo di Frova Andrea, fisico;
“Galileo eretico”, libro di Redondi Pietro, storico della scienza;
“I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741)”, libro di Pagano Sergio, teologo;
“Chi era Galileo Galilei, l’italiano che rivoluzionò la scienza”, online su Focus Storia, articolo di Di Simone Lidia, giornalista;
“I miti da sfatare su Galileo Galilei”, articolo pubblicato su Wired Italia;
“Il Vaticano cancella la condanna a Galileo”, disponibile online su La Repubblica, articolo di La Rocca Orazio, giornalista;
“Fu Galileo Galilei a indicare la via a Cartesio”, disponibile online su L’Osservatore Romano, articolo di Nicolò Gabriele, giornalista;
“Scienza e religione in Vita di Galileo di Bertolt Brecht”, disponibile su Scienza in Rete, articolo di Rossi Valentina, matematica;
“Giordano Bruno e Galileo Galilei”, puntata del programma Impero;
Estratto video da una puntata del programma Sperquark (disponibile al link https://www.youtube.com/watch?v=-VOCASCjI50).