PRESUPPOSTI
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Conio rappresentante Aureliano |
Il regno di Palmira era divenuto indipendente[6] nel 260 d.C., nella circostanza dell’imprigionamento dell’imperatore Valeriano[7] (200 d.C. pressappoco-successivamente al 260 d.C.) nel combattimento di Edessa[8], ed aveva perseguito una politica sempre più autonoma in primis sotto Settimio Odenato[9] e sotto la sua consorte[10] Zenobia[11] in seguito. Dapprima vi fu un mutuo riconoscimento di Aureliano e Vaballato[12] (figlio di Odenato), ma poi l’imperatore pose fine ad ogni incertezza ed intraprese una serie di operazioni belliche di riappropriazione[13]. Presentandosi come colui che ripristinava l’ordine costituito e non come chi avrebbe castigato i territori in precedenza romani, Aureliano combatté e vinse[14] nello scontro armato di Immae (272 d.C.), in prossimità di Antiochia[15], Zenobia ed il suo capitano Zabdas, spingendoli a trovare rifugio ad Emesa.
SVOLGIMENTO DELLO SCONTRO ARMATO
Busto di Zenobia |
Come avvenuto qualche tempo prima ad Immae, i Palmireni fecero pieno affidamento sui loro catafratti, quantitativamente e dal punto di vista della qualità superiori ai cavalieri romani. Anteriormente al combattimento risolutivo, tuttavia, le legioni romane si scontrarono con il nemico vicino a Dafne (piccolo nucleo urbano situato negli immediati paraggi di Antiochia). «… Aureliano si diresse ad Emesa, e avendo scoperto che un contingente di Palmireni occupava una collina sovrastante il sobborgo di Dafne, ritenendo di sfruttare tale posizione favorevole per impedire il passaggio del nemico, ordinò ai soldati romani di accostare gli scudi e, formata una fitta falange, di salire verso la vetta del colle e respingere dardi e pietre, se mai ne avessero scagliate, con la compattezza della falange macedone. I soldati romani eseguirono il comando con grande precisione. Dopo aver scalato quel luogo scosceso, come era stato loro ordinato, si scontrarono con il nemico in condizioni di parità e lo misero subito in fuga. Alcuni (di questi) precipitarono negli strapiombi sfracellandosi, altri furono massacrati dagli inseguitori romani e da quelli che non avevano partecipato all’ascesa del colle. Dopo la vittoria, passando senza pericolo (nei territori successivi), l’imperatore (Aureliano) indirizzò la successiva marcia»[25].
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Anfiteatro romano di Palmira |
In seguito a questo ulteriore successo militare romano, le località siriane di Apamea, Larissa ed Aretusa, costruite sulle rive del fiume Oronte, trattarono la resa senza lottare con Aureliano, che proseguì il proprio cammino sino all’insediamento abitativo siriano di Emesa. Qui Aureliano s’imbatté nelle milizie di Palmira (70.000 soldati), disposte in schiera davanti al centro urbano, dove le due armate poco più tardi si affrontarono. «Quando i due eserciti si scontrarono, la cavalleria romana ritenne meglio ritirarsi un poco, per evitare che i soldati senza accorgersi fossero accerchiati da un gran numero superiore di cavalieri palmireni, che cavalcavano intorno a loro. Poiché i cavalieri palmireni si davano all’inseguimento dei romani che si ritiravano e in questo modo rompevano il loro schieramento, si verificò il contrario di quello che volevano i cavalieri romani: (questi ultimi) infatti erano in pratica inseguiti dai (palmireni), risultando molto inferiori ai nemici. E poiché cadevano in moltissimi, avvenne allora che tutta la battaglia ricadesse sulla fanteria romana, la quale, vedendo che i Palmireni avevano sconvolto i loro ranghi per lanciarsi all’inseguimento dei cavalieri romani, ripiegarono e li attaccarono mentre erano disordinati. Per questo motivo ci fu una grande strage. Alcuni assalivano con le armi tradizionali. Quelli provenienti dalla Palestina, colpivano invece con bastoni e mazze i loro avversari palmireni, i quali indossavano corazze di ferro e di bronzo. Questo fu in parte la ragione principale della vittoria romana. I nemici rimasero sbalorditi per l’insolito assalto delle mazze»[26]. Pertanto i Palmireni scapparono in modo disordinato e nell’abbandono precipitoso del campo di battaglia camminarono sui loro medesimi compagni d’armi e vennero massacrati dagli assalti di truppe romane a piedi. Nella piana, concluso lo scontro armato, si poté vedere una moltitudine di corpi umani e cavalli privi di vita. Coloro che riuscirono a scappare fra i Palmireni si rifugiarono nel centro abitato di Emesa[27].
RIPERCUSSIONI
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Zenobia nel dipinto di Herbert Schmaltz |
Zenobia, successivamente alla terza catastrofica disfatta, prese la decisione di allontanarsi da Emesa e scappare sino a Palmira, dove avrebbe coordinato l’ultima azione di opposizione[28]. La subitanea fuga non le consentì, tuttavia, di rientrare in possesso dell’ingente quantità di denaro, oro, pietre ed altri oggetti preziosi che aveva celato nella località sopramenzionata. Aureliano, portato a conoscenza dell’abbandono precipitoso di Zenobia, raggiunse Emesa e ricevuto con benevolenza da i suoi abitanti lì recuperò la rilevante massa di denaro, oro, pietre ed altri oggetti preziosi abbandonata dalla sovrana che aveva rifiutato ogni forma di sottomissione nei confronti di Roma[29]. Il conflitto ebbe termine con il blocco militare organizzato intorno a Palmira. Zenobia, ben sapendo che l’insediamento abitativo era oramai molto vicino alla resa, cercò di scappare in Persia[30] (odierno Iran). Imprigionata poco più tardi durante la traversata[31] dell’Eufrate[32], fu messa in catene e processata da Aureliano, che tuttavia stabilì di non ucciderla, concedendole di vivere[33].