Nel 1281 si svolge un episodio cruciale nella storia del Giappone: il tentativo di invasione da parte dei Mongoli, respinti dai samurai di Kamakura con l’intervento provvidenziale dal “vento divino” (Kami-kaze 神風) che disperde la flotta nemica.
Per onorare la memoria dei caduti di ambo le parti, il reggente Hōjō Tokimune fa costruire in seguito a Kamakura il tempio Zen di Engakuji 円覚寺, tuttora visitabile.
Nel periodo successivo l’impegno degli Shogun è rivolto principalmente alla difesa contro una eventuale nuova invasione, uno sforzo che richiede la coesione tra tutti i clan. Le lotte interne avranno inizio solo quando l’imperatore Go-Daigo prenderà le armi contro Kamakura (1331) in quella che viene chiamata la Restaurazione Kemmu (Kenmu no shinsei, 建武の新政).

Date queste premesse storiche, “L’ombra di cenere“, che si apre nell’anno 1330, suscita fin dall’inizio la perplessità di quanti conoscono la storia giapponese. Dal momento che il mitico guerriero Hakashinjitsu, qui protagonista del romanzo, ha combattuto fino all’età di 70 anni, dovrebbe dovuto quantomeno accennare nei suoi ricordi all’invasione mongola, un episodio di enorme impatto sui giapponesi della sua epoca, e sulle successive operazioni di difesa. Invece la scena di battaglia tra l’ipotetico clan Yoshisada e un clan rivale, nonché le allusioni a innumerevoli altre battaglie precedenti tra clan, fanno pensare a una vicenda ambientata nel Sengoku Jidai 戦国時代、epoca del “paese in guerra” (1467-1603).
Per quanto concerne lo stile, la penna dell’autrice ci trasporta con grande abilità a seguire la vicenda di Hakashinjitsu e del suo signore Momokushi, dall’incontro iniziale nella strada di un villaggio fino alla sorprendente conclusione. I personaggi sono ben delineati e l’intreccio, fatto di ripetuti flashback, è condotto in modo ammirabile. Purtroppo le incongruenze storiche affiorano ripetutamente: si ha quasi l’impressione che l’autrice abbia colmato con la fantasia lacune di informazione.

La cosa meno credibile è proprio l’elemento centrale di tutta la vicenda, che viene svelato alla fine. Risulta davvero impossibile credere che Hakashinjitsu, in 70 anni di vita, non sia mai stato visto nudo in un paese dove la nudità non è mai stata un tabù e i bagni quotidiani erano (sono) fatti in vasche comuni. Per cogliere questa incongruenza non serve nemmeno conoscere la storia del Giappone, è sufficiente esserci stati.

Dare al romanzo storico un’ambientazione esotica è un grosso rischio. Se si accetta la sfida, credo sia necessario studiare a lungo, in profondità la storia e la cultura del paese a cui ci si riferisce. Proprio come nelle discipline tradizionali giapponesi, bisogna partire dalle basi e poi ripetere e ripetere, con umiltà e apertura d’animo. Possibilmente imparare la lingua.
Capisco e condivido la passione dell’autrice per il Giappone dei samurai. Proprio per questo, e con molta simpatia, voglio essere sincera: il romanzo è scritto bene, ma lascia in bocca il sapore di un’occasione mancata.

Titolo: L’ombra di cenere
Autore: Linda Lercari
Editore: HarperCollins Italia
Pagg. 124
NON DISPONIBILE
NUOVA EDIZIONE RIVEDUTA E AGGIORNATA
Incuriosito da questa recensione mi sono letto il romanzo. Devo dire che concordo assai poco col giudizio espresso su queste pagine, ma lo comprendo perché è un riflesso tipico dello storico professionista non riuscire a “godere” la letteratura storica. La letteratura è narrazione di storie che possono essere ambientate più o meno bene, ma devono obbedire alla logica della fabulazione, ossia della narrazione, non a quella della documentazione storica che deve essere esatta e pervasiva.
Non ha senso aspettarsi da una narrazione del genere, quale quella della Lercari, ogni riferimento a fatti comunque arcinoti, perché questa rientra nella libertà dell’autore. Esistono innumerevoli esempi di belle storie ambientate nell’Ottocento senza che per forza faccia capolino o “debba far” comparsata Napoleone o qualsiasi gigante (o fatto rilevante) dell’epoca. Così come si può intessere un bel romanzo senza trasformarlo in un elenco esaustivo dei “grandi fatti” occorsi nel periodo.
Per il resto trovo molte meno incongruenze nel romanzo di quelle qui attribuitegli, semmai omissioni (non lacune). Idem per la plausibilità di certi sviluppi. Non svelerò la trama ma se è necessario, per salvare la poeticità di una situazione, evitare di far succedere certi episodi… Insomma è anche questa una libera scelta dell’autrice.
Concordo sulla posterità delle esperienze narrate nel romanzo, che è per sua stessa natura, una visione di un epoca che termina. Da qui anche uno “sbilanciamento” sul Sengoku-Jidai è più coerente che una pecca. Tutt’altro che un’ocasione mancata. Un giudizio eccessivamente severo che non collima con quello che abbiamo provato leggendo il romanzo.
“Romanzo storico” significa una storia ambientata in un determinato periodo e ciò comporta la necessità di essere coerenti, almeno a grandi linee, con le vicende del periodo di cui si tratta. Questo a prescindere dal fatto di essere o meno storici professionisti, cosa che io non ho la pretesa di essere. Il Manzoni può avere anche travisato alcuni aspetti del quadro storico dell’Italia seicentesca, ma se ci avesse messo, che ne so, l’Illuminismo o non avesse fatto menzione dell’occupazione spagnola, avrebbe scritto un fantasy. Non credo di essere stata particolarmente severa, semmai troppo indulgente.