“Il nazismo rappresenta il collasso della ragione umana: ha dimostrato che si può fare il male pur pensando in maniera eccellente.” (Umberto Galimberti)
Introduzione
Il regime che nel corso della Seconda Grande Guerra decretò l’eliminazione fisica di milioni di persone aveva ben poco di diabolico, ma tutto di umano. Per citare Hannah Arendt, diaboliche erano le azioni, ma coloro che le misero in atto erano perfettamente umani.
Il materiale storico e divulgativo attinente all’Olocausto che si è andato ad accumulare nel corso dei decenni è veramente ingente; una montagna in continua crescita. Spesso pubblicazioni e articoli tendono a puntare l’indice sui particolari più macabri della vicenda, portando al rischio, non voluto, di una eccessiva spettacolarizzazione della violenza ad essa sottesa, spettacolarizzazione non necessaria a cogliere appieno la drammaticità della storia della Shoah, o del Secolo Breve in genere.

Se dovessi rispondere alla domanda “come definiresti l’Olocausto?”, credo che la mia risposta più sincera e istintiva debba essere “un atto di omicidio”. Nient’altro per ora. Mi si perdonerà se, per i suddetti propositi, ho deliberatamente scelto di non soffermarmi sul significato del termine genocidio: tale definizione rischierebbe proprio di sviare dal mio intento, ossia presentare un’immagine nitida delle nefandezze naziste.
Da questa prospettiva, nulla togliendo all’evidente efferatezza del crimine, gli assassini non appaiono nemmeno più scaltri o cauti di qualsiasi minuscolo serial killer che possiamo trovare sulla faccia della Terra: omicidio e soppressione di cadavere, nei confronti di milioni di persone. Pensare di occultare un’operazione di tali proporzioni come la Soluzione Finale non può nemmeno rientrare nella definizione ordinaria di sfrontatezza o impudenza: è stupidità allo stato puro. Gli assassini non hanno nemmeno il privilegio di essere etichettati come “geni del male”: sarebbe un tributo troppo generoso alla loro memoria.

Potrei citare qualsiasi cosa, gli esperimenti sugli esseri umani (spesso bambini), le torture inflitte ai prigionieri, eppure la prima citazione che mi viene in mente parlando del tema è la seguente:
“Ci buttavano addosso due scarpe scompagnate, une col tacco e una senza… (…) una era troppo stretta e una era troppo larga: bisognava fare dei cambi complicati, se si aveva fortuna, e trovare il modo di assortire due scarpe che andassero bene. Ma comunque erano scarpe che ferivano i piedi, e chi aveva la pelle dei piedi delicata finiva per avere delle infezioni ai piedi (…). Chi era sensibile alle infezioni moriva di scarpe.” (Primo Levi)

L’opera di Levi è ricca di testimonianze simili, alcune di esse marcate da una spiccata autoironia:
“C’era una strada di campagna che correva lungo il lager (…): passavano dei pullman che portavano al lavoro gli operai polacchi. Ricordo che su uno di questi pullman c’erano dei cartelli di reclam, come sui nostri, dove c’era scritto <<beste suppe, Knorr suppe>>, la miglior zuppa è la zuppa Knorr; e a noi faceva un effetto molto strano vedere il reclam di una zuppa, come se si potesse scegliere tra una zuppa più buona e una meno buona.” (Primo Levi)
Wannsee 1942, l’inizio
Se c’è un particolare che stupisce di quello sterminio che si usa definire Olocausto – termine secondo alcuni assai poco appropriato oltre che poco indicativo – oltre al numero di vittime è l’estrema rapidità con cui tale sterminio è stato perpetrato. È lecito chiedersi come sia stato possibile nell’arco di poco più di due anni e mezzo, deportare e sopprimere un numero tanto ingente di esseri umani. Ma di gran lunga più importante è stabilire il percorso che ha portato dall’ideazione della strage all’atto concreto.
Come scrisse il filosofo di origini ebraiche Noam Chomsky:
“L’istruzione non è memorizzare che Hitler ha ucciso sei milioni di Ebrei. L’istruzione è capire come è stato possibile che milioni di persone comuni fossero convinte che fosse necessario farlo.”
Secondo alcuni storici, l’annientamento della “minaccia ebraica” era già nelle intenzioni di Hitler sin dai suoi esordi sulla scena politica tedesca: sebbene negli scritti del Führer non vi sia traccia di tale proposito, alcuni storici ravviserebbero in alcuni passaggi del Mein Kampf indizi, se non decisivi, almeno univoci, se valutati col senno di poi. Su tale tema si dipana il dibattito tra la scuola intenzionalista, che vede nel piano di sterminio un progetto a lungo termine protrattosi sin dalla fondazione del partito nazista, e la scuola funzionalista, che identifica detto sterminio come frutto di scelte ponderate e stratificate nel tempo.

Il già citato Chomsky si affannò a descrivere come la propaganda massiva, supportata anche dai moderni mezzi di comunicazione, servisse al ruolo di “fabbrica del consenso”. Questo spiega perché Julius Streicher, uno degli elementi di spicco della propaganda del Reich, sia stato condannato a morte a Norimberga nonostante fosse stato riconosciuto colpevole di uno solo dei capi di imputazione (crimini contro l’umanità), e non avesse mai preso parte attivamente né alla pianificazione né all’esecuzione dei massacri.
Nel ’39, e di nuovo nel ’41, Hitler parlò alla folla citando l’annientamento della razza ebraica in termini quasi profetici.

Hitler non visitò mai un lager, ed è possibile che non fosse nemmeno pienamente edotto delle effettive modalità di attuazione dello sterminio: chi è un poco consapevole della psicologia del soggetto in questione può ben immaginare che lo stesso si sia limitato a delegare ai propri gerarchi la progettazione delle modalità operative della “Soluzione Finale”, ritenendosi oberato da “ben più urgenti faccende”, quali la propaganda politica e i piani di guerra.

Il 20 gennaio del ’42, in una meravigliosa villa sul lago Großer Wannsee, fu deliberato il destino del popolo ebraico. A presiedere ai lavori Reinhard Heydrich, capo della sicurezza del Reich e comandante della polizia tedesca.
Prima della conferenza erano state avanzate varie proposte sul modo di liquidare la “questione ebraica”: deportare tutti gli ebrei su un’isola (qualcuno propose il Madagascar), oppure lasciare persino che emigrassero, fondando un proprio Stato. Lo zelo con cui i maggiori gerarchi a Wannsee accantonarono tali iniziative, prospettando una soluzione assai più radicale e definitiva, lasciano trasparire che fosse il Führer a volerlo.

Endlösung: Soluzione Finale
Operazioni isolate di sterminio ai danni di civili ebrei, tramite fucilazioni e successivamente per mezzo di camere a gas mobili (gaswagen) erano già state compiute sin dal 1940, ma la portata limitata delle stesse, abbinata ai rischi per la segretezza delle operazioni, fecero emergere l’esigenza di un vertice che avesse le caratteristiche della generalità e della segretezza. Le operazioni di deportazione e sterminio sarebbero state, per i medesimi motivi, affidate alle Schutzstaffel (SS), più fedeli alle idee del partito, nonché più cieche nell’eseguire gli ordini del leader.

L’esperienza del famigerato Battaglione 101 nelle retrovie del fronte est aveva dimostrato che potevano verificarsi dei crolli psicologici da parte di membri dell’esercito regolare o della polizia di supporto: l’uso del gas per le esecuzioni di massa, unito al vantaggio della celerità, serviva a questo scopo.
Per evitare il più possibile il contatto diretto con i prigionieri durante la fase della soppressione furono ideati i Sonderkommando, reparti di prigionieri incaricati del depredamento, allo spostamento e all’eliminazione dei cadaveri dei prigionieri uccisi nelle camere a gas.

A Wansee ci si preoccupò di identificare i soggetti che sarebbero stati colpiti, in particolare undici milioni di ebrei, considerati tali sia per “razza” che per “adesione religiosa”. Gli stessi sarebbero stati trasferiti in ampie colonie in cui le condizioni di privazione avrebbero portato all’auto-annientamento.

Uno sguardo all’immediato futuro ci permette infatti di capire meglio questo concetto: nonostante gli impianti predisposti all’uccisione tramite gas dei prigionieri nei Vernichtungslager (campi di sterminio) funzionassero a pieno regime, essi non bastavano a realizzare quell’intento di eliminazione totale. Si scelse dunque la via dello “sterminio indiretto”, attuato per l’appunto mantenendo gli internati in una situazione di costante indigenza materiale, corroborata da vessazioni fisiche e psicologiche atte a spezzarne la psiche.
I più resistenti tornavano utili come operai-schiavi nelle vicine industrie. Tuttavia, non si tentò mai di sfruttare al massimo le potenzialità di questa nuova forza-lavoro: per usare le parole di alcuni autori, l‘ideologia prevalse su tutto, anche a scapito dell’economia e della potenza bellica del Reich. In altre parole, la morte dell’internato nei lager non era palesata come semplice conseguenza del lavoro forzato, bensì era il lavoro ad essere funzionale allo sterminio.

Nei verbali di Wannsee non compaiono riferimenti alle camere a gas. Durante il suo processo tenutosi ad Israele nel ‘61, Adolf Eichmann, che oltre ad essere il responsabile logistico delle deportazioni era stato il redattore di detti verbali, aveva negato che si fosse fatto cenno a tali impianti: nella medesima circostanza l’ex ufficiale nazista aveva confermato che si era parlato di sterminio e annientamento; risulta dunque improbabile che mentisse sull’altro punto.
Tuttavia, è ritenuto attestato che i primi test con lo Zyklon B sugli esseri umani, insieme all’imbastimento di quelli che a breve sarebbero diventati i lager, risale almeno a un anno prima della conferenza.

Volendo concentrare lo sguardo sui carnefici, piuttosto che sulle vittime, possiamo constatare come, quasi paradossalmente, rispetto al miliziano delle S.S. che fa fuoco spianato su civili inermi, appaia più terrificante la figura di un ufficiale intento a prendere il tè a pochi metri di distanza. È la figura del desk murderer, come è stato definito, l’”assassino da scrivania”, che decide la sorte di decine, centinaia o migliaia di persone con lo stesso distacco con cui si pulirebbe le scarpe.

Nella dura esperienza dei lager risalta la netta coincidenza tra il buon nazista e il funzionario ligio al dovere, qualunque cosa comportasse quest’ultimo: ad Eichmann non importava quante persone si dovessero deportare, allo stesso modo in cui Franz Stangl, ufficiale responsabile dei campi di Sobibor e Treblinka, mostrava il più sincero disinteresse per quanti prigionieri si mandassero alle camere a gas, purché tutto avvenisse nel rispetto dei tempi previsti.
Götterdämmerung: la fine
Aprile 1945: Berlino cade in pezzi sotto i colpi dell’artiglieria e dei bombardieri sovietici.
A ovest la linea del Reno è stata sfondata, e gli Alleati avanzano nei territori tedeschi incontrando poche resistenze; raggiungono il fiume Elba, a un centinaio di chilometri dalla capitale.

Hitler sa che non c’è via di scampo: decide dunque di scrivere la parola fine. Ai suoi occhi, la Germania ha perso la sua lotta per la supremazia sulle nazioni, e di conseguenza il diritto di esistere: la fine più dignitosa per un tedesco era morire con un’arma in pugno: decreta la guerra fino all’ultimo uomo. Ma il Führer non ha intenzione di correre il rischio di farsi prendere vivo: ha in mente un finale tragico, degno delle grandi opere wagneriane, un “crepuscolo degli dèi” (Götterdämmerung).
Il colpo di pistola che quel 30 aprile segnò la fine della dittatura nazista fu un sospiro di sollievo per un’Europa dilaniata da cinque anni di conflitti: con lo stesso frastuono e la medesima pomposità con cui era sorto, il male cade; lo definirei un finale patetico, più che epico.

Qualche mese prima, nel luglio del ‘44, l’Armata Rossa entra nel lager polacco di Majdanek: all’interno molti morti, ma anche numerosi prigionieri denutriti, ma vivi.
Il lager, abbandonato dai tedeschi in fretta e furia, recava prove evidenti delle atrocità commesse: secondo le stime, quasi ottantamila individui, ebrei e non, persero la vita in quel campo. Majdanek fu il primo di molti campi di prigionia e sterminio ad essere liberati.

Tra il 1945 e il 1949 una serie di processi, tredici in tutto, tenutisi a Norimberga, diede a gerarchi, ufficiali e alti funzionari dell’ormai defunto Reich quella dignità che era stata negata alle vittime della Soluzione Finale: la dignità di potersi difendere da uomini, e di sostenere la propria innocenza di fronte ad una corte. Prima che colpevoli, i gerarchi nazisti erano stati riconosciuti umani.
BIBLIOGRAFIA:
Verso la soluzione finale: la conferenza di Wannsee, saggio di Peter Longerich (storico), 2018;
I volenterosi carnefici di Hitler, saggio di Daniel Goldhagen (storico), 1997;
I sommersi e i salvati, saggio di Primo Levi (scrittore), 1986;
Se questo è un uomo, saggio di Primo Levi (scrittore), 1947;
La banalità del male, saggio di Hannah Arendt (filosofa), 1963;
Modernità e Olocausto, saggio di Zygmunt Bauman (sociologo), 1992;
Uomini comuni: polizia tedesca e soluzione finale in Polonia, saggio di Christopher R. Browning (storico), 1995;
Sull’orlo dell’abisso. Le origini della Shoah nel dibattito fra storici «intenzionalisti» e «funzionalisti», saggio di Ruggero D’Alessandro (sociologo), 2019;
La distruzione degli Ebrei d’Europa, saggio di Raul Hilberg (storico), 1961;
Adolf Eichmann: anatomia di un criminale, saggio di David Cesarani (storico), 2006;
La banalità del male oggi, tesi di laurea di Gaia Bernardinello, pubblicata da Università Ca’ Foscari di Venezia, 2018;
L’obbedienza all’autorità. Il caso del battaglione 101: riflessioni e conseguenze, tesi di laurea di Anna Baracchi, pubblicata da Università di Padova, 2022;
La Disfatta. Gli Ultimi Giorni di Hitler e la Fine del Terzo Reich, saggio di Joachim Fest (storico), 2001;
Storia del Terzo Reich, saggio di William L. Shirer (storico), 1960;
L’etica del viandante, saggio di Umberto Galimberti (filosofo), 2023.
ARTICOLI:
Wannsee Conference, articolo pubblicato su Traces of War, 15 novembre 2022;
Il verbale della conferenza di Wannsee, pubblicato sul sito ufficiale dell’Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna;
La storiografia tedesca della Shoah: nuove prospettive di ricerca, articolo di Laura Fontana (storica), pubblicato da dell’Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna;
La pianificazione di uno sterminio: 80 anni dalla Conferenza di Wannsee, articolo di Antonella Salomoni, pubblicato sul sito ufficiale di Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 20 gennaio 2022;
Cosa intendeva veramente Hannah Arendt con “banalità del male”?, articolo di Thomas White, pubblicato su The Vision, 15 marzo 2019;
Giornata della memoria: morire di scarpe, articolo di Serena Bonetti, pubblicato da Il Bernina, 27 gennaio 2021;
Nazismo e Shoah: 80 anni fa si tenne la conferenza di Wannsee, articolo di Flavia Foradini, pubblicato da Il Sole 24 ore, 20 gennaio 2022;
Fucilazioni di massa degli ebrei durante l’Olocausto, articolo pubblicato da Enciclopedia dell’Olocausto, 14 marzo 2022;
Umberto Galimberti: la banalità del male esiste ancora, intervista a Umberto Galimberti (filosofo) pubblicata da La Repubblica;
La vera storia della caduta di Adolf Hitler: cronaca di una morte annunciata, articolo pubblicato da Focus Storia, 30 aprile 2023;
La conferenza di Wannsee, articolo pubblicato da Alpha History;
Storiografia della Germania nazista, articolo pubblicato da Alpha History;
Storiografia dell’Olocausto, articolo pubblicato da Alpha History;
Il Valhalla brucia: I deliri wagneriani di Hitler negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, articolo di Alexandra Birch, pubblicato su Music and the Holocaust, 1 maggio 2024;
Defeat of Hitler: Downfall of Adolf Hitler, articolo pubblicato su History Place, 2010;
Gotterdammerung, articolo di John Peterson, pubblicato su War History Buff, 5 giugno 2020.
VIDEO, FILM E DOCUMENTARI:
Ritorno ad Auschwitz, programma RAI, con la partecipazione di Primo Levi;
Il veleno di Auschwitz, programma RAI, con la partecipazione di Primo Levi;
La testimonianza di Liliana Segre, divulgato da Corriere della Sera;
Liliana Segre, a 13 anni deportata ad Auschwitz, divulgato da TV 2000;
Viaggio senza ritorno, puntata del programma Ulisse: il piacere della scoperta, diretto da Alberto Angela;
La conferenza di Wannsee, puntata del programma Passato e Presente, diretto da Paolo Mieli;
I campi di concentramento, puntata del programma Passato e Presente, diretto da Paolo Mieli;
Heydrich e Eichmann, gli architetti della soluzione finale, divulgato da La linea della memoria;
Verso la soluzione finale: la conferenza di Wannsee, divulgato da Dentro la Storia;
Mussolini e la Shoah, divulgato da Fondazione Museo della Shoah;
Il processo Eichmann, la banalità del male, divulgato da Docustoria 2000;
Die Wannseekonferenz, film diretto da Heinz Schirk, 1984;
La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler, film diretto da Oliver Hirschbiegel, 2004.