Le vie dei pellegrinaggi nel Medioevo


 
 
 
Diverse erano le vie che usualmente seguivano i viandanti che si recavano ad oriente per arrivare in Terrasanta ed esse partivano da numerosi luoghi dell’Europa continentale  diramandosi quasi tutte verso Bisanzio (senza usare la nave ovviamente).

Esistevano in sostanza, due percorsi che partivano entrambi da Milano e generalmente provenivano da Lubecca che raccoglieva e convogliava verso il sud attraverso tutta la  Germania gli uomini penitenti del nord Europa.
Il primo percorso scorreva lungo la costa adriatica (la Via Egnatia), passando per le odierne Slovenia, Croazia, poi in Grecia ed infine Bisanzio mentre il secondo attraversava le sconfinate pianure dell’Ungheria, della Serbia costeggiando il Danubio, la Bulgaria ed infine Bisanzio.
Dire quale dei due percorsi era il più utilizzato è molto difficile, non dimentichiamoci che l’incolonnamento dei pellegrini era stentato e non privo di difficoltà, spesso alla loro testa si poneva un capopopolo che li “guidava”, ma in realtà quasi nessuno conosceva strade e ritrovi.

 Comunque, le autorità dell’impero riuscivano in modo approssimativo, ma almeno continuativo a garantire lungo gli itinerari locande adibite a rifugio notturno e festivo.
Non era molto, ma già qualcosa, da notare, particolare singolare, come nelle locande stesse la domenica (o in giorni di festività) fosse permesso solamente servire il vino nelle dodici ore che andavano dalle otto del mattino alle otto di sera.

Le pene sembra fossero abbastanza rilevanti per chi non seguiva le consegne.
Ricordiamo che si rispettava il sistema romano, con locande per cambio cavalli e sostentamento generale ogni certo numero di miglia , non credo si trattasse di un vero e proprio sistema statale, ma in gestione sicuramente, almeno per le terre sottomesse all’impero.
Possibile che ci fossero anche piccole torri d’avvistamento o dei piccoli ridotti con qualche militare nelle adiacenze per garantire la sicurezza dei viaggiatori.
Purtroppo le cognizioni geografiche e i tempi di percorrenza erano tali che le marce della gente apparivano un trasferimento infernale e spesso alla vista di una grande città si credeva d’essere già arrivati a Costantiinopoli.

Sarebbe stato interessante analizzare il pensiero di uno di questi viaggiatori pellegrini.
Bisogna in ogni modo capire anche in che stato era la rete viaria dell’epoca.
Che si sappia furono solamente le amministrazioni bizantine e quelle degli Hohenstaufen a prendere iniziative per migliorare e curare le strade, spesso il tutto era lasciato all’invenzione di qualche persona estemporanea come nel caso del primo ponte sospeso lungo il Passo del San Gottardo, opera appunto di anonimo che diede il là alla via diretta e più veloce tra il nord ed il sud dell’Europa.

Poi, dobbiamo tenere conto dei tempi: noi siamo abituati a parlare d’ore nei trasferimenti, i pellegrini medievali parlavano di mesi !
Credo che un pellegrino che si mettesse in viaggio via terra dovesse in pratica lasciare tutto quello che aveva presso la propria terra e realizzare il più possibile, per un mercante era diverso perché era la famiglia che gestiva i beni e quindi ci si muoveva in un altro ambito.
La visione cambia se parliamo dello spostamento via nave ovviamente.
Eh si, anni di trasferimenti, francamente credo che il pellegrino avesse veramente una fede incrollabile per intraprendere uno spostamento simile, altrimenti non si capirebbe il perché lo faceva anche se poi bisognerebbe considerare dove finiva la fede ed iniziava il fanatismo, ma questo è un certamente altro discorso.

Indubbiamente, la via del mare oltre che la più veloce era anche la più comoda, ma terribilmente cara per le finanze di una persona modesta ed è per questo che spesso s’andava via terra.
I mercanti poveri, in altre parole quelli rurali che non commerciavano abitualmente con destinazioni lontane, riempivano il carro di qualsiasi cosa che poi rivendevano man mano sulla strada per pagarsi il viaggio.
Chiaramente i mercanti ricchi delle città, uniti spesso in compagnia, usavano la via marina, anche se c’era il terrbile inconveniente dei pirati che infestavano le coste dell’Egeo (e che risalivano anche l’Adriatico).

Divertenti a questo proposito sono i numerosi incidenti che capitavano ai viaggiatori nel caso d’attraversamento d’un corso d’acqua e questo ovviamente vale un pò per tutte le regioni.
Il mezzo più comune era il battellino su cui salivano le persone che volevano traghettare, i cavalli se v’erano, dovevano seguire a nuoto agganciati al battellino.
Succedeva spesso che il cavallo per paura o perché non addestrato (non dimentichiamo che non si trattava di cavalli da combattimento) poneva gli zoccoli sui bordi del battellino facendolo rovesciare: indubbiamente comico visto dal punto di vista odierna, ma pensiamo a quella povera gente.
Un esempio del tempo e del modo di muoversi c’è dato da mercanti francesi che scendevano verso il Mediterraneo agli albori del secondo millennio.
A cavallo o a dorso di mulo con circa 500 kg. di merce per ognuno il passo era di circa 15 leghe il giorno (pari a circa 60 km), cifra di tutto rispetto che dava l’idea del tempo che si sarebbe impiegato per fare un tragitto di 1000 chilometri, più di venti giorni.. moltiplichiamo la lunghezza del tragitto che poteva portare ad oriente….
Consideriamo poi che questa non era certo la velocità comune ed il fatto che tutto sommato le strade francesi erano abbastanza sicure e pianeggianti ed avremo l’esatta percezione dell’intero tempo del viaggio verso la Terrasanta.

Vediamo ora come viaggiava un imperatore.
Egli utilizzava gli stessi mezzi di tutta la gente normale: vale a dire sentieri per carrozze, corsi d’acqua per barche e ovviamente il mare con le navi.
Dato il bagaglio sempre molto consistente e dato che attraverso i sentieri era impossibile utilizzare i carri o le carrozze, nella comitiva si trovavano molti muli o in ogni modo bestie da soma per il loro trasporto.

Di solito la barca (pensiamo al Danubio) era un mezzo abbastanza sicuro e discretamente veloce che permetteva alla corte di spostarsi senza grossi problemi: perché era ovvio che spostandosi un imperatore si spostava anche la corte.
A proposito di viaggi interessante fu quello dei due monaci, Giovanni Mosca e Sofronio il Sofista, che nel 587 AD, partirono per un lungo viaggio attraversando tutto l’impero bizantino, dalla capitale fino al deserto Egiziano.
Erano due scrittori e volevano raccogliere tutta la sapienza racchiusa negli asceti e nelle persone di fede che vivevano da anacoreti ai limiti dell’impossibile.
Essi sapevano della grande saggezza e cultura che questi “padri del deserto” racchiudevano nel loro eremitaggio e volevano provare a descriverne le sensazioni più profonde.
Essi percorsero le strade sabbiose e polverose che partivano dal sud dell’Anatolia, passando per Aleppo, Damasco, Gerico, Libano, fino al Monastero di Sant’Antonio nell’attuale Egitto centrale.
Certamente il pellegrino su commissione è una figura tipica del medioevo dopo l’anno 1000, oltretutto spesso v’erano dei veri e propri magister/manager in questo particolare lavoro: teniamo presente la mancanza degli scritti, la poca istruzione, quindi questo personaggio doveva in qualche modo fare da confessore, scribano e latore delle devozioni, non facile invero.
Questa pratica era molto più diffusa di quanto si pensi comunemente e soprattutto di quanto spesso si è voluto far credere.

Signori, ricchi e potenti non lesinavano nelle umiliazioni rispetto alla propria persona, quando si trattava di pellegrinaggi spirituali, era un vanto poter dire d’aver vissuto come un anacoreta anche se per un breve periodo penitenziale.
Il problema vero è che con la morte al tempo non si scherzava come al giorno d’oggi, era cosa seria e riuscire ad arrivarci spiritualmente puliti ed integri era un impegno serio che un nobile prendeva con Dio e la Chiesa.
Non dimentichiamo che i nobili fondarono numerosi Ordini Cavallereschi Religiosi e che le dure regole di vita che li accompagnavano erano spesso osteggiate dalla Chiesa stessa.
Si,  non erano quindi propriamente dei viaggi di piacere……
Pochi tornavano anche perché non v’erano le condizioni minime umane di sopravvivenza, e spesso non s’arrivava alla meta a meno che non s’andasse via mare.
Bisogna poi fare i conti con il vile denaro.
Infatti, spesso il penitente non disponeva di tutta la somma dovuta per il pagamento del viaggio e del vettovagliamento, quindi spesso era costretto a lavorare sul posto ove si fermava (sempre se si trattava d’un viaggio via terra) e talvolta finiva per rimanerci a lungo…
Un capitolo a parte meriterebbe il discorso sanitario relativo alla massa che si spostava lungo il percorso.

Spesso chi guidava questa gente era totalmente privo di conoscenza nel campo e soprattutto mirava a curare la salute morale più che quella fisica, atto molto importante ma spesso non esaustivo per una profilassi intelligente.
Spesso la malattia che un viaggiatore prendeva era una conseguenza diretta dell’ascesi che praticava lungo il tragitto e magari anche all’eccesso di zelo nell’austerità della vita già duramente provata per la marcia.
Una delle usanze particolari nel mangiare lungo il pellegrinaggio era l’uso delle gocce d’olio per condire le cibarie.
Questa pratica, mediata dalle Sacre Scritture, serviva per reprimere la vanagloria personale e nello stesso tempo per dare gusto a ciò che si mangiava, ecco perché i viaggiatori portavano sempre con loro una buona scorta di questo prezios,o ma umile condimento.
La presenza del diavolo lungo la strada era un’altra delle costanti a detta dei numerosi annalisti che seguivano i gruppi.
Anzi spesso il diavolo tentatava in mille maniere il pellegrino, la meretrice era forse la fattezza demoniaca più facile da incontrare, ma anche oggetti preziosi e ricchi pasti che venivano offerti ai viandanti lo erano.
Gli stessi lo combattevano insieme attraverso la preghiera e attraverso il loro conduttore, spesso invasato, ma sicuramente degno del nome di Dio.
Insomma il viaggio era anche un momento di grande intensità morale e spirituale.
Indubbiamente quella del diavolo era una manifestazione densa di spiritualità, era un avversario da combattere nel vero spirito cristiano di chi percorreva il cammino.

In realtà non v’erano apparizioni sataniche che potevano in qualche modo dar da pensare a follie collettive, in generale il pellegrino era piuttosto composto e con una sua dignità interiore notevole, solamente che in alcuni frangenti il diavolo rappresentava l’avversario da combattere nelle lunghe ore di marcia e dell’astinenza, era un avversario che stuzzicava i desideri repressi e nascosti di chi viaggiava in penitenza o in speranza.
Capitava alle volte che il Diavolo lungo la strada si presentasse come Cristo o come l’Arcangelo Gabriele e queste due apparizioni ai poveri peccatori sulla via della redenzione apparivano delle figure in cui credere fermamente .
Qui entrava certamente in gioco la capacità di chi guidava la spedizione che con calma e tenacia spiegava all’adepto che mai poteva trattarsi d’inviati divini così splendenti perché tutti loro non ne erano ancora degni al momento oppure spiegava che era meglio vedere il Cristo in cielo piuttosto che in terra.


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2 commenti

  1. Verona è piena di chiese tutte visitabili, tanto che esiste una Fondazione chiamata “Verona Minor Hierusalem” che se ne occupa. Quindi mi chiedo ! i tanti pellegrini che passavano da Verona da dove venivano ?

  2. Rispondo a Maurizio: a Verona arrivavano buona parte dei pellegrini provenienti dai paesi germanici, che percorrevano la valle dell’Adige fino a Verona e poi si inserivano in uno dei percorsi diretti a Roma.

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