Novembre 218 a.C. La Battaglia del Ticino.


 

La Seconda Guerra Punica rivive nelle pagine del “Talento nella Storia” attraverso un virtuale iter che ripercorrerà tutti gli scontri che hanno contraddistinto una delle campagne militari più elaborate e cruente dell’antichità. Approfondiremo grandi condottieri e strateghi quali Annibale Barca, Quinto Fabio Massimo “Temporeggiatore”, Scipione “Africano” ma anche una serie di personaggi minori che hanno pagato duramente il loro tributo alla Storia. Si inizia con lo scontro del Ticino. Procederemo poi con la battaglia del Trebbia, la disfatta romana sul Trasimeno, quella ancor più grave a Canne, la riscossa dell’orgoglio capitolino in Spagna ed infine la sconfitta di Annibale a Zama.

Due potenze al confronto

Correva l’anno 218 a.C.; lo scontro del Ticino inaugurò la Seconda Guerra Punica. Fu il primo combattimento che vide confrontarsi direttamente le forze di Annibale e quelle romane. Il Barcide ne uscì vincitore. Il “Ticino” non può propriamente definirsi una battaglia, fu più che altro una scaramuccia tra avanguardie. Mise da subito in risalto i grandi limiti dell’esercito romano dinanzi alle tattiche innovative adottate dal valente avversario. Se il buongiorno si vede dal mattino, il “Ticino” rappresentò l’ideale presagio dei funesti eventi che segnarono l’intera condotta della guerra da parte capitolina fino all’avvento di Publio Cornelio Scipione “Africano” nel 209 a.C. La “battaglia” del Ticino fu anticipata da una serie di eventi che fanno quantomeno riflettere su come Roma non fosse quasi per niente preparata ad affrontare una nuova guerra o forse la considerasse quasi di “routine”. Un conflitto tutto sommato non degno di mobilitazioni straordinarie o di strategie ben studiate atte a coordinare in modo efficiente le quattro legioni a disposizione oltre gli alleati. Ma procediamo con ordine, andando a ritroso nel tempo di qualche anno da quel fatidico mese di novembre del 218 a.C.
Seconda Guerra Punica

Gli antefatti

 
Amilcare Barca
Amilcare Barca, padre di Annibale, si era impegnato a partire dal 237 a.C. nella sistematica conquista delle regioni iberiche, ricche di risorse minerarie. Egli voleva favorire la ripresa economica di Cartagine dopo la sconfitta patita contro Roma nella Prima Guerra Punica, terminata nel 241 a.C. La perdita della Sicilia, la terribile rivolta dei mercenari sul suolo africano, stroncata dallo stesso Amilcare dopo tre anni di battaglie, la prepotente annessione romana della Sardegna e della Corsica, i durissimi risarcimenti di guerra a favore dell’Urbe, avevano ridotto l’economia della perla del Mediterraneo a ben poca cosa. L’intuizione del Barcide Padre di trovar nuovi sbocchi commerciali e linfa mineraria nella penisola iberica ebbe del geniale considerando anche il fatto che ben difficilmente le violente ma divise tribù locali avrebbero potuto offrire una valida resistenza dinanzi a un esercito addestrato e disciplinato come quello che Amilcare si era portato dalla terra natia.
 
Asdrubale
Nel 229 o 228 a.C. il grande generale cartaginese morì annegando in un fiume. Il comando dell’esercito passò nelle mani del genero Asdrubale il quale continuò nell’opera di conquista suscitando ben presto la crescente preoccupazione del Senato di Roma poco disposto ad assistere impotente alla rinascita dello storico avversario. In questa ottica possiamo interpretare l‘accordo raggiunto nel 226 a.C. tra Asdrubale e una delegazione romana, che limitava l’influenza cartaginese in Spagna a tutte le regioni a sud del fiume Ebro. Tale patto di non belligeranza fu rispettato fintanto che Asdrubale rimase in vita ma quando nel 221 a.C. lo stesso fu assassinato e il comando dell’esercito “iberico” passò naturalmente nelle mani del giovane figlio di Amilcare, le cose presero una piega ben diversa. Quel ragazzo di venticinque anni, dall’espressione decisa rispondeva al nome di Annibale e i suoi propositi erano rendere di nuovo Cartagine la maggiore potenza del Mediterraneo. Di conseguenza Roma doveva essere annientata. Egli non si fece sfuggire l’occasione offerta da Sagunto, città stanziata a sud dell’Ebro ma sotto l’influenza romana, per attaccar briga con i nemici di sempre. Nel 221 a.C. Roma intervenne negli affari interni di Sagunto favorendo la fazione filo-romana a danno di quella filo-cartaginese. Nel 219 a.C. Annibale assediava e conquistava Sagunto, dando di fatto il via alla Seconda Guerra Punica.
Narra lo storico Livio:
“…Amilcare, fatto avvicinare Annibale agli altari e toccati gli oggetti sacri, gli abbia imposto di giurare che, appena gli fosse possibile, sarebbe stato nemico del popolo romano. La perdita della Sicilia e della Sardegna tormentava quell’uomo fiero e dall’animo grande: infatti la Sicilia era stata ceduta a causa di un troppo avventato sgomento mentre la Sardegna era stata occupata dai Romani con la frode durante la ribellione dei mercenari d’Africa…” (Tito Livio, Storia di Roma, XXI, 1, 4-5)

Lo scoppio della guerra

 

Il Senato accolse con fastidio l’eventualità di un nuovo conflitto con Cartagine. I patres sembrarono non preoccuparsi più di tanto. A fin dei conti Roma aveva già fiaccato le mire espansionistiche puniche trionfando nella guerra combattuta un paio di decenni prima. Qualche senatore espose i suoi timori proponendo l’arruolamento straordinario di nuove legioni. La maggiorana deliberò che per risolvere la grana “Annibale” sarebbero state più che sufficienti le classiche quattro legioni più alleati sotto il comando dei due consoli designati per quell’anno, (il 218 a.C.), ovvero Publio Cornelio Scipione, (padre del futuro “Africano”) e Tiberio Sempronio Longo. Il primo era un membro della eminente gens Cornelia, figlio e nipote di consoli valorosi e rispettati. Suo padre, Lucio Cornelio, al comando della flotta romana aveva conquistato la Corsica durante la prima guerra con i cartaginesi. Il secondo proveniva dalla gens Sempronia, altra celebre famiglia il cui ramo patrizio più antico risaliva agli albori della Repubblica. Le armate consolari si divisero. Sempronio Longo con due legioni venne mandato in Sicilia con l’ordine di trasferire il suo esercito in Africa con una flotta di 160 quinqueremi. Cornelio Scipione con le altre due doveva procedere all’invasione del suolo iberico. In aggiunta alle quattro legioni suddette ne venne arruolata una quinta che si assestò di presidio in Gallia Cisalpina nei pressi delle nuove colonie di Cremona e Piacenza, nate in seguito alla vittoriosa campagna del 225 a.C. contro i celti locali. Gli intenti del Senato erano improntati a un’offensiva su due fronti che tenesse il conflitto fuori dall’Italia. Purtroppo le cose non andarono così; una feroce rivolta dei celti nella valle del Po (218 a.C.) costrinse infatti i romani ad impiegare entrambe le legioni di Scipione in Gallia. Il generale fu invitato ad avviare immediatamente una leva straordinaria che procedette, per non definite ragioni, con preoccupante rilento. Per la fine di agosto di quell’anno, Scipione riuscì ad avere un esercito in grado di prendere le armi. La campagna di Spagna poteva iniziare.
 
Annibale attraversa il Rodano
 
 
Annibale era partito da Cartagena in maggio. Superati i Pirenei si era impantanato in duri combattimenti con le tribù galliche alleate di Roma nei pressi di Massilia. A fine agosto era assestato nelle regioni a ovest del fiume Rodano. Scipione probabilmente riteneva che il Barcide fosse ancora fermo ai piedi dei Pirenei. Non si spiega altrimenti il ritardo con il quale fece imbarcare le sue legioni per veleggiare verso Massilia. I romani sbarcarono alla foce occidentale del Rodano quando l’esercito cartaginese era già in marcia verso nord. Si diffuse la notizia che Annibale stava tentando di attraversare il fiume. Era a pochi giorni di marcia dal luogo in cui erano sbarcati i romani. Pur masticando amaro, Scipione non si diede per vinto. Ordinò alla sua cavalleria di inseguire i punici, attaccandone le retrovie. Gli equites romani vennero a contatto con i temibili cavalieri numidi che costituivano la retroguardia dell’armata annibalica. Lo scontro fu breve e violento. I romani preferirono ripiegare per riferire al loro comandante la posizione degli avversari. Scipione si rese conto del suo tremendo errore di valutazione tattica. Comprese quelli che erano i piani di Annibale. Rimaneva un’ultima possibilità per scongiurare una eventuale invasione della Pianura Padana: fermare il cartaginese prima che iniziasse l’arrampicata delle Alpi. Scipione forzò la marcia dei suoi legionari per colmare la distanza tra i due eserciti. Purtroppo per lui, per quando giunse al campo punico, a ridosso delle montagne, Annibale aveva già levato le tende da oltre tre giorni dirigendosi a settentrione, su per le Alpi. Ne sarebbe sceso una ventina di giorni più tardi piombando come un rapace sul ricco suolo italico. Possiamo immaginare il vecchio Scipione osservare da lontano le alte e minacciose cime alpine, sperando che le avversità del territorio e le bellicose tribù montane riuscissero lì dove lui aveva fallito, ovvero fermare Annibale. Il generale romano affidò le truppe al fratello Gneo con il compito di guidarle in Spagna. Fu una decisione sofferta e rischiosa. Invece di rientrare in Italia con le sue legioni, Scipione considerò più importante tentare di sottrarre la Spagna ai cartaginesi. Alla lunga, questa visione strategica si rivelò fondamentale in quanto l’impegno e il sacrificio dei fratelli Scipione in terra iberica, costituirono il primo mattoncino sul quale Scipione figlio edificò la vittoria finale delle armi capitoline. Il grande generale tornò mestamente alla foce del Rodano per fare vela verso l’Italia senza esercito né gloria. Il suo operato sarebbe stato giudicato dal Senato. La sua carriera militare e politica era a un bivio. Avrebbe chiesto e forse ottenuto una seconda possibilità. Maturò l’intento di affrontare il punico invasore ai piedi delle Alpi. A fin dei conti, Scipione era il miglior condottiero che l’Urbe potesse mettere in campo. E di questo lui era consapevole.

Cambio di strategia

 
Busto di Annibale
Il Senato, informato della tragica eventualità di un’invasione, richiamò Sempronio dalla Sicilia. È interessante notare come la strategia di portare la guerra in Africa sia stata abbandonata per cause di forza maggiore. In seguito fu bollata come fallimentare e inattuabile. Fu Scipione figlio a riprenderla con forza tra il pessimismo generale. Sempronio con uno sforzo straordinario riuscì per dicembre a trasferire il suo esercito attraverso l’Adriatico, nel porto di Ariminum (Rimini). Nel frattempo Scipione Padre aveva assunto il comando delle legioni stanziate in Gallia, decisamente provate dalla ribellione locale. La crescente ostilità delle tribù celtiche limitò il suo campo di azione. Avrebbe voluto andare incontro ai cartaginesi in direzione dei valichi montani. Invece fu costretto ad attenderli in pianura. In cifre, l’esercito di Sempronio ammontava a circa 26.000 effettivi. Quello di Scipione consisteva di 20.000 fanti e 2000 cavalieri. Il Barcide contava, una volta in Italia, secondo Polibio, 12.000 fanti africani, 8.000 alleati spagnoli, 6000 cavalieri, (un esercito quasi dimezzato rispetto a quello che aveva affrontato la traversata delle Alpi). Annibale, scoraggiato dalla traversata e dagli aspri combattimenti con le tribù montane, sperava di trascinare dalla sua parte i riottosi celti che nelle Gallie erano in aperta ribellione verso Roma. Per conseguire questo scopo bisognava mostrare i muscoli, imprimere rispetto e suscitare paura. Così si spiega il massacro della popolazione dei Taurini in seguito alla conquista della loro capitale. Quello che serviva in ogni caso era una vittoria contro le legioni romane. Publio Cornelio Scipione la offrì ad Annibale su un piatto d’argento.

La battaglia del Ticino

Busto di P. C. Scipione “Africano”
Attraversato il Po all’altezza di Piacenza, il console romano pose il campo sulla riva occidentale del Ticino costruendo un ponte di barche sul fiume. Decise poco prudentemente di andare in esplorazione guidando di persona la cavalleria e alcuni reparti di fanteria leggera. Era un periodo nero per Scipione. Infatti Annibale che era assestato poco lontano, fece lo stesso. Lo scontro, seppur considerato poco più che una scaramuccia, fu violentissimo e venne risolto da una manovra di accerchiamento dei temibili cavalieri numidi. Questi riuscirono ad aver facilmente la meglio sulla controparte romana. Lo stesso Scipione gravemente ferito, stava per soccombere tra un nugolo di nemici. Lo salvò suo figlio appena diciassettenne, caricando i nemici alla testa della sua guardia personale. Il ragazzo rispondeva al nome di Publio Cornelio Scipione conosciuto anni dopo come “Africano”. Quel giorno mise piede nella Storia. Il distaccamento romano si ritirò con disordine verso il campo utilizzando il ponte di barche sul Ticino. Questo venne subito distrutto per iniziativa di Scipione figlio, impedendo ai cartaginesi di fare ulteriori danni. Ristabilitesi quel tanto da rendersi conto della situazione, Scipione padre ordinò alle legioni di abbandonare Piacenza per ripiegare a sud e porre il nuovo accampamento oltre il Trebbia a ridosso degli Appennini, in una zona collinare facilmente difendibile. La sconfitta romana per quanto di poco conto suscitò scalpore nei contingenti celtici ausiliari. Nottetempo le reclute galliche abbandonarono il campo capitolino per unirsi ad Annibale. Era necessario a questo punto attendere l’arrivo di Sempronio con i rinforzi. Il console giunse al Trebbia intorno alla fine di dicembre proprio mentre Annibale poneva il campo ad appena sei miglia dall’altra sponda del fiume. Una battaglia campale era ormai imminente.
Annibale sprona i propri uomini appena le Alpi sono valicate:
“Ora, tutto l’enorme patrimonio che i Romani possiedono, conquistato e accumulato in tantissimi trionfi, sta per diventare vostro assieme a chi lo possiede. Con l’aiuto degli dei, è per questa straordinaria ricompensa che vi esorto a prendere le armi…E’ giunto il tempo che otteniate guadagni ricchi ed abbondanti, che siate ricompensati per la vostra fatica dopo che avete percorso una strada tanto lunga, tra tante montagne, tanti fiumi, tante popolazioni ostili”. (Tito Livio, Storia di Roma, XXI, 43).
 
Riferimenti bibliografici
– “Fonti per la Storia Romana”, Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, Le Monnier Università
– “Storia romana”, Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, Le Monnier Università
– “Cannae 216 BC: Hannibal smashes Rome’s Army”, Mark Healy, Osprey Publishing
– “Le grandi battaglie di Roma Antica”, Andrea Frediani, Newton Compton Edit
– “The Roman Army of the Punic Wars 264-146 B.C.”, Nic Field, Osprey Publishing

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