Eckhard Meyer-Zwiffelhoffer è professore di Storia antica all’Università telematica di Hagen. Fra i suoi volumi è opportuno ricordare: Politikōs árchein. Zum Regierungsstil der senatorischen Statthalter in den kaiserzeitlichen griechischen Provinzen (2002).
Di particolare importanza per una piena comprensione del testo Storia delle province romane (pubblicato in lingua italiana nel mese di ottobre del 2015) risulta l’introduzione dal titolo L’imperium romanum e l’idea del dominio universale. Nella stessa Eckhard Meyer-Zwiffelhoffer dichiara che: «Al più tardi a partire dal II secolo a.C. l’imperium romanum assunse il carattere di modello nella tradizione occidentale, come ideale o come esempio ammonitore. Lo storico greco Polibio, che nel periodo 168-150 a.C. visse a Roma come ostaggio, compose le sue Storie allo scopo dichiarato di spiegare la rapidissima ascesa di Roma al “dominio del mondo” in soli 53 anni – dalla guerra contro Annibale alla fine della monarchia macedone (220-168 a.C.). Polibio spiegò il fatto che Roma fosse diventata il più grande impero universale della storia, se messo a confronto con l’impero dei Persiani e quello di Alessandro Magno, basandosi proprio sulla sua estensione e durata: si trattava del primo impero che dominava tutti e tre i continenti, cioè l’intera ecumene, non solo l’Asia come fecero i Persiani, la Grecia e l’Oriente come i Macedoni o l’Africa e l’Europa occidentale come i Cartaginesi. Inoltre non si trattava di un impero effimero come quello di Alessandro, ma duraturo, mentre tutte le altre forme di impero erano ben presto tramontate. L’antica ecumene – l’area mediterranea e l’Asia Anteriore resa accessibile fino all’India dalla campagna militare di Alessandro Magno – non era naturalmente il mondo nella sua interezza come lo conosciamo noi oggi e anche i Romani sapevano che al di fuori del loro mondo esistevano altri popoli e imperi. Col termine ecumene si designava solo l’universo che era degno di essere abitato in base all’idea greca e romana di civilizzazione. … Il loro concetto di mondo non faceva riferimento a una grandezza geografica nel senso del globo, era piuttosto un’idea specifica di civiltà: l’imperium definiva i confini del mondo e con essi quelli della civiltà dominante e della sua area d’influenza.
Lo stupore dei contemporanei per l’imponente espansione di Roma a partire dalla seconda guerra punica contro Annibale (218-201 a.C.), allorché furono vinti dapprima l’impero cartaginese, poi le monarchie ellenistiche degli Antigonidi in Macedonia (197 e 168) e dei Seleucidi in Asia Minore (190), si trasformò successivamente in terrore e odio, quando i Romani, in modo brutale e carico di significato simbolico, rasero al suolo Cartagine, poi Corinto nel 146 e la città spagnola di Numanzia nel 133. Non è perciò sorprendente che Polibio, che assistette a questi avvenimenti come testimone oculare, abbia dedicato alcune riflessioni alla hýbris del potere e preso in considerazione la possibilità che anche Roma un giorno potesse scomparire come l’impero dei Persiani e di Alessandro Magno. Lungi dal tramontare, Roma continuò invece a espandersi e la durata del suo dominio superò quella di tutti gli imperi del mondo, antichi e moderni, fatta eccezione per l’impero cinese.
A partire dall’epoca dell’imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.), in cui l’espansione si interruppe provvisoriamente, la storiografia di Roma presentava una panoramica dei popoli e delle regioni sottomessi dai Romani che ora erano province e regni vassalli indipendenti. Si trattava del mondo mediterraneo, delimitato in Africa settentrionale dal Sahara, a ovest dall’Atlantico, a nord e nord-est dal Reno e dal Danubio, a est dall’Eufrate, a sud-est dal deserto arabico. Lo storico di origine gallica Gneo Pompeo Trogo, che all’epoca di Augusto scrisse una storia universale, è stato il solo a mettere in rilievo il fatto che i Romani dovevano condividere il dominio dell’ecumene con l’impero iranico dei Parti. Roma non poté vincere questi avversari e dovette adattarsi alla loro esistenza, sentendosi tuttavia immensamente superiore. … Mentre Polibio, al suo tempo, era rimasto colpito dall’impeto dell’espansione romana, il romano Tito Livio e i greci Dionigi di Alicarnasso e Strabone, i quali all’epoca di Augusto a Roma scrissero rispettivamente la Storia di Roma, Antichità romane e la Geografia, erano già in grado di distinguere tre epoche della storia romana. Infatti, una volta raggiunto il predominio sull’Italia, Roma diventò la città egemone della penisola (caput Italiae: Livio, 23, 10, 2); eliminata Cartagine – la più forte potenza marittima – ebbe il controllo sul Mediterraneo occidentale; vinta infine la Macedonia – la forza terrestre dominante – si trasformò nella metropoli di una potenza mondiale (caput orbis: Livio 1, 16, 7). Due secoli più tardi il romano Annio Floro scrisse il Compendio di Tito Livio, e i greci Appiano e Cassio Dione le loro opere di Storia romana (rispettivamente nel 160 circa e nel 230 d.C.): si aggiunse quindi un’epoca ulteriore, quella del principato, protrattasi per 200-250 anni, e percepita dai Greci come età della pace (pax Romana). Con gli storiografi del IV secolo, infine, il dominio romano assunse per così dire la forma di un’entità sovratemporale (Roma aeterna). Guardando al passato, si potevano scorgere quasi 1.200 anni di storia e l’impero, ormai divenuto cristiano, aveva nel frattempo acquisito un suo ruolo nel piano della salvezza divina: secondo la formula coniata nel 418 d.C. da Paolo Orosio nella Storia contro i pagani, infatti, l’imperium Romanum era stato destinato a fungere da recipiente in grado di accogliere e diffondere il cristianesimo. La concezione secondo cui il dominio romano non sarebbe mai tramontato, o comunque lo avrebbe fatto solo alla fine dei tempi, fu formulata dapprima da Ippolito e poi, forte di un autorevole tradizione, sullo scorcio del V secolo dal grande padre della chiesa Girolamo. Essi interpretarono escatologicamente l’antica idea di una successione di imperi, collegando lo schema Assiri/Babilonesi-Medi/Persiani-Macedoni-Romani, noto fin da Erodoto e poi esteso e attualizzato, con una profezia del libro di Daniele secondo la quale Dio avrebbe affidato il dominio del mondo a quattro imperi uno dopo l’altro. Il tramonto del quarto impero – quello romano – viene contrassegnato dall’apparizione dell’Anticristo, con cui si annunzia la fine dei tempi. Nell’interpretazione cristiana di San Girolamo il corso della storia universale fa perno su Roma, esattamente come nell’interpretazione della storia del suo contemporaneo Orosio, il quale vedeva estendersi il dominio del mondo dai Babilonesi fino ai Romani, passando per i Macedoni e i Cartaginesi, quindi dall’Oriente all’Occidente. Ciò che oggi può apparirci come una forzatura ha comunque prodotto effetti di vasta portata. L’impronta data dall’interpretazione della storia di san Girolamo sul pensiero occidentale è durata a lungo, se ancora nel XVIII secolo il modello della successione delle quattro monarchie funzionava da struttura portante della storia universale. … Sia come struttura storica di potere sia come idea politica l’imperium Romanum ha lasciato fino a oggi una durevole impronta nella tradizione occidentale. Per secoli esso è servito come punto di riferimento, sebbene la parte occidentale dell’impero in quanto entità politico-giuridica si fosse già dissolta nel V secolo e nella sua parte orientale si fosse già profondamente trasformato (impero bizantino).
La ricerca storica moderna non si sofferma più molto sulle ragioni che portarono al definitivo tramonto dell’impero romano d’Occidente, preferendo piuttosto indagare le ragioni per cui l’imperium Romanum in quanto tale poté reggersi così a lungo. In che consisteva la saggezza politica nel modo di trattare i sudditi che gli intellettuali greci dell’epoca imperiale riconoscevano ai Romani? Quali erano i segreti della loro arte di governo (arcana imperii), che in epoca imperiale permisero il consolidarsi di un imperium costituitosi in così breve tempo in età repubblicana? In che modo questo imperium Romanum si era costituito come forma di dominio sovranazionale e multiculturale. Come era organizzato, come si è modificato e come hanno reagito al dominio romano le comunità politiche assoggettate? Queste sono le questioni trattate nel volume».
Si ritiene che quanto detto nell’introduzione dall’autore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità del libro preso in esame. Di grande utilità sono la cronologia, le cartine, la corposa bibliografia e l’indice dei nomi e delle cose notevoli. Un’opera meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e regalare a coloro che sono interessati alla storia dell’antica Roma ed in particolare a quella delle sue province.
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Titolo: Storia delle province romane
Autore: Eckhard Meyer-Zwiffelhoffer
Editore: Il Mulino
Pagg. 156