70 d.C. La conquista di Gerusalemme – Giovanni Brizzi


Giovanni Brizzi insegna Storia romana all’Università degli studi di Bologna. Precedentemente ha svolto la professione di docente della disciplina sopramenzionata presso l’Università di Sassari, di Udine e di Parigi. È membro dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, oltre che essere direttore della Rivista Storia dell’Antichità e della Rivista di Studi Militari. Nel 1999 ha ottenuto il Premio Di Nola dall’Accademia dei Lincei per il suo volume Annibale. Come un’autobiografia (1994). Ha dato alle stampe: Il guerriero, l’oplita, il legionario. Gli eserciti del mondo classico (2002), Scipione e Annibale. La guerra per salvare Roma (2007), Roma. Potere e identità dalle origini alla nascita dell’impero cristiano (2012), saggi tradotti in svariati idiomi.

Giovanni Brizzi

Di particolare importanza per una piena comprensione dell’opera 70 d.C. La conquista di Gerusalemme (pubblicata nel mese di aprile del 2017) risulta il prologo. Nello stesso Giovanni Brizzi afferma che: «tra il 63 a.C., l’anno che vede l’ingresso di Pompeo Magno in Giudea e l’entrata definitiva della regione nell’orbita di Roma, e il 135 (o 136) d.C., l’anno in cui – soffocata l’ultima grande rivolta di Simone bar Kochba – in Palestina cessa di fatto ogni resistenza, corrono quasi duecento anni; che diventano duecentotrenta se si tiene conto dell’estremo sussulto dell’orgoglioso “popolo-patria” ebraico che porterà gli Ebrei mesopotamici a insorgere – per la seconda volta nell’arco di cinquant’anni – durante le campagne partiche di Lucio Vero (160-164 d.C. circa). È più di quanto fu necessario a Roma per avere definitivamente ragione dei Celti cisalpini; più di quanto alla giovane ed energica res publica richiese la conquista dell’intera penisola iberica. Proprio allo scontro con questa seconda realtà si può forse accostare la lotta del popolo ebraico: nella forma, innanzitutto, che ricorda il pỳrinos pòlemos, la “guerra di fuoco” senza sosta e senza regole di cui parla Polibio. Più aspra e difficile di quella, tuttavia, perché la metànoia che l’Hispania raggiunse alla fine con Roma fece di quella regione “la più felice di tutte le terre”, mentre con la componente ebraica non riuscì a realizzarsi mai. Più difficile, inoltre, perché contro i magnifici combattenti ebraici le legioni dovettero sperimentare forme ancora più estreme di lotta, un’alia ratio belli che ricorda per varietà e determinazione quelle dell’odierna guerra partigiana e che rovesciava di fatto taluni presupposti della guerriglia antica. Dopo decenni di disordini e torbidi crescenti, la prima grande rivolta scoppiò infine sotto Nerone e venne definitivamente soffocata da Tito solo al termine di quattro anni di lotta (66-70 d.C.). Se nell’offrirci le cifre del disastro Flavio Giuseppe, appassionato cronista di questi eventi, esagera fin dai prodromi dello scontro in Galilea, appare però addirittura inverosimile quando egli narra della presa di Gerusalemme: su una popolazione di due milioni e 700 mila persone, compresi i pellegrini allora in città (due volte almeno la popolazione di Roma!), Gerusalemme avrebbe contato “dall’inizio alla fine dell’assedio … un milione e centomila” morti. Una cifra decisamente improponibile, come improponibile appare anche la cifra di 700 mila assediati di cui parla Tacito. Considerando che la superficie della Città Santa era di circa 840 ettari, i residenti ammontavano probabilmente a 120-150 mila abitanti, ai quali però vanno sommate le masse di devoti rimasti intrappolati entro le mura, che pagarono a loro volta un tributo altissimo alle violenze, alla fame, alla guerra. Così, se un bilancio della prima grande insurrezione non può forse essere plausibilmente tentato, non è però inverosimile che il numero delle vittime abbia superato, e forse di molto, le centomila persone.

Assedio di Gerusalemme. Arco di Tito (Roma)

Sui terribili tumulti scatenati al tempo di Traiano (115-117 d.C.) dalle comunità ebraiche locali della Cirenaica, tumulti che si estesero all’Egitto e all’isola di Cipro, costringendo i Romani ad allentare la morsa nei confronti dell’impero partico, e che di seguito favorirono l’insurrezione della Diaspora babilonese, possediamo solo le cifre, di fonte cristiana, relative agli uccisi di parte greca e romana in Cirenaica (220 mila), in Egitto e a Cipro (240 mila). Questi numeri, probabilmente esagerati, parlano però di distruzioni e violenze inenarrabili, documentate del resto anche dai dati dell’archeologia e dalle fonti papiracee. Condotta da Marcio Turbone, da Lusio Quieto e da altri generali romani, la repressione dovette essere ugualmente drastica e spietata; e portò alla presa e alla distruzione almeno parziale di alcuni centri dell’ebraismo babilonese, come Nisibi, Edessa e Seleucia al Tigri, allo sterminio della comunità ebraica di Alessandria e al massacro di decine di migliaia di Ebrei in Cirenaica e a Cipro, in Egitto e in Mesopotamia. Ancor più violenta fu, infine, la seconda insurrezione della Giudea, quella che devastò la regione tra il 132 e il 135 (o 136) d.C., durante l’impero di Adriano. Gli effetti di quest’ulteriore conflitto – poiché di un’autentica guerra si trattò – furono spaventosi. Vennero distrutti – così ci dicono le fonti letterarie – 985 villaggi e 50 fortezze; e se Cassio Dione parla di 580 mila vittime tra i combattenti, incalcolabile fu il numero di quanti perirono per fame o malattia. Al concludersi dello scontro “l’intera Giudea era praticamente un deserto”. Se la matrice del coraggio che animava gli Ebrei nel rifiutare la sottomissione nasceva dallo “zelo” religioso, ed era quindi fatalistica e inflessibile ad un tempo, la risposta di principio – a suo modo terribilmente coerente – che i Romani diedero ai rebelles forse più pervicaci e valorosi incontrati nel corso della loro storia fu di segno uguale e contrario, opponendo allo “zelo” ebraico verso la Legge divina l’indefettibile e tignosa devozione romana per le umane leggi dell’Impero. Ne nacque uno scontro ai limiti del genocidio, segnato dalla totale incomunicabilità tra i due fronti avversi: un disastro per Roma, che vi dissipò buona parte della sua forza militare e vi disperse un patrimonio non rimpiazzabile di energie vitali, quasi quanto per gli sventurati Ebrei; una sequenza di lotte che fanno di questo popolo l’avversario più temibile che Roma abbia avuto durante i primi due secoli dell’era nostra».

Si ritiene che quanto detto nel prologo dall’autore abbia spiegato a sufficienza scopi e finalità del testo preso in esame. Di grande utilità sono la cronologia, le tre mappe, le numerose note a piè di pagina, la corposa bibliografia, l’indice dei nomi, l’indice dei luoghi e le tre appendici (I, II, III), che approfondiscono temi non pienamente sviluppati nel volume. Un libro meritevole di notevole attenzione che si consiglia di leggere e regalare a coloro che sono interessati alla Storia militare e a quella romana.

Titolo: 70 d.C. La conquista di Gerusalemme

Autore: Giovanni Brizzi

Editore: Laterza

Pagg. 437

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