PARTE TERZA
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L’ARRESTO
I frati dell’ordine della milizia del Tempio, lupi nascosti sotto un aspetto da agnello e sotto l’abito dell’ordine, insultando in modo sciagurato la religione della nostra fede, sono accusati di rinnegare il Cristo, di sputare sulla croce, di lasciarsi andare ad atti osceni al momento dell’ammissione all’ordine: essi si impegnano con il voto che proferiscono, e senza timore di contravvenire alla legge umana, a darsi l’uno all’altro, senza rifiutarsi, se vengono richiesti…
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Con queste parole il re Filippo IV giustificò l’arresto in massa dei Templari avvenuto all’alba, forse all’insaputa del papa. Quasi tutti i monaci vennero imprigionati, compreso il maestro Jacques de Molay che si trovava nella commenda di Parigi, tutti i beni dell’ordine confiscati, compreso il tesoro e tutti i documenti. Le accuse mosse contro di loro erano pesanti ma su tutto aleggiava il sospetto che dietro questa manovra del re si nascondesse il desiderio di sopprimere l’ordine del Tempio.
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Incatenati, isolati dalla vita conventuale, torturati: ecco quello che accadde ai poveri monaci-cavalieri rinchiusi. Qui, nel castello di Chinon, erano stati rinchiusi i dignitari dell’ordine, compreso de Molay, e le loro condizioni fisiche erano così precarie da impedirne il trasferimento al fine di essere interrogati da papa Clemente V, sempre più sottomesso alle strategie politiche del re di Francia.
Ben presto le torture cominciarono a produrre gli effetti desiderati da Filippo IV il cui decreto stabiliva che fosse promessa la piena assoluzione a quanti avessero rilasciato a verbale confessioni di colpevolezza mentre fossero minacciati di morte sul rogo quanti si ostinavano a professarsi innocenti.
Nel frattempo il papa, apparentemente ignaro di quanto stava accadendo, si trovava alle terme. Alcuni studiosi sostengono invece che il papa fosse a conoscenza della situazione e che volesse iniziare una propria inchiesta sui Templari, ma che fosse stato anticipato da Filippo il Bello. Il 13 Ottobre, comunque, l’azione fu portata a termine imprigionando nello stesso momento tutti i Templari di Francia, compresi i rappresentanti del Tempio presso la Curia pontificia. Vennero catturati di sorpresa all’alba, accusati di azioni abiette tanto impossibili quanto inaspettate. Anche per questa ragione i Templari non reagirono: si sentivano la coscienza pulita ed erano sicuri che tutto si sarebbe risolto chiarendo l’equivoco. La fede dei Templari era indistruttibile, ma non sapevano che quella stessa Chiesa che loro tanto adoravano e di cui si fidavano li avrebbe lasciati in pasto ad un re bramoso di denaro.
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I Templari furono imprigionati nelle loro stesse fortezze e interrogati dai carnefici di Filippo IV. La cattura era stata ordinata dal Grande Inquisitore di Francia, Guglielmo d’Imbert, il quale avrebbe dovuto presiedere anche agli interrogatori, ma gli aguzzini iniziarono subito a torturare i malcapitati per far sottoscrivere quante più possibili dichiarazioni di colpevolezza.
Resta tuttora misteriosa la sorte della flotta Templare che si trovava ancorata al porto Francese de La Rochelle al momento degli arresti di massa e che non fu mai trovata. Alcune ipotesi la vedono riparata in Portogallo oppure in Scozia.
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LE ACCUSE

I Templari vennero accusati di una lunga lista di misfatti. A quanti confessavano veniva promessa la libertà, il perdono e una pensione ordinaria attinta dai beni dell’Ordine. Tutto ciò che veniva richiesto era di sottoscrivere le proprie affermazioni di colpevolezza sotto giuramento. Chi si intestardiva col negare le accuse veniva invece messo alla ruota, una, due, tre volte al giorno, finché non confessava o moriva. Non tutti ce la fecero a sopportare le torture e molti firmarono i documenti con le mani insanguinate e le ossa spezzate.
I capi d’accusa più importanti furono: aver rinnegato Cristo, aver sputato sulla Croce, aver praticato la sodomia e l’adorazione di un idolo. La storia ci conferma che le accuse erano insostenibili. Lo stesso comportamento dei Templari durante le Crociate testimoniava il contrario (coloro che erano stati fatti prigionieri dai musulmani spesso si rifiutavano di rinnegare il Redentore nemmeno in cambio della vita) e solo qualche anno prima, a San Giovanni d’Acri, 500 cavalieri dell’Ordine si sacrificarono nella retroguardia per salvare la vita al resto dei Crociati. Per anni avevano combattuto in Terrasanta insieme a loro, lasciando sul campo migliaia di uomini, per difendere il nome di Dio.
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Nogaret non presentò alcuna prova al processo, neppure per quanto concerne l’accusa di idolatria. Perché? Come poteva farsi sfuggire un elemento tanto schiacciante? Le accuse facevano molta leva sul fatto che il rito d’ingresso nell’Ordine fosse segreto, quindi le fantasie degli accusatori si scatenarono e inserirono in quel rito tutte le eresie e i reati possibili di quel tempo.

Il papa forse apprese tardi la notizia dell’arresto o forse fu semplicemente succube di Filippo IV. Fatto sta che Clemente V fece una protesta scritta al re di Francia soltanto il 27 Ottobre, criticandolo aspramente. Ci vollero due mesi prima che ottenesse risposta in quanto il re si rifiutava di ricevere i messi papali.
Filippo aveva nel frattempo vinto la partita: disponeva già di una buona quantità di confessioni firmate sotto giuramento e la massiccia opera di propaganda contro l’Ordine, dipinto con le tinte più fosche, era riuscita nell’intento di “lavaggio al cervello” del popolo. Il 22 Novembre il papa emanò quindi il fatale decreto in cui sollecitava tutti i principi Cristiani ad arrestare i Templari.
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LE REAZIONI IN EUROPA
Nei vari Stati d’Europa vi furono reazioni diverse.
In Inghilterra il re Edoardo II inizialmente accusò il suo omologo di Francia di perseguitare i Templari a causa della sua avidità, ma ben presto ritirò le accuse: non solo non poteva definirsi una grande figura morale, ma aveva anche preso in sposa Elisabetta, figlia di Filippo IV. Edoardo II ordinò l’arresto dei Templari ma la polizia inglese non fu né pronta né organizzata come quella francese, per cui in tutto furono arrestati solo 280 Templari (un numero molto inferiore all’effettivo del Tempio presente in Inghilterra) e comunque in carcere vennero trattati con clemenza.
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In Germania i Templari non erano molto importanti: Teutonici e Ospitalieri la facevano da padroni. Furono comunque invitati a comparire a Magonza di fronte al tribunale Arcivescovile: arrivarono non da fuggiaschi o da criminali bensì fieri, in uniforme, e armati di tutto punto, presentandosi da uomini liberi. Li si prosciolse da ogni accusa.
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In Portogallo il re Diniz eseguì l’ordine del Papa a modo suo: ospitò i Templari nel suo Castello di Castro Morim come amici e fece amministrare i loro beni in modo esemplare. A Santarem furono poi dichiarati innocenti, anche se per effetto della bolla del Papa dovette comunque sopprimere l’Ordine Templare. Subito dopo, però, venne creato l’Ordine del Cavalieri di Cristo che altri non erano che i Templari sotto un’altra nomenclatura. A questo nuovo Ordine in Re, molto onestamente, fece donare tutti i beni Templari sequestrati. L’aver difeso i Templari fu un atto che ripagò il Portogallo nei secoli successivi: le scoperte nel Nuovo Mondo vennero finanziate anche con il denaro dei Cavalieri di Cristo, dei quali anche Enrico il Navigatore faceva parte. Non dimentichiamo che sulle vele delle tre caravelle di Colombo svettava la croce Templare. Tutti i commerci con le Indie passavano per Lisbona, che in tal modo si arricchì non poco.
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In Aragona i Templari vennero dichiarati innocenti ma il re Jaime II, volendo impossessarsi del loro patrimonio, avviò contro di loro una guerra in piena regola, conquistando un castello dopo l’altro.
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In Italia la persecuzione infuriò in maniera analoga a quella francese, con prigionie durissime e torture. Questo si deve anche al fatto che l’Italia era sotto il forte influsso francese e quindi appoggiò la tesi di Filippo IV. Soltanto l’Arcivescovo di Ravenna, poi diventato Santo, ebbe il coraggio di schierarsi in difesa dei Templari.
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IL PROCESSO
Nel frattempo in Francia gli interrogatori e le torture proseguivano mentre, per contro, l’accertamento da parte del papa sulla colpevolezza dell’Ordine andava a rilento. Clemente V non fece nulla fino al 12 Agosto 1308, quando emise la bolla “Faciens Misericordiam” che destituiva i tribunali civili e li sostituiva con dei tribunali ecclesiastici, formati da Vescovi, stabilendo che solo la Chiesa potesse pronunciarsi sulla colpevolezza dei Templari. Purtroppo per questi ultimi, le speranze di giustizia furono spazzate via nel momento in cui scoprirono che il Tribunale di Francia era stato collocato a Parigi dove il re esercitava la sua massima influenza e dove “les Gens du Roi“, il corpo di polizia del re, poteva facilmente rintracciare e minacciare chiunque avesse voluto testimoniare in loro favore. La corte, inoltre, era composta di vescovi che erano sotto il totale controllo del re (uno era anche suo parente) e Nogaret assistette a tutti gli interrogatori e a tutte le udienze, nonostante il processo avesse dovuto svolgersi con solo i Templari e la giuria in aula.

Con queste scelte (luogo e giuria) Clemente V aveva definitivamente consegnato i Templari nelle mani del loro nemico, Filippo il Bello.
Le confessioni dei Templari sono delle più commoventi. Le loro dichiarazioni in aula furono messe agli atti, registrate e conservate, consentendoci di avere ai giorni nostri i testi originali.
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Per primo fu interrogato il Gran Maestro, Giacomo de Molay che, alle accuse di sodomia, rispose che persino i pagani saraceni avrebbero punito quella colpa con la decapitazione del reo, tanto più, dunque, un simile comportamento era proibito all’interno dell’Ordine. Molay cercò di difendersi come meglio poteva, sebbene sapesse di non poter competere in preparazione con i dottori della legge. Sentiva che quei giuristi non potevano capire i sentimenti e l’animo di un cavaliere, e rendersi conto del fatto che un uomo d’onore mai avrebbe potuto compiere tutti gli atti di eresia di cui lìOrdine veniva accusato. E’ emblematica una sua frase registrata: “Saprei bene come trattar Voi, se non foste ciò che siete”.
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Il giorno successivo fu interrogato Ponsard de Gisy, (cui era affidata la casa madre dell’Ordine, Payens) che disse, con enfasi,: “Abbiamo confessato sotto tortura!”. Riferì inoltre che a Parigi trentasei Templari erano morti sotto tortura e molti in altri modi. Proseguì dicendo: “Mi hanno legato le mani dietro la schiena in un modo tale che il sangue mi sprizzava fuori dalle unghie Poi così legato mi hanno gettato in un pozzo per circa un’ora.” Ammise che avrebbe preferito la morte piuttosto che continuare a sopportare quei supplizi.
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Lo stesso giorno fu interrogato Aymon de Porbone che descrisse anche lui le torture alle quali fu sottoposto dagli aguzzini del Re per farlo confessare, gli versavano acqua in bocca con un imbuto. Per intere settimane era stato lasciato a pane e acqua, dichiarò: “Non dirò nulla fintanto che mi si tiene in carcere”.
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Il 28 Novembre la commissione pontificia interrogò per la seconda volta Molay il quale si appellò di nuovo al papa. Difese l’Ordine richiamando l’attenzione sulle elemosine elargite, sulle Chiese costruite e sulle cerimonie celebrate. Questo diede luogo a uno scambio di battute:
Commissario: “Ma tutto ciò è vano per la salvezza dell’anima se manca la fede”
Molay rispose in maniera eccelsa: “Io credo fermamente in un Dio in tre Persone e a tutti gli altri articoli della nostra fede. Credo che quando l’anima sarà separata dal corpo si vedrà chi fu un giusto e chi fu un malvagio. Tutti i presenti allora conosceranno la verità sulle domande che oggi ci vengono poste“
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Il Gran Maestro, in catene al cospetto dei propri giudici, ne divenne con poche parole l’accusatore, e non in nome di un re terreno o di un papa debole, ma in nome di Dio. Ricordò ai Vescovi del tribunale pontificio l’esistenza di un altro tribunale al quale tutti loro non sarebbero sfuggiti. Chiese infine di poter assistere alla Santa Messa e di ricevere la comunione, dopo aver ricordato l’alto tributo di sangue pagato dai Templari in Terrasanta (lui disse 20.000 uomini) per difendere il nome di Dio e di Cristo, quel Cristo che ora li si accusava di rinnegare.
Alcuni storici hanno valutato le deposizioni di Molay mediocri e non all’altezza della situazione, ma ricordiamo che il Gran Maestro era un militare. Capace nella strategia, nella tattica e nel combattimento, ma non in possesso di una laurea in legge nè della dialettica di giuristi come Nogaret.
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Tra febbraio e maggio del 1310 ci fu la seconda parte del Processo ai Templari e furono invitati a Parigi tutti i Templari per difendere l’Ordine.
Più della metà dei Templari di Francia (560) scelse di fare il viaggio per raggiungere il luogo del processo. Perché non tutti? Molti erano morti, altri non avevano le forze e altri ancora non ebbero il coraggio. Erano ormai due anni che venivano tenuti in carcere, avevano subito ogni genere di tortura, avevano patito la fame, avevano visto morire i loro compagni. Bisogna ricordare, infine, che, per il diritto feudale, chi ritrattava una confessione veniva messo sul rogo.
I Templari, ancora in catene, furono riuniti e vennero lette loro le accuse infamanti. Vernon de Santoni, alla domanda se intendesse difendere l’Ordine, replicò: “In quest’Ordine non ho visto che del bene, non capisco cosa si voglia intendere per difendere.”
Bernard du Gué fu illuminante per smascherare le terribili torture alle quali furono sottoposti: il poveretto mostrò le ossa dei piedi, perduti nel corso dell’interrogatorio. I suoi aguzzini lo avevano arrostito a fuoco lento tanto a lungo che la carne s’era staccata dall’osso.
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Come curatore dei Templari fu designato Pietro da Bologna (francesizzato è Pièrre de Bologne) che era stato il procuratore generale dell’Ordine presso la Santa Sede. Redasse uno scritto che consegnò poi ai Commissari in nome di tutti i convenuti: “É difficile per noi, per i nostri fratelli, essere privati dei sacramenti. A molti di noi è stato sottratto l’abito, a tutti i beni dell’Ordine. Tutti siamo stati gettati in carcere con infamia, messi in catene ed in carcere siamo tuttora. La maggior parte dei confratelli che sono morti nelle carceri fuori Parigi non sono stati sepolti in terra Consacrata. Al momento della morte sono stati negati loro i sacramenti della Chiesa.“
Ad Aprile fu presentato un altro scritto al Tribunale: “Gli articoli del questionario della Bolla pontificia sono privi di senso, infami, disonorevoli, inauditi. Si tratta di menzogne, enormi menzogne, menzogne assurde, pronunciate dai nemici dell’Ordine e da calunniatori, in base a delle maldicenze. L’Ordine Templare è puro, senza macchia, e tale è sempre stato, checché se ne dica. Coloro che affermano il contrario parlano da miscredenti e da eretici, seminano nella fede l’eresia e la zizzania. Siamo qui pronti a difendere l’Ordine con tutto il cuore, con parole ed opere, nella maniera migliore possibile. Domandiamo però di poter disporre liberamente di noi stessi, e di essere presenti al Concilio. Coloro che non vi possono prendere parte devono avere la possibilità di farsi rappresentare. In breve, chiediamo di essere liberati dalle carceri in cui ci detengono. Tutti i confratelli che hanno confessato, del tutto o in parte menzogne simili, non dicono il vero. Hanno confessato nel timore di essere uccisi. Alcuni hanno confessato sotto tortura, altri per aver visto a quali supplizi venivano sottoposti i loro confratelli. Di conseguenza hanno verbalizzato ciò che volevano i loro persecutori. Non li si può biasimare, giacché i supplizi a cui alcuni sono stati sottoposti hanno suscitato il terrore in molti. Hanno visto che era possibile scampare alle sofferenze ed alla morte mentendo. Altri forse sono stati corrotti col danaro, o sedotti da promesse e lusinghe, o piegati da minacce. Tutto questo è noto e non si può far finta di ignorarlo, od occultarlo. Imploriamo la misericordia Divina, che ci faccia giustizia, giacché troppo a lungo abbiamo patito una persecuzione ingiusta. Da Cristiani pii e fedeli, chiediamo di ricevere i sacramenti della Chiesa“.
FINE TERZA PARTE
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Una storia affascinante.