Quando gli apostoli Pietro e Paolo riuscirono, seguendo itinerari diversi, a raggiungere la capitale dell’impero romano, quest’ultima già accoglieva un nucleo non debole di cristiani. La stessa Lettera di san Paolo[1] e quella del vescovo di Antiochia, Ignazio[2], attestano una presenza di fedeli capace di costituire un interlocutore serio, non generico. Sul piano organizzativo i cristiani si riunivano in piccoli gruppi in quelle case che, per dimensioni, potevano accogliere un certo numero di persone per la celebrazione liturgica. In questa fase degli inizi si verificò un primo dramma con le decisioni neroniane (64-67 d.C.) alle quali seguirono, in un modo discontinuo, ulteriori momenti dolorosi. Tra i seguaci di Cristo, pur nelle ore di prova, non venne meno un collegamento. Ciò si realizzò soprattutto in ambito privato. In tale contesto, nelle ore più drammatiche, furono scelti dei modi per comunicare messaggi senza correre il rischio di essere arrestati e condannati. Al riguardo, vennero utilizzati soprattutto dei simboli.
La Roma dei primi secoli dopo Cristo
Nel momento in cui i primi cristiani raggiunsero Roma, l’Urbe si presentava con un volto diverso rispetto al periodo successivo all’incendio del 64 d.C.. Molti monumenti (divenuti in seguito famosi) non erano stati ancora realizzati. L’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) verrà costruito nel tardo I secolo (anni di Vespasiano). Il Pantheon (nella forma attuale) fu edificato nel II secolo (durante l’impero di Adriano). Esistevano comunque varie strutture significative. Oltre ai templi, alle basiliche civili, ai portici e all’antico foro con l’aula del Senato, la capitale era caratterizzata dalla presenza di teatri e di circhi (metà I secolo). La passione della popolazione per i diversi spettacoli traeva origine dall’èra della Repubblica, e il più grande dei circhi, denominato appunto circus maximus, funzionava già nel IV secolo a.C.. Tra la fine della Repubblica (31 a.C.) e il regno del primo imperatore, Ottaviano Augusto (27 a.C.-14 d.C.), vennero realizzate nuove strutture di intrattenimento pubblico nella vasta pianura a nord dell’area urbana antica: il cosiddetto Campus Martius o ‘Campo di Marte’.[3] Questi teatri, unitamente ad altri nuovi monumenti nel Campo di Marte (l’Altare della Pace, l’Orologio solare e il Mausoleo di Augusto) costituivano in pratica un nuovo quartiere a impronta monumentale, con un accentuato impiego di marmi e di statue. I teatri romani si presentavano di vaste dimensioni. Il più antico, quello di Pompeo[4], inaugurato nel 55 a.C., aveva una cavea di circa 150 metri di diametro e una scena di 90. Il Teatro di Balbo[5], inaugurato nel 13 a.C., aveva un diametro di 90 metri; il Teatro di Marcello, a nord del Colle Capitolino, inaugurato nel 13 o forse nell’11 a.C., era alto 33 metri, con un diametro della cavea di 130 metri, e una capienza di quindicimila spettatori.

Più grandi ancora erano le strutture adibite alle corse dei cavalli, alle gare con bighe. Il Circus Flaminius, demolito nel periodo di Augusto, misurava 400 metri per 260. Il Circo Massimo misurava in lunghezza 600 metri, ed era largo 200. In confronto, il Circo di Caligola e Nerone, posto sull’altra riva del Tevere[6], rimaneva un edificio modesto (323 metri per 74). Queste strutture di notevoli dimensioni, che attestavano il primato (e il potere) imperiale[7], e la sua capacità di far convergere un elevato numero di persone verso un unico punto centrale (l’Urbe), dovevano essere note alla primitiva Chiesa di Roma.

La Chiesa di Roma. I messaggi in codice
Mentre la capitale dell’impero romano assumeva un aspetto maestoso per l’iniziativa di più imperatori, i primi gruppi di cristiani presenti a Roma, durante i periodi di persecuzione[8], furono spinti a ideare dei messaggi ‘in codice’ anche per non cadere vittima di possibili delatori. Tra i sistemi attuati si trova l’uso della parola: ‘pesce’. Le lettere che la formano in greco, quando scritte in maiuscolo (ΙΧΘΥΣ), costituiscono un acronimo con le iniziali dell’espressione ‘Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr’, che significa ‘Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore’ (in greco antico Ἰησοῦς Χριστός, Θεοῦ ͑Υιός, Σωτήρ). In tal modo era possibile per un cristiano capire se in un dato ambiente erano presenti altri correligionari, o distinguere tra una tomba pagana e un loculo cristiano. Alcuni autori sono propensi a individuare nel simbolo del pesce un riferimento all’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 4,19. Lc 5, 1-10).[9] Probabilmente il pesce ricordava anche l’acqua del battesimo. Non è da dimenticare in questo caso una frase di Tertulliano: “noi, piccoli pesci, che prendiamo il nome dal nostro Ichthys, nasciamo (alla fede) nell’acqua e solo rimanendo in essa siamo salvati”.[10]

Oltre all’uso della parola ‘pesce’, i cristiani dei primi secoli individuarono altri modi per favorire una trasmissione di messaggi. Inserivano, ad esempio, il disegno della croce in un contesto più articolato, esempio l’àncora cruciforme.

Unitamente a ciò, i fedeli disegnavano anche altri simboli dai diversi significati: ‘il buon Pastore’ (Cristo guida con amore la Chiesa), l’orante (l’orientamento cristocentrico, l’affidamento a Gesù), l’albero (la vita che cresce e fruttifica in Cristo), la colomba (la pace raggiunta in Cristo), la palma (la vittoria, il martirio, il Paradiso), la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, cioè Alfa e Omega (Cristo è il principio e la fine di tutto), l’àncora (la Chiesa è salda in Cristo; simbolo anche della speranza), la fenice (simbolo della risurrezione), l’agnello (Gesù immolato), il pavone (simbolo di risurrezione e di vita eterna), la barca (la Chiesa).[11]
Il Chrismon
Tra i diversi simboli fu ideato, nei primi secoli cristiani, anche un monogramma[12] particolare. Semplice ma significativo. Attraverso una combinazione di lettere dell’alfabeto greco che formano le iniziali del nome ‘Cristo’[13], venne disegnato un cristogramma. In pratica si incideva prima la lettera ‘X’ (‘Chi’). Poi, vi si sovrapponeva la lettera ‘P’ (Rho). Si sottolineava così la centralità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, senza attirare particolari attenzioni. Tutto ciò favoriva la preghiera, l’invocazione al Signore Gesù. Il Chrismon poteva essere inciso (o disegnato) in modo isolato, oppure era posto vicino ad altri simboli cristiani o a delle scritte.

I primi Chrismon
Gli archeologi hanno individuato i primi Chrismon nell’area medio-orientale, in particolare in Terra Santa. Ad esempio presso ossuari[14] gerosolimitani, e in una iscrizione sepolcrale di Beirut. Al riguardo può essere utile presentare alcune esemplificazioni. Si tratta di due quadri esplicativi.
Primo quadro esplicativo. Si presentano segni di: “Cristo Messia” con le lettere “rho” (1-8), con la “stella-germoglio” (9-13)[15], Nome di Gesù (14-18). Si noti poi il simbolismo delle lettere “chi” e “rho” (20-25).

L’iscrizione al n. 4 significa: “Pace, Haniu figlio di Zaidu. Per esprimere il concetto di Cristo Messia furono impiegati pure la stella (Numeri 24,17), e il germoglio, perché ritrovati nelle Testimonia.
Unitamente a ciò occorre sottolineare un punto importante. Le due lettere iniziali del nome del leader di Israele Giosuè (in ebraico iod e He) corrispondevano al nome divino (Iahweh) e – tradotto in greco – divennero le I e H. Per quanto il valore numerale non concordasse[16], tuttavia le lettere furono identificate con il nome di Gesù, tanto più che erano le iniziali del suo nome.
Devesi ancora evidenziare un dato. Come si ricava da Filone (De Mutatione Nominum VIII, 61-5) nell’ambiente ebreo si usava vedere il futuro Messia prefigurandolo nella persona di Abramo. Siccome questo patriarca ebbe il figlio promesso quando era centenario, così il n. 100, espresso con la lettera greca “P”, divenne simbolo del Messia. I cristiani non solo adottarono subito questo simbolismo, ma lo arricchirono di un nuovo significato. Aggiunsero alla lettera “P” un waw o sbarra orizzontale, che fissò l’immagine detta oggi “croce monogrammata”.
I numeri 20 e 21 del primo quadro esplicativo sono tolti dagli ossuari gerosolimitani e mostrano il primo le due lettere I e X incrociate; il secondo, tracciato su di un ossuario del Dominus Flevit[17], la I sostituita da un waw con l’apice, che appare un P con l’occhiello incompleto. Il segno si può considerare come un “monogramma costantiniano” molto anteriore a Costantino.
La scritta n. 25, tratta da un’iscrizione sepolcrale di Beirut, si può tradurre: “G(esù) C(risto), Esychis di Aclepio, coraggio! La tua anima sia con Cr(isto)”. I monogrammi intercalano le due frasi.
Secondo quadro esplicativo. Viene evidenziato il simbolismo della lettera “waw” (1-5). Per esprimere il concetto della forza e potenza di Cristo i giudeo-cristiani utilizzarono la lettera ebraica waw perché è anche il numero 6 quante sono le lettere che compongono il nome Jesous, e a motivo del fatto che somiglia a un corno (simbolo di forza), specie quando la lettera è ricurva da una parte.
È pure da osservare il simbolismo di “Alfa” e “Omega” (6-14).[18] Si notino inoltre: Croci a due, tre e sei corni (15-28), e lettera “gamma” (31-34).

L’uso del Chrismon
Le molte ricerche – effettuate a Roma – nelle catacombe e in luoghi anche non cristiani, effettuate dagli studiosi del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana[19] e da altre Istituzioni, hanno consentito nel tempo di individuare più Chrismon. Di fotografarli. Di studiarli. Per taluni archeologi essi conservano un significato meramente apotropaico (dal greco αποτρέπειν [apotrépein]: ‘allontanare’). Servono cioè a respingere le avversità, a rigettare le forze maligne.[20] Finiscono in tal modo per diventare una specie di ‘portafortuna’. Tale interpretazione, forse influenzata (e condizionata) dallo studio di amuleti in uso presso diverse popolazioni a tutela anche di morti, ha utilità di essere rimodulata alla luce di più evidenze.
![Chrismon ritrovati nell’area del Foro Romano su una colonna del tempio di Antonino e Faustina (fine III secolo-inizio IV)[21]](https://storiedistoria.com/wp-content/uploads/2021/07/Chrismon-ritrovati-nellarea-del-Foro-1.jpg)
1. Atto di fede
Il Chrismon ha costantemente espresso nel tempo un atto di fede. È il suo primo significato. Non si incide infatti il nome di ‘Cristo’ se non si crede in Lui. Se non si pone fiducia, speranza, nel Signore Risorto. In tal senso, il Chrismon rimane segno di Vita, perché riconduce alla Persona dell’unico Salvatore. Un esempio di ciò lo si trova nel portico della basilica di Santa Maria in Trastevere (Roma) ove c’è questa epigrafe cristiana:
L’iscrizione è sintetica, ma proprio per questo risulta importante. L’autore non fornisce i dati biografici del defunto. Vuole solo esprimere la sua ferma e semplice fede in Cristo, la cui Risurrezione è garanzia di vita eterna per il cristiano.

2. L’unità della Chiesa in Cristo
Il Chrismon costituisce anche un simbolo di unità ecclesiale, di fraternità. Ad esempio, nella catacomba di Sant’Ippolito (Roma) fu individuata un’immagine degli apostoli Pietro e Paolo. Tra i due testimoni del Signore Gesù è inserito un Chrismon. Il messaggio risulta chiaro: Pietro e Paolo hanno operato nella Chiesa uniti da una medesima fede in Gesù.[22]

3. Elemento di identificazione
In più casi il simbolo del Chrismon venne utilizzato per aiutare a localizzare sepolture cristiane. Diversi fedeli, infatti, furono inumati in luoghi ove si trovavano pure tombe di pagani. Era quindi utile, in ambienti scarsamente illuminati, conoscere la posizione di un loculo che conteneva la salma di un cristiano.

4. L’insegnamento catechetico
Il segno del Chrismon fu usato pure per motivi catechetici. Ad esempio, nel porticato della basilica di San Marco Evangelista al Campidoglio (Roma) è conservato il graffito di una brocca per l’acqua posto accanto a un Chrismon (inizio IV secolo?). L’autore ha voluto collegarsi al Vangelo di Giovanni (episodio della samaritana; Gv 4, 1-26). Ne deriva un insegnamento: solo Cristo può donare l’acqua viva.

Un altro messaggio catechetico si trova quando al simbolo originale del Chrismon furono aggiunte ai lati “α” e “ω”: alfa ed omega (prima ed ultima lettera dell’alfabeto greco). Quest’ultime servivano a ricordare che la Persona di Cristo costituisce l’inizio e il termine di tutte le cose (Apocalisse, 22,13). Ogni aspetto della Creazione proviene da Lui e a Lui è orientato. Per il cristiano tale insegnamento era (ed è) chiaro: proveniamo da Dio e a Lui ritorniamo (vita eterna).

5. Affermazione politico-religiosa
Il segno del Chrismon fu infine utilizzato in un contesto politico-religioso. Con l’avvento del periodo costantiniano[23] questo cristogramma venne diffuso in termini di gloria, di trionfo, di vittoria.[24] Eusebio di Cesarea, in un contesto di ‘visione’[25], lo descrive come un qualcosa che attesta la protezione divina verso Costantino.[26] Anche Lattanzio, in una vicenda legata a un ‘sogno’, si muove sulla stessa linea.[27] Ecco quello che annota Eusebio: “In un’alta asta ricoperta d’oro s’innestava un braccio trasversale in modo da formare una croce; in cima a tutto era fissata una corona intessuta di pietre preziose ed oro; su questa corona due segni, indicanti il nome di Cristo, mostravano, per mezzo delle prime lettere (con il rho che si incrociava giusto nel mezzo), il simbolo della formula salvifica: l’imperatore prese poi l’abitudine di portare anche in seguito questo monogramma inciso sul suo elmo”.[28]

Scrive Lattanzio: “[44] Già era scoppiata tra loro la guerra civile. E nonostante Massenzio si tenesse chiuso a Roma, avendo ricevuto il responso che sarebbe morto se fosse uscito fuori dalle porte della città, tuttavia la guerra era portata avanti da idonei generali.
2 Massenzio aveva più forze poiché aveva ricevuto da Severo l’esercito di suo padre, e ne aveva costituito uno proprio di recente arruolando Mauri e Getuli.
3 Si combatté, e i soldati di Massenzio prevalevano finché Costantino, rincuorato e pronto all’una e all’altra evenienza mosse tutte le truppe più vicino a Roma e prese posizione di fronte a ponte Milvio.
4 Era imminente il giorno in cui Massenzio era asceso al potere, cioè il 27 ottobre, e i giochi quinquennali erano al termine.
5 Costantino fu esortato in sogno a tracciare sugli scudi il contrassegno divino e a ingaggiare battaglia. Fa come gli è stato comandato e traccia sugli scudi Cristo, con la lettera X posta di traverso, e un accento circonflesso alla sommità. L’esercito armato di questo segno mette mano alle spade (…)”.[29]

Con la vittoria di Costantino sui diversi avversari, il Chrismon conferma sempre più un significato religioso (Dio è dalla parte dell’imperatore) e politico (Costantino è il vero monarca a cui spetta il dominio dell’impero).

6. Uso devozionale
Con il cessare delle persecuzioni, con la possibilità di celebrare pubblicamente i propri riti, con la stessa legislazione che diveniva sempre più filo-cristiana, la Chiesa poté trasmettere i propri messaggi iconici in forma estesa e articolata. In questo periodo il Chrismon fu anche utilizzato per uso privato con fine devozionale. Un esempio di tale tendenza è costituito da lucerne con impresso il monogramma di Cristo. Tale fatto consentiva al fedele di ricordare che Gesù è la luce del mondo (Gv 9,5). Riemergeva ancora pure un fine catechetico.

CONTINUA NELLA SECONDA PARTE
ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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AA.VV., L’Età dell’Angoscia. Da Commodo a Diocleziano (180-305 d.C.), catalogo della mostra, a cura di E. La Rocca, C. Parisi Presicce, A. Lo Monaco, Roma 2015. Cf in particolare: L. Buccino, ‘Le domus a Roma nel III secolo d.C.. Proprietà, distribuzione topografica e arredi di lusso’, pp. 116-125.
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B. Bagatti, Alle origini della Chiesa, I. Le comunità giudeo-cristiane, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1981. Cf capitolo VII: “Segni relativi al Messia”.
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G. Calcani, Dalla pratica augurale alla simbologia della nuova fede: contributo alla storia iconografica del crismon, in: AA.VV., ‘Incisioni figurate della tarda antichità’, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Roma, Palazzo Massimo, 22-23 marzo 2012), a cura di F. Bisconti e di M. Braconi, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 2013, pp. 343-366.
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P.L. Guiducci – A.M. Erba, La Chiesa nella storia. Duemila anni di Cristianesimo, Elledici, Torino 2017, versione e-book, primo volume (‘L’epoca antica’).
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J. Janssens, Vita e morte del cristiano negli epitaffi di Roma anteriori al sec. VII, Università Gregoriana Editrice, Roma 1981.
Lattanzio, Come muoiono i persecutori, a cura di M. Spinelli, Città Nuova, Roma 2005.
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I. Schwarz Winklhofer – H. Biedermann, Il libro dei segni e dei simboli, Bietti, Milano 1974. Cf capitolo quarto, ‘I simboli cristiani’, pp. 88-113.
G. Sena Chiesa, Il Cristo dissimulato. Simboli cristiani nell’Aquileia di Costantino e dei suoi successori, in: ‘Aquileia Nostra’, anno LXXXIII-LXXXIV, 2012-2013, pp. 359-370.
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E. Testa, Il simbolismo dei giudei-cristiani, Studium Biblicum Franciscanum, volume 14 di Collectio maior, Tipografia dei Padri Francescani, Jerusalem 1962. Cf pp.: 167, 409, 417.
Servizi televisivi sul cryptoporticus
(LA7, trasmissione ‘diMartedì’, 11 giugno 2016).
Archivi fotografici. Cryptoporticus
-http://archeoroma.beniculturali.it/ada/indici/documenti/risultati.php.Cf. n. 2013. Id. 2192.
Collocazione: 275/5. Toponimo: via Lucullo, pitture del criptoportico presso l’Ambasciata Americana. Oggetto: conservazione e sistemazione delle pitture del criptoportico rinvenuto in via Lucullo, presso l’Ambasciata Americana. Data iniziale: 1950. Data finale: 1952.
-Studio fotografico Paolo Soriani. Immagini a colori del cryptoporticus. Pitture. In: Unexpected Voices. The graffiti in the Cryptoporticus of the Horti Sallustiani, op. cit., p. 38.
-Ambasciata USA presso lo Stato Italiano. Cultural Heritage Office.
-Svenska Institutet i Rom.
–Anna Holst Blennow, in: Unexpected Voices…, op. cit., pp. 57, 60.
-http://www.cristinavazio.it/it/lavori-cristina-vazio-sas/dipinti-murali/83-cryptoportico-horti-sallustiani-roma-restauro-cristina-vazio.html.
-http://foto.ilsole24ore.com/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2009/graffiti-ambasciata-usa/graffiti-ambasciata-usa.php.
Sitografia
http://archeoroma.beniculturali.it/ada/archivio.html#doccar;
http://www.aiac.org/ (sito dell’Associazione Internazionale di Archeologia Classica);
http://www.unioneinternazionale.it/ (sito dell’Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte in Roma);
http://www.icomos.org/fr/ (sito dell’ICOMOS, International Council on Monuments and Sites);
http://www.edr-edr.it/Italiano/index_it.php (sito dell’Epigraphic Database Roma, EDR, parte costitutiva della Federazione internazionale di banche dati epigrafiche, denominata Electronic Archive of Greek and Latin Epigraphy, EAGLE).
Ringraziamenti
Si ringrazia S.E. l’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede per aver favorito lo studio dei graffiti cristiani nel cryptoporticus cit. nella presente monografia.
Particolare riconoscenza si esprime poi verso S.E. l’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso lo Stato Italiano per aver autorizzato lo studio già ricordato, per aver fornito l’assistenza della Dottoressa Valeria Brunori (Fine Arts Curator at the Embassy of the U.S.A. in Rome), e per l’omaggio di materiale scientifico di particolare valore (testi e foto) che è stato valorizzato.
Si manifesta notevole gratitudine anche verso: l’Istituto svedese di studi classici a Roma per l’omaggio del volume Unexpected Voices. The graffiti in the Cryptoporticus of the Horti Sallustiani, e la Direzione e il Personale della prestigiosa Casa Editrice L’Erma di Bretschneider che ha consentito l’utilizzo di documenti riguardanti l’area degli antichi Horti Sallustiani.
Si ricordano ancora: la Dottoressa Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani, sollecita nella trasmissione di un parere, un gruppo di Specialisti che ha offerto in modo discreto e generoso un particolare aiuto nella ricostruzione degli studi riguardanti il cryptoporticus cit., e la Dottoressa Claudia Caggiula per le ottime traduzioni.
[1] Nella Lettera ai Romani Paolo saluta Febe (al servizio della Chiesa di Cencre); Prisca e Aquila (e la comunità che si riunisce nella loro casa); Epèneto; Maria; Andronìco e Giunia (parenti dell’apostolo e compagni di prigionia); Ampliato, Urbano, Stachi, Apelle; quelli della casa di Aristòbulo; Erodione (parente di Paolo); quelli della casa di Narcìso; Trifèna e Trifòsa; Pèrside; Rufo e sua madre; Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma (e i fratelli che sono con loro); Filòlogo e Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpas (e i credenti che sono con loro).
[2] “(…) Dopo aver pregato Dio ho potuto vedere i vostri santi volti ed ottenere più di quanto avevo chiesto (…)” [Dalla Lettera di Ignazio di Antiochia ai Romani, I,1].
[3] In epoca repubblicana era servito per le esercitazioni militari e di cavalleria.
[4] Vicino all’attuale Campo de’ Fiori.
[5] Esistono dei resti in via Paganica.
[6] Dove ci sono ora la piazza e la basilica di San Pietro.
[7] Imperatori della dinastia Giulio-Claudia, di quella dei Flavi, et al..
[8] P.L. Guiducci, Nell’ora della prova. La testimonianza dei martiri cristiani a Roma dal I al IV secolo, Albatros, Roma 2017.
[9] I. Schwarz Winklhofer – H. Biedermann, Il libro dei segni e dei simboli, Bietti, Milano 1974. Cf capitolo quarto, ‘I simboli cristiani’, pp. 90-91.
[10] Tertulliano, De baptismo, I, 3.
[11] J. Daniélou, I simboli cristiani primitivi, Edizioni Arkeios, Roma 2000. E. Urech, Dizionario dei simboli cristiani, Arkeios, Roma 2000.
[12] Già nell’antica Grecia esistevano dei monogrammi. Questi potevano presentarsi come firma, oppure come simbolo di proprietà. Potevano anche costituire un marchio di identificazione su manufatti e merci.
[13] Χριστός (Khristòs).
[14] L’ossuario è il recipiente destinato a contenere le ceneri del defunto.
[15] Isaia 11,1: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”.
[16] Perché a iod corrisponde il numero 5 e a iota il numero 8.
[17] La piccola chiesa del Dominus Flevit, situata a metà strada lungo il versante occidentale del Monte degli Ulivi, ricorda l’episodio evangelico in cui Gesù pianse per il destino futuro di Gerusalemme.
[18] “Io sono l’alfa e l’omega”, dice il Signore Dio, “colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Apocalisse 1, 8). Alfa (Α o α) e Omega (Ω o ω), sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco.
[19] Cf ad esempio: AA.VV., Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F. Bisconti, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 2000.
[20] Su questo punto cf anche: A. Romeo, O fortuna, velut luna. I simboli apotropaici della Grecia e di Roma antica, in: ‘InStoria’, rivista online di storia&informazione, n. 115, luglio 2017 (CXLVI).
[21] Da notare il circolo a destra. Già dai tempi molto antichi si usava disegnare circoli per indicare la vita. Nei primi secoli cristiani i circoli presero anche il significato simbolico di Dio, fonte di vita. il cerchio rappresenta la divinità perché non ha né inizio, né fine. È l’eternità, è la pienezza di Dio, è il simbolo di tutto quello che è celeste: il cielo, il paradiso, il sole.
[22] P.L. Guiducci, Testimoni? La presenza degli apostoli Pietro e Paolo a Roma. Le prove storiche. L’insegnamento. I drammi, Albatros, Roma 2016, p. 84.
[23] Flavio Valerio Aurelio Costantino (274-337) fu imperatore dal 306 fino alla sua morte.
[24] AA.VV., Immagini divine. Devozioni e divinità nella vita quotidiana dei Romani, testimonianze archeologiche dell’Emilia Romagna, a cura di J. Ortalli e di D. Neri, Quaderni di Archeologia dell’Emilia Romagna n. 18, All’Insegna del Giglio, Borgo San Lorenzo (FI) 2007, p. 149.
[25] Cristo appare a Costantino. Eusebio non specifica il luogo esatto dell’apparizione.
[26] Eusebio di Cesarea, De vita Constantini, I, 29-30. Cf al riguardo: Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Rizzoli, Milano 2009.
[27] Lattanzio, De mortibus persecutorum, c. 44. Cf al riguardo: Lattanzio, Come muoiono i persecutori, introduzione, traduzione e note di M. Spinelli, Città Nuova, Roma 2005.
[28] Eusebio di Cesarea, op. cit., I, 31.1-2.
[29] Lattanzio, op. cit., c. 44. L’autore fa quindi riferimento a un segno celeste.
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