Lo stato ottomano, divenuto poi impero con Mehmet II, mischia le sue origini tra mito e storia, come spesso accade quando si cerca di ripercorrere a ritroso gli eventi che hanno portato all’ascesa di un uomo e del suo dominio.
Di Osman, che ha dato il nome alla dinastia che regnò per oltre 600 anni, in realtà si hanno ben pochi elementi storici:
- suo padre si chiamava Ertuğrul (è stata ritrovata una moneta recante il nome di “Osman figlio di Ertuğrul);
- il suo nome appare nel 1302 in occasione della battaglia di Bapheus (riportata dallo storico contemporaneo Giorgio Pachimeres);
- in un registro ottomano della metà del XV sec. si fa riferimento, nella città di Söğüt, a una fondazione pia per la salvezza della sua anima.
Tutto il resto è leggenda.

Possibile? Si, se si pensa che il maggiore storiografo degli anni iniziali dell’impero ottomano fu Derviş Ahmed – meglio conosciuto come Aşıkpaşazade – che visse nel XV secolo e che racconta gli avvenimenti a quasi due secoli di distanza dal tempo in cui si sono verificati.
Lo stesso Aşıkpaşazade riconosce l’esistenza di diverse versioni sugli esordi dello stato ottomano, ma la sua viene comunemente ritenuta come ufficiale.
Per capire il contesto in cui una piccola tribù seminomade turcomanna ebbe modo di svilupparsi fino a travolgere le potenze anatoliche dell’epoca, bisogna considerare il grande vuoto di potere lasciato alla fine del XIII dall’impero bizantino, ormai in inesorabile declino. Dalla battaglia di Manzikert del 1071, infatti, Costantinopoli non si era più ripresa e le zone centrali dell’Anatolia si trovavano frazionate in emirati spesso in lotta fra loro e con Costantinopoli stessa. E tutti sempre più in balia delle tribù turcomanne provenienti dall’Asia Centrale, spinte da ondate colonizzatrici o in fuga dalle invasioni mongole nelle terre orientali.

Quindi, in un periodo imprecisato, troviamo Ertuğrul recarsi in Anatolia con la tribù di suo padre e rimanervi con “quattrocento tende”, ossia quattrocento guerrieri con il seguito più o meno numeroso delle famiglie e degli armenti. Ertuğrul chiede al nuovo sultano selgiucide Alaeddin (non si sa a quale dei tre con questo nome) terre per la sua gente e pascoli per le sue greggi, ottenendole.
Il figlio Osman cresce in questo ambiente dove coabitano, al momento senza troppi contrasti, regni cristiani e musulmani, stringendo rapporti con alcuni notabili cristiani tra cui il governatore della città di Bilecik.
Tuttavia scaramucce con altri governatori cristiani, che non nutrono nei confronti di Osman la stessa fiducia di quello di Bilecik, non mancano. Durante un assalto nella regione di Karachaisar, il fratello di Osman rimane ucciso facendo scatenare la vendetta di questi sulla città. Karachaisar viene conquistata, le chiese trasformate in moschee e la popolazione cristiana “sostituita” da gente proveniente dall’emirato di Germiyan.
Come si suol dire “show must go on”: ben presto il mercato di Karachaisar attira i commerci anche di Bilecik e di altre città all’interno dell’impero bizantino.

Forte di una nuova base, Osman inizia un periodo di scorrerie assieme all’amico greco Köse Mihal (Mihal il Glabro), signore di Harmankaya. All’epoca Köse Mihal era ancora di fede cristiana ma si convertirà all’Islam negli anni successivi, venendo considerato il primo rinnegato bizantino di importanza prominente a mettersi al servizio degli Ottomani (Abdullah Mihal Gazi).
Le razzie di Osman e Mihal si spingono fino alle città di Göynük e Tarakli Jenicesi, ma anche Bilecik non rimarrà salva a lungo. Nonostante il governatore della città fosse sempre stato amichevole nei confronti di Osman, anche custodendo alla fortezza i suoi effetti mentre questi era ai pascoli estivi, lo spirito predatorio del capostipite ottomano prende il sopravvento.
Lo storico Aşıkpaşazade, per giustificare quello che a tutti gli effetti ha il sapore del tradimento, imputa il comportamento di Osman volto a evitare un’imboscata che gli era stata tesa.
Pare che il governatore di Bilecik avesse invitato Osman al suo matrimonio e questi, approfittando che tutta la popolazione si trovasse fuori della fortezza per festeggiare, si introducesse con un manipolo di compagni travestiti da donna e ne prendesse possesso. La testa del governatore, pure alticcio, finiva a rotolare nella polvere. Se davvero il governatore di Bilecik aveva teso un tranello al suo precedente amico, facendosi trovare immerso nei festeggiamenti e ubriaco, con tutta la popolazione inerme fuori dalle mura della fortezza sguarnita, bisogna dare atto che sia stata la peggiore imboscata della storia. Se qualcuno si chiede, infine, che fine abbia fatto la sposa, sappia che Lülüfer (Nilüfer) passò come bottino a diventare la moglie del figlio di Osman, Orkhan.

Il XIII secolo si chiude con la conquista dei governatorati cristiani di Yarhisar e Ayneghöl e la dichiarazione di Osman di indipendenza del suo piccolo regno dai turchi Selgiuchidi.
È bene ricordare che la tribù turcomanna di Osman non era l’unica presente in Anatolia né l’unica che premesse ai confini del regno bizantino. Già l’imperatore Michele VIII aveva da tempo cercato di fortificare la frontiera tra Bisanzio e gli emirati, sia attraverso alleanze, doni e favori che, più concretamente, creando una palizzata lungo il fiume Sangarios (oggi Sakarya).
Purtroppo per l’impero di Costantinopoli, la fama di Osman si andava estendendo in ogni dove, risvegliando la cupidigia di quanti erano in cerca di bottino e avventura. I suoi successi, ottenuti con le armi in pugno, riscuotevano l’invidia e la gelosia di quanti avevano fino ad allora optato per politiche pacifiste di convivenza basate sul commercio piuttosto che la razzia. Molti combattenti, al servizio di capi turchi meno guerrafondai, li abbandonavano per unirsi alle schiere di Osman. Insieme ad essi arrivavano anche giuristi e uomini di lettere dalle città per aiutare a costruire il nuovo stato.
È con la battaglia del 27 luglio del 1302 che Osman salirà al pari degli emiri di Germiyan, Mentese e Aydin: a Bapheus, presso Nicomedia, la sua cavalleria leggera sconfiggerà i duemila fanti pesantemente armati dell’eteriarca Muzalon, proiettando l’ormai ex piccolo capo tribù verso obiettivi più ambiziosi.
Fine prima parte