Heinrich Schliemann, l’uomo che inseguì i suoi sogni…

”…dovresti seguire l’esempio di tuo padre che, in qualsiasi situazione, ha sempre dimostrato che cosa sia possibile raggiungere con una ferrea volontà…”

La citazione che avete letto poc’anzi è un estratto dalla lettera che Heinrich Schliemann scrisse al figlio il 24 giugno 1870… rappresenta la perfetta sintesi dell’esistenza di questo eclettico individuo, dotato di assoluto talento ed in grado di trasformare una scialba sopravvivenza in qualcosa di indelebile nei secoli a venire. Suo padre, pastore protestante di umili condizioni, gli trasmise l’amore per la storia, attraverso i racconti incentrati sulle imprese dei mitici eroi greci e troiani cantati da Omero nell’Iliade e nell’Odissea; all’età di dieci anni (1832), Heinrich era già in grado di scrivere un saggio su Troia in latino, regalandolo al genitore. Il sogno di entrare in contatto con quelle leggendarie civiltà, ripercorrere i sentieri calcati da Agamennone, Achille, Ettore, cominciò a farsi sempre più prepotentemente largo nella mente dell’adolescente in un contesto culturale che riteneva i poemi omerici, puro e semplice frutto di fantasia. La caduta in miseria della famiglia, l’abbandono forzato degli studi, il lavoro come garzone di bottega, la malattia che lo costrinse a lasciare l’impiego, non piegarono la volontà di Schliemann nel conseguire il suo sogno infantile. L’incontro casuale in strada con un ubriaco che recitava, schiamazzando, i versi proprio dell’Iliade, risvegliò in lui la volontà di dare una svolta alla propria vita una volta per tutte. Imbarcato come mozzo su un brigantino diretto in Venezuela, sopravvisse al naufragio dello stesso, avvenuto nel 1841 al largo delle coste olandesi; questa disgrazia rappresentò il classico “giro di boa” nell’esistenza di Heinrich che ad Amsterdam, trovando un impiego nel settore commerciale, iniziò a costruire la sua immensa fortuna. Ho già accennato delle incredibili doti di apprendimento del ragazzo, figurarsi che in soli quattro anni (1842-46), studiando nei ritagli di tempo, imparò diverse lingue tra cui il francese, lo spagnolo, l’italiano, il russo, tanto per citarne alcune, applicando un metodo di sua invenzione, grazie al quale giunse a comprendere e parlare correttamente una singola lingua nel tempo record di sei settimane; ci troviamo dinanzi ad un vero e proprio genio che si applicò con furore anche nel commercio, arrivando ben presto ad aprire una sua filiale in Russia, dopo essere transitato per gli Stati Uniti. Oltremodo arrivista, in grado dunque di cogliere al volo le occasioni per arricchirsi, sfruttò la corsa all’oro in California (1850) prestando denaro ai cercatori, la guerra di Crimea in Russia (1854), rifornendo l’esercito dello zar ed il suo patrimonio aumentò a dismisura persino durante la grande crisi economica del 1857. Dal 1858 al 1866 viaggiò in tutto il mondo, dall’Italia all’Egitto e fino in Cina, Giappone, India, imparando per diletto più di venti lingue diverse tra cui il greco antico per avere l’onore di rileggere le opere omeriche in lingua originale, poi stanco degli affari liquidò velocemente tutte le sue aziende e prese la decisione di trovare a tutti costi la locazione precisa della leggendaria Troia, “…per vedere ancora qualcosa nel mondo…” .

Giudicare Schliemann un astuto dilettante che si diede all’archeologia è sminuire un individuo che seppur con metodi non convenzionali, si affermò come uno dei padri dell’archeologia stessa, compiendo giusto un paio di imprese che ancora oggi sono da considerarsi tra le più stupefacenti al mondo; il fatto di non essere stato un accademico ma un autodidatta tuttora rende contrastanti le opinioni sulla sua valenza di studioso, tuttavia non ci troviamo di fronte ad uno sprovveduto ma ad un appassionato che prima di intraprendere il viaggio per Troia, dedicò ben cinque anni della sua esistenza allo studio intensissimo dell’antichità, che ebbe confronti con professori e scienziati, che si prese la briga di imparare tutte le lingue del globo e di prendersi una laurea in filosofia alla facoltà di Rostock dopo aver recuperato il necessario corso di studi. E’ innegabile che i suoi metodi di scavo non convenzionali e la sua mancanza di metodo scientifico comportarono la distruzione di alcuni reperti che oggi sarebbero stati importantissimi, rimane però il fatto che senza le sue intuizioni, Troia e il suo tesoro sarebbero rimasti nell’oblio, forse per l’eternità. Disse:“Le mie pretese sono modeste, non spero di trovare opere d’arte plastica. L’unico scopo dei miei scavi fu, fin dall’inizio trovare Troia, donando alla scienza la scoperta di alcuni aspetti interessanti per la storia più antica del grande popolo ellenico”…

 

Sophia Engastromenos indossa il “tesoro di Priamo”

L’amore per le civiltà elleniche lo portò a ricercare una consorte di nazionalità greca; divorziò infatti dalla prima moglie, figlia di un famoso avvocato russo, la quale non aveva la minima intenzione di seguirlo nei suoi viaggi da archeologo sognatore e si recò ad Atene alla ricerca di una giovane in grado di dargli una prole ma soprattutto con la passione per la storia e l’archeologia… egli aveva quasi cinquanta anni, era il 1869. La fortunata fu Sophia Engastromenos, diciottenne, scelta dall’uomo tra una serie di fotografie di donne di umili origini propense ad un matrimonio combinato; scrisse all’anziano padre:“…la prenderò solamente se si interessa di scienza… una ragazza giovane e bella può amare un uomo anziano solo se sa apprezzare le discipline nelle quali il marito è molto più progredito di lei…”. Sophia amò Heinrich, gli diede due figli, Agamennone e Andromaca e seguì il marito ovunque aiutandolo nel migliore dei modi.

 

Schema con i 9 strati della leggendaria città di Troia

L’anno 1870 fu quello in cui si concretizzò in pieno lo Schliemann archeologo; andando contro tutte le opinioni consolidate, una volta in Anatolia, lasciò perdere la collina di Bunarbashi dove la tradizione poneva la locazione di Troia, sempre che fosse realmente esistita, piuttosto, Iliade alla mano, decise che l’antica città di Priamo doveva essere celata nella collina di Hissarlik; straordinario vederlo aggirarsi con l’orologio in mano per calcolare i tempi nei quali Ettore ed Achille, nel fervore del loro scontro, avrebbero potuto correre per tre volte intorno alle mura di Troia così come Omero le aveva descritte, oppure ricercare nei dintorni le famose fonti d’acqua citate nei versi, una calda ed una fredda. Hissarlik corrispondeva alle indicazioni dell’immortale poeta greco, Hissarlik nascondeva Ilio. Furono ben nove gli strati rinvenuti in undici mesi di scavi sulla collina suddetta, dal nono di età romana (IV secolo) al primo datato 3000 a.C. Le rovine della mitica Troia furono identificate dall’archeologo tedesco nel II strato (2500-2000 a.C.) dove i resti disseppelliti rivelarono tracce inconfondibili di un grande incendio; Schliemann si vantò di aver identificato persino la torre sulla quale sarebbe salita Andromeca una volta accertata la vittoria degli Achei ma qui entriamo nel campo delle fantasticherie. L’ultima grande sorpresa per l’archeologo tedesco avvenne per merito del tesoro di Priamo (almeno così fu ipotizzato che fosse), scoperto l’ultimo giorno di scavi di quel 1873, gioielli di inestimabile valore con i quali adornò la bella moglie, immaginandola come una novella Elena.

 

Maschera d’oro di Agamennone

Ma non è finita qui, rientrato in Grecia, interpretando a modo suo una relazione del greco Pausania del II secolo d.C., si mise a scavare subito dietro la “Porta dei Leoni” a Micene, tra gli sguardi scandalizzati di colleghi ed addetti ai lavori, scoprendo con le tombe regali (attribuite ad Agamennone e alla dinastia degli Atridi), l’esistenza stessa della civiltà Micenea, dalla straordinaria ricchezza di forme artistiche ed architettoniche, infine recandosi a Creta identificò senza neppure affondare la vanga nel terreno, la locazione precisa del palazzo di Minosse riportato alla luce successivamente, non da lui purtroppo. La famosa maschera d’oro di Agamennone, da tutti noi conosciuta ed inserita anche nel più scalcinato libro di storia fin dai tempi delle scuole elementari è una scoperta di Schliemann. Destino comune a molti grandi è l’essere colpiti da morti non degne della loro incredibile esistenza; il giorno di Natale dell’anno 1890, in una via di Napoli, Heinrich Schliemann si accasciava al suolo. Aveva appena subito una delicata operazione alle orecchie, era in attesa di un’autorizzazione per un nuovo scavo e il capannello di persone che si era raccolto intorno al suo corpo senza vita, non conosceva minimamente l’identità di quell’anziano straniero modestamente vestito.

Da qui le conclusioni finali…

Scrisse sempre al figlio:“Come archeologo, sono certo l’uomo più ammirato d’Europa e d’America, perché ho scoperto l’antica Troia, quella stessa città che gli archeologi di tutto il mondo hanno invano cercato durante gli ultimi duemila anni…”. Certo si potrebbe obiettare che il raggiungimento del sogno, l’appagamento dello stesso conseguito senza falsa modestia e con una punta di auto esaltazione, siano stati possibili grazie unicamente ad una condizione economica che ad una certa poneva Schliemann come uno dei commercianti più ricchi di Russia, grazie a speculazioni, fiuto per gli affari e arrivismo. Rimane però la consapevolezza di trovarci dinanzi ad una tenacia senza eguali, oltre la miseria, la malattia, il naufragio, questo uomo ha fatto della volontà la sua arma migliore in grado di tirarlo fuori dal baratro, la stessa volontà che ha alimentato un incredibile talento nello studio delle lingue, nell’apprendimento, nella brama di conoscenza. Alla base di questa ferrea volontà, il capolavoro di Omero, l’Iliade dei grandi eroi, di Agamennone, Achille, Ettore, Priamo, che sembrarono essersi confidati con il loro massimo estimatore, guidandone i passi fino alla scoperta di quei sentieri che loro stessi percorsero oltre 2500 anni or sono…

 

– C.W. Ceram – Goetter Graeber und Gelehrte im Bild – Civiltà al Sole.

– Maria De La Fuente – Schliemann e la nuova archeologia.

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