Sinossi:
“C’era una donna quindici secoli fa ad Alessandria d’Egitto il cui nome era Ipazia.” Fu matematica e astronoma, sapiente filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero e di comportamento. Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli sempre. Fu fonte di scandalo e oracolo di moderazione. La sua femminile eminenza accese l’invidia del vescovo Cirillo, che ne provocò la morte, e la fantasia di poeti e scrittori di tutti i tempi, che la fecero rivivere. Fu celebrata e idealizzata, ma anche mistificata e fraintesa. Della sua vita si è detto di tutto, ma ancora di più della sua morte. Fu aggredita, denudata, dilaniata. Il suo corpo fu smembrato e bruciato sul rogo. A farlo furono fanatici esponenti di quella che da poco era diventata la religione di stato nell’impero romano bizantino: il cristianesimo. Perché? Con rigore filologico e storiografico e grande abilità narrativa, Silvia Ronchey ricostruisce in tutti i suoi aspetti l’avventura esistenziale e intellettuale di Ipazia, inserendola nella realtà culturale e sociale del mondo tardoantico, sullo sfondo del tumultuoso passaggio di consegne tra il paganesimo e il cristianesimo. Partendo dalle testimonianze antiche, l’autrice ci restituisce la vera immagine di questa donna che mai dall’antichità ha smesso di far parlare di sé e di proiettare la luce del suo martirio sulle battaglie ideologiche, religiose e letterarie di ogni tempo e orientamento.
Su Ipazia sono fiorite molte leggende, e si sono sbizzarriti anche i poeti. È giusto che una bizantinista, che sa lavorare sui documenti, ci racconti la vera storia – che non è meno affascinante delle leggende.Umberto Eco
Il 2010 fu l’anno di Ipazia, almeno nelle televisioni e nei rotocalchi italiani. L’anno precedente era stato presentato a Cannes il film Agorà di Alejandro Amenábar che raccontava il martirio della filosofa di Alessandria descrivendo la lotta fra i monoteismi del V secolo. Il tema del film, ossia la denuncia del fanatismo della prima Chiesa cristiana, unito alla mancata immediata distribuzione della pellicola nelle sale cinematografiche italiane, aveva dato adito ad innumerevoli sospetti e “teorie del complotto” su presunte interferenze di autoritarismo ecclesiale. Una petizione su internet raccoglieva firme denunciando un supposto caso di censura. Ma la censura, quella del mercato, cadde naturalmente quando l’alto costo per i diritti di un film da cinquanta milioni di dollari si abbassarono con il passare del tempo permettendo così agli italiani di godere tranquillamente del film. Residui brontolii continuarono a permanere a causa di scene mancanti rispetto alla prima versione, taglio effettuato però dallo stesso regista, come da lui stesso spiegato, allo scopo di portare la pellicola da due ore e mezza a due ore togliendo qualche scena di battaglia e incentrare il focus acor di più sulla figura di Ipazia.
Il testo è certamente consigliabile per conoscere quanto ci è pervenuto sulla figura storica di Ipazia perchè, come afferma la Ronchey, “Se vogliamo davvero renderle omaggio non dobbiamo perdere l’occasione di leggere la sua storia in modo non settario, ma autenticamente laico.”
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