Cristina Cavallazzi è da sempre appassionata di storie d’avventura e mistero. Anche nelle sfumature del “giallo” ama soprattutto quelli che vengono chiamati “Cold Case”, quegli eventi cioè lontani nel tempo, che sembrano impossibili da risolvere. In questo romanzo troviamo questo passione ma anche l’amore, motore principe che influenzerà una decisione importante.
Questo romanzo avrebbe potuto essere ambientato in qualunque epoca, ma la scelta del XIX secolo è legata alla rivoluzione francese, perché proprio nella vicina Francia è nato tutto. La vicenda, tuttavia, non si snoda tra balli di Corte né nella rarefatta atmosfera dei grandi palazzi. È una storia moderna, se così si può definirla, anche nei dialoghi. Pur mantenendo la forma, tutto sommato gradevole, del “voi”, l’autrice ha voluto rendere il linguaggio scorrevole e più familiare al lettore.
Ambientato quasi interamente in Italia, nella suggestiva cornice di una delle più belle località della Riviera di Ponente, questo romanzo descrive una guerra privata fra due persone che non si conoscevano neppure, e che in pochi mesi coinvolge profondamente due famiglie italiane, in principio totalmente estranee.
TRAMA
Nell’Italia di metà Ottocento, Sergio Menardi, figlio di un noto pittore, ha appena ereditato la villa paterna, quando si trova coinvolto in una drammatica vicenda che ha avuto origine negli anni della Rivoluzione francese di 60 anni prima. Nella sua tranquilla vita borghese fanno irruzione personaggi come Dario Ballerini, intraprendente e temerario, con i suoi giovanissimi nipoti Alessandro e Isotta, e poi Bernard Rivaux, dal fascino esotico ma inquietante, e Madame Colette, che nonostante un matrimonio felice custodisce un segreto che potrebbe distruggere il suo nido d’amore. Sono entrambi alla ricerca della stessa prova, lui per poter dimostrare che non è stato un tragico incidente, ma un delitto, che è costato la vita a suo padre François ad opera di Pierre, padre di Colette, e lei per entrare in possesso e impedirgli a ogni costo di far riaprire il caso. La prova verrà ritrovata ma la vera soluzione del mistero sarà imprevedibilmente opera di Filippo Menardi, che oltre a essere un artista era anche uno scienziato, e aveva costruito una Macchina del Tempo. Ritrovata per caso in solaio dove Filippo l’aveva nascosta, viene usata in più occasioni. L’ultimo viaggio, il più sconvolgente e pericoloso, porterà nella Marsiglia del 1790, in una fredda e buia mattina d’autunno. Darà finalmente la risposta a tante domande, e la vittoria sarà a portata di mano di uno dei due contendenti, ma il destino ha in serbo un ultimo colpo di coda.
ESTRATTO
L’eredità del pittore
Il 25 maggio 1851 moriva nella sua villa di Alassio, Filippo Menardi, eminente artista del pennello. Nel corso della sua lunga esistenza, aveva 78 anni, aveva dipinto e venduto centinaia di tele; a Genova, sua città natale una galleria di quadri ospitava una sua mostra permanente. C’era chi diceva che la pittura non fosse il suo unico talento. Qualcuno affermava di averlo incontrato in città mentre si recava all’Ufficio Brevetti, ma il Signor Menardi era tanto riservato su questo argomento quanto era loquace e generoso sulla sua attività artistica, e non aveva alcuna esitazione a mostrare ad amici e ospiti il suo studio, che aveva ricavato dalla serra. Era un edificio lungo e basso, tutto vetrate, ideale per chi, come lui, aveva bisogno di luce e spazio. Un tempo, quando la villetta apparteneva ancora ai vecchi proprietari, quel locale offriva una magnifica vista di orchidee, rose di Damasco, vasi di ibisco, e tante piante tropicali dall’aspetto solenne. Ora tutto questo non c’era più. Il profumo inebriante dei fiori aveva lasciato spazio al sentore di olii e tempere, e la rinfrescante immagine del verde era stata sostituita da file di cavalletti allineati lungo le pareti, due o tre nel centro dello studio, coperti da un telo: erano i soggetti da finire. Molti di coloro che erano stati suoi ospiti avevano avuto il privilegio di ammirare i dipinti appena incominciati, o in via di sviluppo. Qualcuno aveva addirittura osato dare un’opinione, aspettandosi gli strali dell’artista, ma era stato accolto benevolmente come se l’autore non chiedesse altro. Solo quando qualcuno faceva allusioni più o meno ve-ate a qualche altra sua attività, si irrigidiva e cambiava argomento. Più volte il figlio, Sergio, aveva cercato di convincerlo ad essere più aperto; sarebbe stato un peccato che a causa di questo atteggiamento perdesse la grande popolarità di cui godeva.
-Renditi conto, papà,- gli aveva detto un giorno -che nell’antichità era normale essere artisti e scienziati nello stesso tempo. Potrei farti decine di nomi. E nessuno se ne vergognava!-
-Puoi farmi tutti i nomi che vuoi,- era stata la risposta -ma noi non viviamo nell’antichità, perderei ogni credibilità se si sapesse in giro… Comunque ormai non faccio più nulla in quel settore; all’Ufficio Brevetti mi hanno rimandato indietro senza complimenti, per cui è tutta roba inutile che non servirà mai a nessuno. Lascia stare non ne parliamo più.-
Sergio sapeva quando suo padre parlava seriamente, così non aveva più toccato l’argomento. Probabilmente il fatto di non essere stato preso sul serio lo aveva ferito nell’orgoglio, e indotto ad abbandonare le sue ricerche. Quando Filippo se ne andò, due anni dopo sua moglie, Sergio, che era figlio unico, si trovò erede universale di tutti i beni della sua famiglia. Quella che il padre chiamava modestamente villetta, era una bella tenuta, con un giardino che digradava dolcemente verso un ampio belvedere, da cui la vista spaziava su un incantevole mare azzurro e scintillante. La casa propriamente detta era grande e accogliente, freschissima nelle calde giornate estive, e piacevolmente intima d’inverno. Circondata da alti pini marittimi, era abbellita da un superbo glicine che nei suoi secoli di vita si era arrampicato fino al tetto, lasciando ricadere con grazia i suoi grappoli lilla. Un breve sentiero all’ombra dei pini sfociava in un vasto giardino luminosissimo, e pieno di aiuole fiorite.
L’AUTRICE
Cristina Cavallazzi è nata a Milano il 22 giugno 1957. Ha sempre avuto una grande passione per la lettura e soprattutto per la creazione di storie e vicende, di solito legate ai libri che leggeva, dall’avventura al fantasy, dal giallo classico al genere cappa e spada, e non mancavano letture divertenti, Wodehouse era l’autore preferito in questo genere.
Si trattava sempre però di storie ispirate ad altre, mentre ora, esordendo con questo romanzo, ha creato tutto fin dall’inizio, i personaggi, la vicenda, l’ambientazione, e l’epoca. Ora finalmente l’autrice può realizzare il suo sogno e forse farne il lavoro principale come da sempre desiderava. “I segreti di Villa Sofia” è la sua prima pubblicazione.
Titolo: I Segreti di Villa Sofia
Autore: Cristina Cavallazzi
Editore: PAV Edizioni
Pagg. 340