Ci sono personaggi che lasciano nella storia una traccia breve, sfolgorante come una meteora. Uno di questi é il condottiero giapponese Oda Nobunaga (1534-1582) che alcuni hanno paragonato a Napoleone per le sue qualità strategiche. Figlio di un feudatario minore della provincia di Owari, nel volgere di pochi anni diventa uno dei più potenti “signori della guerra” del suo paese, a quell’epoca dilaniato nelle lotte tra clan.
Di fatto é l’unificatore del Giappone. Il suo motto “Tenka Fubu“, una sola bandiera sotto il cielo, all’inizio sembra un sogno irrealizzabile: la ferrea volontà di Nobunaga lo traduce in realtà lasciandosi dietro una scia di fuoco e di sangue. Tra le molte battaglie se ne può ricordare una, quella contro i monaci guerrieri del monte Hiei, falciati dalle spade dei samurai o bruciati vivi a migliaia nei loro templi.

Soprannominato dai Buddhisti “il re dei demoni”, Nobunaga è un personaggio imprevedibile e contraddittorio: può spiazzare gli avversari con le sue azioni spaventose e nello stesso tempo abbagliarli con la sua raffinatezza. Quando depone l’armatura da samurai veste kimono dai colori brillanti. Ama teneramente le donne e i figli. Conoscitore di teatro Nō e poesia, pratica la cerimonia del the sotto la guida di Sen no Rikyū, eccelso tra i maestri di questa disciplina.
Una dottrina basilare nel Buddhismo, la legge di causa ed effetto, recita che le azioni commesse si ritorcono contro chi le ha compiute. Per Nobunaga il momento di pagare viene nel 1582: quando uno dei suoi stessi generali, Akechi Mitsuhide, lo attacca a sorpresa mentre fa sosta nel tempio di Honnoji con una piccola scorta. Si ignora se Nobunaga finisca bruciato vivo nell’incendio appiccato al tempio o se riesca a commettere seppuku, il suicidio rituale. Come accade spesso con personaggi di questo genere, c’è chi sostiene invece che sia ancora vivo.
Il traditore Akechi viene inseguito e ucciso da Toyotomi Hideyoshi, un umile ashigaru (fante) che Nobunaga aveva apprezzato per le sue capacità e fatto avanzare di grado fino ad affidargli il comando dell’esercito. Hideyoshi raccoglie la bandiera di Nobunaga e ne prosegue il compito, completando l’unificazione del Giappone. Il suo successore, Tokugawa Ieyasu, si trova in mano un paese già pacificato, pronto a subire le regole ferree che saranno imposte a tutta la popolazione: divisione in caste, stretta sorveglianza sui daimyo (feudatari), chiusura del paese agli stranieri. Ha inizio il potere degli Shōgun, che dominerà il Giappone fino al 1868.

La personalità di Nobunaga, brillante, crudele e nello stesso tempo sfolgorante di bellezza, si esprime o meglio si esprimeva in un edificio, il castello di Azuchi. Viene costruito tra il 1576 e il 1579, sulla sommità di un’altura in riva al lago Biwa. La posizione è strategica in quanto da lì, per via fluviale, le truppe di Nobunaga possono arrivare in poche ore a Kyoto, la capitale.
Il castello viene raso al suolo alla morte di Nobunaga, tre soli anni dopo essere stato completato. Le ipotesi di ricostruzione si basano sui reperti archeologici e testimonianze dell’epoca. Si trattava di un edificio di legno costruito su un basamento di pietra, collegato con altre fortificazioni che inglobavano tutta la montagna. Il torrione centrale era alto 46 metri, con il penultimo livello a forma ottagonale: l’ultimo, quadrato, aveva il tetto coperto di tegole d’oro.
Gli interni, decorati dal pittore Eitoku Kanō e dai suoi allievi, non dovevano essere meno sontuosi. Se anche soltanto un pannello dei paraventi (byōbu) che separavano gli ambienti si fosse salvato dalle fiamme, oggi sarebbe tesoro nazionale… ma finirono in cenere.
La più preziosa testimonianza sul castello di Azuchi, purtroppo perduta anch’essa, è un paravento con un disegno raffigurante l’edificio stesso. Viene donato da Oda Nobunaga a un missionario gesuita, Alessandro Valignano, nel 1581. Valignano ha veduto il castello con i suoi occhi ricevendovi una sontuosa ospitalità. Nobunaga infatti favorisce i Gesuiti, non certo per motivi religiosi ma in contrapposizione alla potenza dei Buddhisti.
Cristianesimo, per il Giappone di quell’epoca, vuol dire soprattutto l’arrivo della “nao“ nave portoghese proveniente dalla Cina che trasporta seta, porcellane e la merce più preziosa di tutte: gli archibugi. Le fulminanti vittorie di Nobunaga, infatti, oltre che alla sua audace genialità si devono alla capacità di sfruttare le armi da fuoco, una novità nel paese dei samurai.

Il paravento con la raffigurazione del castello è un dono che Nobunaga ha destinato al Papa, all’epoca Gregorio XIII. A portarlo a Roma sono quattro giovani samurai cristiani, designati con il cognome di famiglia e il nome ricevuto nel battesimo: Itō Mancio, Chijiwa Miguel, Hara Martino e Nakaura Juliao. I ragazzi, arrivati in Europa dopo un avventuroso viaggio via mare durato quasi tre anni, sono ricevuti in Vaticano e consegnano al Pontefice il prezioso dono. È il primo contatto diretto tra Giappone e mondo occidentale.
Che fine ha fatto il paravento? Non si sa. Per un certo periodo resta in Vaticano, poi se ne perdono le tracce. Ora la città giapponese di Azuchi ha finanziato un progetto di ricerca per tentare di trovarlo. Il disegno sarebbe una preziosa fonte di informazioni per ricostruire la planimetria del castello di Nobunaga.
Ho anch’io un sogno irrealizzabile: che la pubblicazione del mio prossimo romanzo storico (protagonisti Oda Nobunaga e Alessandro Valignano) riporti l’attenzione su questo paravento, e magari lo faccia sbucare fuori da qualche soffitta… perché no?
BIBLIOGRAFIA
– L. Frois, The first european description of Japan, 1585
– J.F. Moran, The Japanese and the Jesuits
– Kunio Tsuji, The Signore – Shogun of the warring states
– Vittorio Volpi, Il Visitatore
– Alessandro Valignano, un grande maestro italiano in Asia
– Oda Nobunaga, the king of Zipangu – serie televisiva della TV giapponese NKH