Primo capitolo de “1164 L’Assedio di Rivoli” – Giovanna Barbieri


A fine estate uscirà il romanzo “1164 L’Assedio di Rivoli” di Giovanna Barbieri.
L’autrice mette a disposizione in anteprima il primo capitolo della sua opera.

 
 
CAPITOLO 1: IL TEMPORALE
 
Alice aprì faticosamente gli occhi abbagliati dalla luce del primo mattino che filtrava dal fogliame degli alberi, non riconobbe il luogo e si domandò come avesse fatto ad arrivare sino a lì. L’ultima cosa che ricordava era una passeggiata nei boschi della Valpolicella. Era stata sorpresa da un forte temporale e si era rifugiata sotto un alto pino. La sera precedente aveva deciso di uscire con il cane, nonostante il cielo minacciasse pioggia, la rilassava sempre camminare lentamente con il vecchio bracco. La donna fece perno su un gomito, le girava la testa e si rese conto di sentire un fastidioso odore di bruciato, cercò di mettersi seduta, ma il dolore fu così forte che svenne. Quando riaprì gli occhi una ragazzina la stava fissando con gli occhi spalancati, era un immagine confusa, Alice cercò di parlarle, ma la giovane scappò a gambe levate, come se fosse inseguita da un branco di lupi. Tentò nuovamente di sedersi, questa volta il dolore fu meno forte e riuscì nel tentativo. Si esaminò il corpo e si rese conto di essere semi-nuda con i capelli bruciacchiati. A destra sentì dei rumori avvicinarsi e farsi più intensi, forse la ragazzina ha chiamato i soccorsi, pensò Alice. In effetti, le riapparve la giovane di prima e un ragazzo prossimo alla ventina. Ora che riusciva a mettere a fuoco le immagini, osservò il loro abbigliamento e notò che era strano. Il giovane uomo non sembrava un vigile del fuoco o un medico. La bambina, che non doveva avere più di dodici anni, indossava un vestito lungo, di un tessuto grezzo scadente con maniche lunghe a cono, non si vedevano bottoni o cerniere, il ragazzo invece pareva indossare dei calzoni di panno marroni e una tunica di lanetta verde, fermata in vita da una spessa cintura di pelle, dov’era infilato un coltello, e un mantello di un materiale grezzo gli copriva le spalle larghe. Alice non capì nulla di quello che il giovane le stava sussurrando, quel dialetto veronese così stretto l’era quasi incomprensibile, non era mai stata tanto brava nei gerghi locali. Con un certo sforzo lui la fece alzare e le mise sulle spalle il mantello. Alice si sentiva debole e fu sopraffatta da un senso di nausea.
“ Madre, madre!”, gridò il ragazzo portandola in braccio oltre la soglia di una casetta di legno.
Il giovane uomo stava parlando con la madre velocemente, preso dall’urgenza della situazione. Alice non sapeva cosa pensare, aveva capito gran poco del dialogo dell’ adolescente con la madre. Il giovane uomo la depositò lentamente su di un giaciglio di paglia. Quando mai si riposa ancora su giacigli di paglia?, si domandò confusa. La madre si apprestò a esaminare il suo corpo scottato, la spogliò lentamente, stando attenta a non farle male. Il giovane nel frattempo continuò a parlare alla madre in stretto dialetto veronese, Alice capì solo qualche parola, non tutto. Della loro lunga conversazione Alice comprese solo le parole guerra e assedio. Assedio! Dov’era capitata? Vuoi vedere che i ragazzi della compagnia d’arme, vedendola depressa, le stavano facendo uno scherzo?, pensò Alice sempre più stranita . In quel mentre un uomo entrò nella casetta.
“ Chi siete signora?” , domandò gentilmente l’uomo.
Alice capì la domanda, ma prima di rispondere osservò attentamente i suoi salvatori. L’uomo poteva avere una quarantina d’anni ed era vestito come il figlio. Alcune rughe gli solcavano il viso, i capelli e la barba erano quasi completamente grigi. La donna che l’aveva esaminata non poteva averne più di trenta, ma ne dimostrava molto di più. I capelli stretti in una crocchia erano ingrigiti prematuramente e indossava un semplice vestito di lanetta grigiastro lungo fino ai piedi e a maniche lunghe. Alice si sforzò, tuttavia non riconobbe nessuno di loro, eppure nella cerchia di simpatizzanti medievalisti ci si conosce tutti, pensò allarmata. Il senso di panico la prese alla gola, lo combatté e osservò meglio la stanza. In un angolo della casupola di legno vide un arco e una faretra con molte frecce e al di fuori distinse il chiocciare delle galline e qualche verso d’anatra. Queste strane persone hanno un arco in casa munito di frecce!, lo sbigottimento di Alice s’intensificò.
“ Mi chiamo Alice, che posto è questo? Se è uno scherzo giuro che me la pagherete!”, disse nervosamente in italiano.
Queste persone non sembrano intenzionate a farmi del male, rifletté tuttavia continuando a osservarli. Il contadino non sembrava aver capito la sua risposta, ma cercò di comunicarle il suo nome, Alice capì solo fattoria e Autiero. Della seconda domanda Alice capì solo Verona e parenti. Lei, con un gesto della testa, fece segno negativo, aveva ormai compreso che qualcosa non andava e voleva essere certa di capire bene dove si trovava prima di pronunciarsi. L’uomo continuò a fissarla interdetto dal suo silenzio. Del terzo tentativo di comunicare Alice capì solo monache e carretto.
“ Va bene”, accettò lei.
Vinta dalla stanchezza si sdraiò sul giaciglio di paglia, vicino a lei si misero a riposare i ragazzi, al lato opposto della casupola, vicino al camino, si sdraiarono i due genitori. Alice sperò che fosse solo un vivido sogno, che in realtà si trovasse nel suo letto, nella casa di Verona.
Alcune ore prima dell’alba, il ragazzo rumoreggiò nella piccola stanza e Alice si svegliò. Il giovane si vestì e sgattaiolò fuori dalla casetta, poco dopo sentì un rumore di legno contro il terreno e un nitrire di cavallo. Questo è il sogno più realistico della mia vita. Quando mi sveglierò dovrò raccontarlo assolutamente a Paola, ci faremo quattro risate , pensò mentre si copriva.
“ Autiero, in che anno ci troviamo? “, domandò Alice nel poco dialetto veronese che conosceva mentre l’uomo l’ aiutava a salire sul carretto che il ragazzo aveva portato.
L’uomo era molto più sveglio di lei per quanto riguardava la lingua e rispose prontamente.
“ Nel 1162 anno del Signore, mia signora” le rispose sicuro il fattore.
Alice lo guardò con occhi sgranati, incredula. Non è possibile, sono veramente capitata nel Medioevo?. Il viaggio con il carretto fu abbastanza agevole, i due attraversarono, sobbalzando e scricchiolando a ogni sasso, un sentiero che s’inoltrava nel bosco, dove si era svegliata il giorno prima. Grandi querce e roverelle si stagliavano alte ai bordi della strada, impedendo ai viaggiatori di essere abbagliati dai raggi del sole. Gli uccellini, svegliati dal sorgere del sole, cinguettavano felici nel verde. Ogni tanto Alice sentiva dei rumori nel sottobosco e un paio di volte scorse delle lepri e un cervo. Non si vedevano altre abitazioni, se non in lontananza qualche sparuta fattoria. Le villette a schiera del quartiere di Novare erano completamente scomparse, al loro posto c’erano solo fiori e foresta. Un flusso di pensieri angosciosi le affollò la mente mentre il carretto proseguiva per il bosco: era nel 1162 dc, nessuno scherzo poteva essere così ben congeniato! Come aveva fatto a capitare il quel tempo? Un fulmine può creare una breccia temporale? La madre aveva già denunciato la sua scomparsa alla polizia? Suo padre aveva già chiesto l’aiuto dei vicini? Sono forse morta e questo è il Purgatorio?. Verso le otto del mattino arrivarono in un ampio cortile circondato da mura. Sul lato destro e sinistro si ergevano due caseggiati di sassi e legno con ampie aperture, chiusi da portoni di legno. Autiero la fece scendere dal mezzo di trasporto, bussò al portone di destra e parlò concitatamente con una novizia. Alice capì solo la parola cure e si rilassò. La ragazza si girò e si diresse all’interno. Dopo qualche minuto d’attesa si affacciò sul portone una suora minuta con chiari occhi verdi e modi sbrigativi, accompagnata da altre due monache. La religiosa, forse la badessa, parlava un misto tra incomprensibile dialetto veneto e latino ancora più indecifrabile, nonostante ciò Alice vide nei suoi occhi bontà e accoglienza, un senso di fiducia l’invase. Si voltò verso il buon contadino, che era stato così gentile con lei e l’aveva accolta nella sua casa senza fare troppe domande, gli promise che si sarebbe sdebitata se ne avesse avuto l’opportunità e che gli sarebbe stata sempre grata. L’uomo la guardò con profondi occhi marroni, s’inchinò e se ne andò facendole un sorriso. In un primo momento le monache la portarono in un ampio stanzone dove erano stati sistemati dei giacigli di paglia, le tolsero il mantello e videro che i suoi indumenti erano praticamente a brandelli. Alice si spaventò e il timore le montò dentro come una marea. Una giovane suora, molto carina, snella e alta con qualche lentiggine sul naso ben modellato, le chiese qualcosa. Alice non capì nulla, le religiose intervallavano il dialetto con latino e lei non lo aveva mai studiato. Non udendo nessuna risposta da parte sua la sorella le tolse la veste, sotto la quale portava biancheria intima e una camiciola di cotone lunghezza cosce, rimase sbalordita alla vista del reggiseno e mutandine che a quel tempo non esistevano, ma non si espresse. L’angoscia d’Alice si sedò un poco, in fondo le suore sono gentili con me, vogliono solo aiutarmi. Nel frattempo la badessa, avendo finito di visitare gli altri ospiti della stanza, s’avvicinò alle altre sorelle che la stavano visitando e propose qualcosa. Un’altra s’avvicinò e le spalmò sulla scottatura un impacco di foglie di bardana dalla proprietà rinfrescanti. Alice aveva riconosciuto il profumo dell’erba. Le religiose, secondo quanto aveva appreso da anni di letture medievaliste e conferenze a tema, poiché donne, non potevano studiare anatomia e medicina, solo i ricchi e ambiziosi preti, se lo desideravano, potevano studiare scienza medica nelle città. In ogni caso quelle donne ne sapevano molto riguardo a malattie e spesso il medico non era interpellato, specialmente quando il paziente non poteva pagare. Alice si chiese se fossero in grado di guarire ferite come le sue. Ne dubitava. Doveva ammettere che aveva molta paura. Le mancavano i suoi genitori, la sorella, le colleghe e gli amici. Non poter confidarsi con nessuno la deprimeva terribilmente. Riuscirò a ritornare a casa e uscire da quest’incubo?, pensò mentre la medicavano.
Le settimane passarono lentamente all’ospedale, scandite dalle pozioni e medicazioni delle religiose. Alice rimase nella struttura per tre settimane. In quel periodo, avendo fatto amicizia con le simpatiche monache, si propose d’aiutarle per sdebitarsi della loro assistenza. Ora riusciva a capire meglio il dialetto, ma quanto passavano al latino la comprensione diminuiva terribilmente.
“ Certo Alice, potresti andare a cercare le piante officinali che ci occorrono nel bosco, ti daremo un cesto e la descrizione delle foglie che devi cercare e come trattarle “, propose sorella Maria Claretta in veronese.
Così la mattina seguente all’alba s’incamminò nel bosco in cerca di foglie e radici. La giornata era splendida, nel cielo non vi era una nuvola e una fresca brezza soffiava da ovest. Doveva rientrare il prima possibile, le donne le avevano fatto capire che era molto pericoloso vagare da sola nella folta macchia. Così, su suggerimento di sorella Amelina, si diresse verso il torrente che scorreva da est a ovest e divideva il terreno abitato dalla selva. Giunse a destinazione verso le sette di mattina e si mise al lavoro avendo scorto in riva all’acqua le foglie che stava cercando: bardana, saponaria, ortica, camomilla. Scavò facilmente il terreno umido di rugiada, cercando di prelevare anche un po’ di terriccio, e avvolse le radici in foglie imbevute d’acqua. Se si fossero seccate prima di ricevere il trattamento avrebbero perso le loro proprietà, ricordò lei. Verso mezzogiorno Alice si girò verso il cesto e si accorse che era ormai pieno e che sarebbe dovuta rientrare. Era sporca di terra e da molto tempo non faceva un bagno come si deve, si sentiva maleodorante, così togliendosi l’abito di lanetta marrone s’immerse in acqua. Era fredda e piacevole, è così profonda, rimuginò. Lei ricordava una fonte incanalata che irrigava i campi di vigne. Fece alcune bracciate verso il largo perduta nelle sue fantasie, poi tornando indietro, si avvicinò alla riva, staccò con le mani una radice di saponaria e facendola schiumare su di un sasso si lavò, viso, braccia , gambe, parti intime e capelli. I libri, che aveva letto e studiato nella sua vita, finalmente le stavano tornando utili. In quel periodo storico dove era capitata, raramente le persone dedicavano un po’ di tempo alla pulizia quotidiana, salvo per mani e viso. Aveva appena finito di risciacquarsi, quando sentì distintamente un rumore di zoccoli di cavalli al galoppo e le voci indistinte di uomini. Uscì velocemente dalla liquida frescura e si nascose nel sottobosco, portando con sé anche il cesto con le erbe e l’abito. Dal sentiero della foresta, oltre il torrente, sbucarono improvvisamente tre cavalieri in cotta di maglia, sembravano brigantine1, ma non era sicura, armati di archi, scudi e spade. Uno di loro parlò una lingua che ad Alice parve simile al francese e capì poco quello che stavano urlando. Forse è occitano. Durante il Medioevo, in Francia e in Italia, era una lingua amministrativa e giuridica in competizione con il latino, ricordò lei. Rimuginò osservandoli e gli venne in mente che molti cavalieri, figli minori di duchi e conti italiani, che non ereditavano la terra, erano costretti a cercare fortuna in giro per l’Europa e a vendere le loro competenze di guerrieri ad altre ricche casate. Gentilmente costrinsero le cavalcature ad entrare in acqua. Erano giunti nel mezzo del torrente, quando uno dei cavalli, innervosito da qualcosa, s’imbizzarrì disarcionando un cavaliere, che cadde pesantemente nelle acque impetuose, il peso della sua armatura lo trascinò a fondo, annegherà senza aiuto, pensò lei preoccupandosi. Istintivamente si lanciò in acqua, cercando di raggiungere l’uomo il più in fretta possibile, la sua testa era già scomparsa nei flutti, Alice s’immerse prendendo fiato. Scorse il suo corpo che lottava per liberarsi dagli oggetti di metallo. Gli prese il viso e gli diede la sua aria, poi ritornò in superficie sbuffando, s’immerse di nuovo. Nel frattempo lui aveva buttato lo scudo, arco e spada. Rimaneva solo la brigantina, anch’essa in parte di metallo, il guerriero era a corto d’aria, stava annegando. Freneticamente gli slacciò il gancio sul collo e gli sfilò la pesante cotta, come aveva visto fare durante una fiera medioevale. Infine con tutta la forza che possedeva lo trascinò verso riva.
“ Ehi voi, aiutatemi a sollevarlo, non ce la faccio da sola!”, urlò in italiano agli altri due uomini che la stavano fissando attoniti.
Era quasi giunta sulla sponda, nuda e l’acqua non poteva più aiutarla ad alleggerire il corpo. Uno dei due si riprese prima e la soccorse.
“Mettetelo supino, presto!”, ordinò nella sua lingua senza rendersene veramente conto.
Il cavaliere più giovane la guardò con occhi pieni di paura e Alice si spiegò a gesti. Una volta effettuata l’operazione, iniziò a praticargli la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco. Sono trenta compressioni cardiache, estensione del viso e liberazione delle vie aeree, infine due respirazioni artificiali, ricordò lei dalle nozioni di pronto soccorso. Dopo alcuni minuti l’uomo emise un colpo di tosse e vomitò l’acqua che aveva bevuto. Continuò a tossire per circa dieci minuti, poi traendo un profondo respiro, si girò a guardarla. Il cavaliere le sorrise, aveva degli splendidi maliziosi occhi chiari e capelli scuri, con molti ricci scomposti. Un pizzetto scuro e riccio gli ricopriva il mento. Alice rendendosi conto della sua nudità schizzò verso il cespuglio dove aveva nascosto il cesto d’erba e il vestito. Mi crederanno una meretrice e approfitteranno di me, pensò spaventata. Indossò velocemente la lunga tunica, poi ritornò dal cavaliere. Questo le parlò in occitano, poi non ricevendo riposta da parte sua, passò al dialetto della valle Provininensis.
“ Chi siete? Una fata dei boschi?”, sondò scherzoso l’uomo.
“ Sono solo una donna, non una fata della foresta venuta a salvarvi. Stavo raccogliendo erbe nel bosco per l’Abbazia delle monache di Arbizzano, quando vi ho sentito cadere in acqua”, affermò ora respirando più tranquillamente.
“ Vi muovete agilmente nel torrente. E’ infido e profondo in alcuni punti”, replicò questi nello stesso idioma.
“ Vedo che vi siete ripreso, devo andarmene ora, le sorelle mi stanno attendendo. Felice di esservi stata d’aiuto”, si congedò Alice.
Si alzò, raccolse il cesto con le erbe, tutto in ordine e le erbe sono ancora bagnate, sospirò. Si girò incamminandosi nel sottobosco, improvvisamente uno dei cavalieri, quello più anziano che non era sceso da cavallo, la prese alle spalle e la trascinò sul suo baio. Alice lottò tentando di liberarsi, ma l’uomo era troppo forte e continuava a tenerla ferma e stretta sul suo cavallo mentre discuteva con l’altro in occitano.
“Lasciatemi!”, urlò Alice indignata e impaurita in francese.
Stranamente i cavalieri parvero comprenderla, il vecchio guerriero la lasciò andare mentre quello che aveva salvato sbraitava degli ordini al più giovane, che s’affrettò ad ubbidire. Il ragazzo l’afferrò, Alice cercò di divincolarsi e fuggire, ma anche se molto giovane, il subordinato era robusto e determinato. La legò sul grosso cavallo da guerra del bel cavaliere e lei non poté far altro che attendere il suo destino. Il tragitto verso l’Abbazia non fu traumatico, anche se con mani legate, era tenuta in equilibrio dalle robuste braccia del cavaliere che aveva soccorso.
“ Io sono Lorenzo Aligari, figlio minore del conte Aligari, al quale sono state affidate le terre collinari di Fumane a Ovest di Verona. Voi chi siete?” , le domandò Lorenzo abbastanza gentilmente in un misto tra veneto e latino, con un forte accento occitano.
Alice non sapeva cosa dire, la verità era fuori discussione, un armigero non l’avrebbe mai capita, rimase muta per un poco, poi consapevole che il suo prolungato silenzio poteva destare sospetti esclamò.
“Mi chiamo Alice, figlia di un commerciante. I miei parenti sono morti lo scorso inverno, io sola sono sopravvissuta. Il Signore Dio mi ha risparmiata”, raccontò brevemente in dialetto cercando di essere credibile.
Dopo qualche tempo giunsero nel cortile delle religiose. Alice si accorse di quanto fosse robusto Lorenzo solo quando la fece smontare dal suo palafreno, era alto dieci centimetri in più degli altri uomini che aveva veduto fino a quel momento, con torace e braccia molto massicce.
“ Cosa accade? Perché dama Alice è legata in codesto modo, come una ladra?”, affermò agitata la minuscola badessa uscendo dall’edificio e andando incontro al cavaliere.
“ Questa donna ha resuscitato dai morti il nobile Lorenzo, toccandogli il torace e facendogli vomitare tutta l’acqua”, s’intromise il cavaliere anziano, lasciando da parte l’occitano e parlando veneto e latino.
Nel frattempo un certo numero di curiosi, udendo la discussione tra la suora e il cavaliere, si stavano radunando nel cortile, erano tutti contadini e probabilmente speravano in una pubblica punizione, un diversivo dalla vita quotidiana.
“ Alice! Ti avevo raccomandato di stare attenta e di nasconderti se sentivi arrivare gente!”, la rimproverò sorella Maria Claretta che aveva raggiunto la superiora.
“ Mi dispiace molto, in un primo momento mi ero infatti nascosta nel sottobosco vicino al torrente, poi il cavallo di quest’uomo si è imbizzarrito, così mi sono tuffata in acqua per salvarlo dall’annegamento, ho solo praticato una respirazione artificiale. E’ d’uso comune da dove provengo, serve a fare uscire l’acqua dai polmoni”, raccontò in modo succinto, cercando di fuggire dal giovane cavaliere.
L’uomo con gli occhi da gatto la guardò attentamente, Alice non era una bellezza, troppo magra, di un pallore malsano, come se per anni non avesse preso un raggio di sole, con poco seno, alta all’incirca un metro e sessantatré centimetri, troppo per quel periodo, considerando che la donna media era circa un metro e quarantacinque/cinquanta centimetri, lentigginosa e con i capelli castano-rossicci tagliati malamente dalle suore alle spalle, tutti arruffati dal bagno nel torrente. Improvvisamente la lasciò andare e lei si precipitò verso suor Amelina, cercando conforto dallo spavento nelle sue braccia.
“ Bene, ci faremo rivedere. Non sono convinto che tutto ciò che afferma corrisponda al vero”, sostenuto il suo punto di vista rimontò sul suo baio e con i suoi uomini sparì in direzione lago di Garda. Se questa gente si sforzasse di parlare solo dialetto sarebbe sicuramente più comprensibile per me, rifletté lei osservandoli mentre si allontanavano.
Il mattino seguente il sole stava nascendo luminoso dalle colline di Arbizzano e un raggio colpì il giaciglio dove stava dormendo Alice, si mosse, sbatté le palpebre e rimase sdraiata ancora per un minuto sforzandosi di ricordare dove si trovava e perché. I ricordi delle ultime settimane la sommersero e si domandò per l’ennesima volta come avesse fatto a viaggiare nel tempo. Brecce spazio temporali sono fantascienza anche nel XXI secolo, rimuginò lei. Un moto di dolore l’invase rendendosi conto che non sarebbe più potuta ritornare a casa. Depressa e con molta voglia di piangere, si alzò, ormai completamente sveglia, si lavò viso e corpo in un catino pieno d’acqua e si diresse verso l’abbazia delle monache del Sacro Cuore. Una volta giunta a destinazione bussò al portone di quercia, Alilanda, la novizia che si alzava prima di tutte, le aprì l’uscio.
“ Sei tu Alice? Ti porto da sorella Amelina, t’insegnerà come trattare e catalogare le erbe officinali”, suggerì questa.
Ora Alice riusciva a capire quasi tutto quello che dicevano. Era un po’ stupita di questo, ma in tempo di stress il cervello e l’adrenalina lavoravano molto velocemente aiutando la comprensione di cose quasi assurde.
Le due donne salirono tre gradini e girarono a destra, nel corridoio c’erano due porte.
“ La prima a destra è il magazzino delle erbe, quella di fronte lo studio della badessa”, affermato questo bussò due volte alla porta del magazzino ed entrò seguita da lei.
“ Sorella Amelina, Alice è arrivata. Ha bisogno ancora di me?” , chiese la giovane novizia, che non poteva avere più di quindici anni.
“ No, va pure Alilanda, grazie”, la ragazza uscì dalla stanza lasciandola sola con la religiosa.
La sua prima impressione fu di ordine, vari contenitori di cotto erano allineati su degli scaffali, uno di questi giaceva aperto su di un tavolaccio grezzo, retto da cavalletti. La religiosa si girò verso di lei, la stanza ora era pienamente illuminata dalla luce del mattino.
“ Ho sentito che desideri ricambiare le nostre cure, mi sei sembrata una donna intelligente, così se vorrai, t’insegnerò come trattare ed essiccare le erbe medicinali. Se ti piacerà potrai entrare nell’ordine”, le comunicò sorella Amelina in dialetto.
Alice era credente, tuttavia la sua fede non era così profonda.
“ Vorrei ricambiare come posso la vostra gentilezza “, disse lei semplicemente.
La suora si mise al lavoro e le fece vedere come tagliare e suddividere le erbe, come far essiccare le radici, le cortecce di betulla e pioppo che aveva prelevato nel bosco. Passò gran parte della mattina, verso mezzogiorno interruppero il lavoro per mangiare qualcosa. Alice era un po’ stanca e aveva la schiena indolenzita, le sorelle le chiesero se avesse desiderio di uscire e di riprendere più tardi il lavoro. Per alcune ore avrebbero pregato Dio e meditato. Fortunatamente non le chiesero di unirsi a loro. L’insegnamento durò alcune settimane, sempre intervallato con uscite sul campo. Usualmente suor Maria Claretta andava con lei, istruendola riguardo ad erbe e radici. Alice era interessata e molto curiosa. Certo le mancava la sua vecchia vita, soprattutto i genitori, amici e i libri, ma devo adattarmi a questa vita se voglio sopravvivere, considerò più volte tristemente.
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Garzapano da Bussolengo si svegliò prima dell’alba quella mattina d’agosto, con alcuni ospiti illustri, sostenitori di Federico I di Hohenstaufen, aveva organizzato una battuta di caccia al cervo. Emanuela, l’amante del momento, era già scomparsa dal suo letto. A lui piaceva dormire solo. Sbatté le palpebre ancora assonnato e rimase sdraiato ancora un po’ a riflettere. Ripensando alla sua vita si riteneva un uomo soddisfatto. La sua ambizione lo aveva portato ad ottenere la custodia del castello di Rivoli. Flussi di ricordi lo assalirono, nel 1155 aveva aiutato Ottone di Wittelsbach a sconfiggere gli anti-imperiali a Ceraino. Isacco, il suo capitano, che conosceva bene quelle zone, aveva suggerito loro come prendere alle spalle quella banda di traditori. Erano stati uccisi quasi tutti i ribelli, ricordò lui con gioia. Si alzò e vestì, le memorie svanirono lentamente. Una volta vestito scese al piano terra, schiamazzi ad alta voce e risate seguiate provenivano dalla sala banchetti, il castellano entrò nella stanza, gli ospiti erano già tutti radunati per la colazione.
“ Miei illustri ospiti, so che il sole non è ancora sorto, ma se vogliamo andare a caccia dobbiamo affrettarci!”, affermò chiamando Licrezia e Adelaide per far servire il pasto.
Tutto fu consumato velocemente e gli uomini si radunarono nel cortile interno. Garzapano notò le espressioni di meraviglia degli imperiali. Erano giunti di notte e non avevano ancora potuto osservare il castello dall’esterno. Il maniero era molto grande, con massicce e quadrate torri ai quattro lati, cintate da uno spesso muro e unite da un corridoio merlato, i bastioni, dai quali gli arcieri avrebbero potuto facilmente colpire eventuali assalitori. Sono meravigliati che un nobile di poche ricchezze come me sia riuscito ad ottenere le terre di Rivoli, s’inorgoglì lui.
“ Dove ci dirigeremo?”, chiese il barone Stunofen in sella ad un baio un po’ irrequieto.
Garzapano si distolse dalle sue riflessioni e fissò il nobile germanico.
“ Sulle alture, sopra il castello, c’è una parte di montagna incontaminata e ricchissima di fauna. Il terreno appartiene a me, là troveremo molti cervi e cinghiali. Che la caccia abbia inizio!”, urlò eccitato Garzapano.
Spronò il suo stallone nero e seguito da una ventina di cani da caccia si diresse a nord-est. La nebbia mattutina avvolgeva il bosco, regnava un gran silenzio, i piccoli animali del sottobosco spaventati dal rumore degli zoccoli e abbaiare dei cani, si nascondevano tremando. La sera precedente aveva piovuto e i cacciatori non riuscivano a distinguere un masso da un cinghiale. Verso metà mattina il castellano di Rivoli fu avvicinato da uno stanco barone Arnoldo di Baviera, un noto sostenitore dell’Imperatore, che montava una cavalla bianca molto docile. Era un uomo di mezz’età, basso con una notevole pinguedine. Gli abiti da caccia un po’ aderenti lo facevano apparire ancora più grasso e basso accanto alla figura dinoccolata del giovane Garzapano.
“ Un messaggero qualche giorno fa mi ha avvertito che l’Imperatore sta assediando da quasi un anno la Rocca del Garda. Turrisendo dei Turrisendi sta resistendo coraggiosamente, le sue scorte di cibo per fortuna sono quasi giunte al termine e i suoi uomini stanno cedendo. L’Imperatore vuole assicurarsi le vie di comunicazione tra i comuni locali e l’Impero”, iniziò a raccontare lui.
“ Per questo motivo vi ha affidato il castello di Rivoli. Mi è giunta voce che anche nella valle Provininensis molte casate si stanno facendo impudenti e indipendenti dal punto di vista politico-amministrativo, questo porterà l’Imperatore ad attaccarle per tenere libera la via dell’Adige. Ben presto ci saranno altri assedi!”, lo interruppe il barone Arnoldo.
In quel mentre un ululato si levò dai cani di testa, i bracchi avevano scovato una traccia e il cervo ,allarmato dall’odore degli uomini e dall’incalzare dei cani, stava fuggendo verso le alture dove si sentiva più al sicuro. Garzapano e gli altri nobili interruppero le rispettive conversazioni e spronarono le cavalcature. L’animale stava correndo sempre più velocemente inoltrandosi nel folto bosco, fino a che, ormai esausto, non commise il fatale errore d’infilarsi in un piccolo canyon senza uscita. Il castellano di Rivoli lo vide caricare i cani e ucciderne tre, prima che una sola freccia tirata dal suo arco lo freddasse. Aveva un’ottima mira e anche un buon tempismo. La carcassa del povero animale fu poi caricata su di un mulo e portata al castello per essere sventrata per il pranzo. I nobili si ritennero soddisfatti e chiesero di essere riportati al castello. Il castellano li accontentò anche lui aveva fame e non vedeva l’ora di gustare la carne abbrustolita.
La sala dei banchetti era affollata di nobili, cortigiane, servi che portavano i vassoi di cibo. C’era molto rumore e Garzapano faticava a riprendere la discussione con il nobile Arnoldo di Baviera.
“ Che cosa potrei fare per aiutare l’Imperatore con la Rocca? Da Rivoli potrei fargli giungere rinforzi e scorte di cibo….” , urlò nell’orecchio del suo interlocutore.
“ Non potete svuotare il castello dalla protezione degli armigeri! Dovete difendere le mura, in caso d’attacco dei ribelli. Questo è una delle chiavi per l’accesso alla pianura padana e al distretto gardense. Per questo l’Imperatore vi ha donato autonomia militare e amministrativa”, suggerì saggiamente il barone.
Il nobile è un astuto stratega, pensò Garzapano.
“ Allora attenderò che l’imperatore chieda il mio aiuto prima di rischiare in prima persona”, affermò il castellano prudentemente.
Il pomeriggio si stava trasformando in sera, i banchetti che organizzava, quando ospiti importanti decidevano di passare un po’ di tempo nelle sue terre, duravano molto a lungo, soprattutto perché le portate erano intervallate da giocolieri, trovatori e musici. Il loro discorso fu bruscamente interrotto dall’avvicinarsi delle cortigiane e la conversazione virò verso chiacchiere più triviali. Emanuela s’avvicinò a lui titubante, i nobili ospiti non le piacevano molto, era una donna molto riservata. Questa notte le ordinerò di fermarsi un po’ di più nella mia stanza, pensò Garzapano osservandola con bramosia. La cortigiana era molto bella, minuta, snella e con grandi occhi chiari, i sui unici difetti erano l’orgoglio e l’impudenza. Terminato il pasto Garzapano si ritirò con lei, una volta giunto nella camera da letto iniziò velocemente a spogliarla e desiderò possederla, una smania violenta che non lasciava spazio ai preliminari. Emanuela gemette di dolore e lo allontanò repentinamente.
“ Mi state facendo male”, affermò lei premendo le mani sul suo addome.
“ Non sei qui per dare sfogo alle tue proteste”, s’irritò l’uomo all’apice dell’eccitazione.
“ Aspettate”, gemette lei lottando per allontanarsi.
Uno schiaffo arrivò alla guancia d’Emanuela prima che se ne accorgesse, Garzapano era un uomo violento, tuttavia con le amanti di solito riusciva a controllarsi, la donna spalancò gli occhi sorpresa e si precipitò nuda fuori dalla stanza, raccattando nella corsa la sua veste. Sicuramente andrà a farsi consolare da Licrezia, in ogni caso sono stanco della sua impudenza. Forse l’allontanerò dal castello, pensò lui.
Qualche settimana dopo la partenza degli illustri ospiti, Garzapano fu svegliato da una certa agitazione, Isacco stava urlando qualcosa. Si vestì velocemente e uscì dalla sua stanza incontrando l’armigero nella sala banchetti, la cicatrice, che dall’occhio sinistro terminava nella mascella quadrata, era più evidente che mai nell’uomo.
“ Una carovana di commercianti sta attraversando il territorio a nord e si sta dirigendo verso Verona!”, gli comunicò concitato il capitano.
“ Isacco, raduna gli armigeri, andiamo incontro ai nostri ospiti!”, ordinò Garzapano.
Sorrise pensando al denaro che quel nuovo balzello gli avrebbe fruttato. Le casse del castello erano quasi vuote, mantenere questo tenore di vita e tutti gli armigeri è piuttosto costoso, considerò lui. Quando tutti furono riuniti partirono in direzione nord. Era primo pomeriggio, il caldo si stava facendo sentire, sebbene l’autunno si stesse avvicinando. Gocce di sudore scendevano copiose dalla fronte del giovane borghese rendendolo nervoso e irritabile. A cinque chilometri dal castello s’inoltrarono nel sottobosco rendendo meno disagevole lo spostamento. Finalmente dopo qualche ora di cavalcata giunsero in vista della carovana. Vi erano tre carri in fila indiana ed erano sicuramente stracolmi di merce e denaro.
“ Disponetevi a cerchio attorno alla carovana!”, ordinò Garzapano ai suoi uomini per evitare fughe repentine
Decise di nascondersi nel fitto sottobosco in attesa che gli armigeri facessero il loro dovere. Da quel punto d’osservazione poteva vedere e udire Isacco e i mercanti.
“ Vi ordino di fermarvi! “, sentì urlare da Isacco, “…state passando attraverso le terre di Garzapano, custode del castello di Rivoli. Per farvi proseguire chiediamo cinque denari! Chi parla per il gruppo?”, sbraitò il capitano.
Nella carovana di testa Garzapano notò un vecchio commerciante e una bella ragazza con splendidi occhi verde chiaro.
“ Io sono Antonio Del Fante, capostipite della famiglia Del Fante che risiede a Trento da varie generazioni. Da quando si paga la strada che conduce a Verona?”, domandò spaventato il vecchio.
Garzapano gioì nell’osservare che la folta e irta barba bianca dell’uomo tremava di rabbia e di paura.
“ Non proseguirete senza aver elargito cinque denari”, il castellano sentì Isacco ripetere urlando.
Il capitano era fermo di fronte alla carovana di testa. Gli altri armigeri si fecero vedere e incoccarono le frecce nei loro archi. I venditori scesero dai rispettivi carri e si consultarono. Sprazzi di conversazione giunsero alle orecchie di Garzapano.
“ Noi non abbiamo il denaro, solo lana, formaggio, pancetta e cuoio per le calzature. Sono d’ottima qualità e vi frutteranno molto denaro”, iniziò Antonio.
Il vecchio cerca d‘invogliare i miei uomini a prendere la merce, considerò Garzapano. Soppesò l’idea di ucciderli tutti, decide invece di uscire dal sottobosco. Il castellano aveva notato che Isacco era incerto, ovviamente non sapeva cosa fare, se accettare la merce che gli era offerta, ucciderli tutti o insistere per avere il denaro.
“ Isacco, prenderemo la merce, è ovvio che non hanno denaro”, sibilò Garzapano.
Rientrò al coperto nel bosco, non voleva che i mercanti lo notassero troppo.
“ Prenderemo tutta la merce in pagamento del vostro debito”, asserì perentorio il capitano.
“ Non potete sottrarcela tutta! Non avremmo di che sfamarci senza!”, sbottò a un certo punta la giovane ragazza che accompagnava il vecchio.
“ Voi chi siete? “, vociò Isacco seccato.
“Sono la nipote di Antonio Del Fante, mi chiamo Sofia”, replicò lei.
La ragazza sta fissando Isacco con sfida senza la minima paura, notò Garzapano notandone il coraggio e la bellezza.
“Va bene, prenderemo solo parte degli articoli, ma voglio anche la ragazza”, sentì comandare dal capitano.
“Nooooo!”, urlò il vecchio con voce angosciata.
Tre frecce partirono dal sottobosco e uccisero sul colpo alcuni uomini Era un sistema che aveva ideato per scoraggiare la ribellione dei più influenzabili.
“Volete morire?”, vociò uno dei commercianti.
“Dobbiamo cedere la merce e la ragazza Antonio“, suggerirono quattro dei carovanieri.
“Come potete chiedermi questo? Sofia è la più grande dei miei nipoti e si prende cura dei fratellini e dei miei figli da quando Maddalena è morta….” , urlò angosciato il vecchio.
“ Non potrete farmi questo!“, s’intromise Sofia, “ Zio, vi prego, non potete vendermi a quell’uomo“ , pregò lei.
“Preferiresti farci uccidere tutti?”, domandò un altro rivolta alla ragazza.
“Mi dispiace Sofia, non abbiamo altra scelta se vogliamo vivere”, replicò affranto Antonio.
Garzapano osservò la scena più scrupolosamente, il vecchio stava piangendo e la ragazza aveva uno sguardo da animale braccato. Per un momento provò pena per loro.
“ Caricatela sul mio cavallo e legatela!”, ordinò con gioia Isacco per nulla colpito dalle suppliche di lei. Poi in sella si diresse nel sottobosco in cerca del suo signore.
“ Mio signore Garzapano, ho preteso un balzello straordinario questa volta, oltre ai prodotti anche la donna”, vociò un po’ incerto.
“ Hai fatto un buon lavoro Isacco!”, esclamò lui.
Dopo anni di fedeltà il capitano si merita un po’ di divertimento e quella ragazza è molto carina, pensò Garzapano.
 
1 Brigantina: Giubba foderata di piccole piastre di metallo attaccate con rivetti: le teste dei rivetti si vedono sull’esterno della giubba.
 
 

 


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