Il gioco è un aspetto basilare nella vita dell’uomo di tutte le età ed è palese che le diverse civiltà se li passarono l’una con l’altra. A poco a poco anche i Romani li ereditarono tutti dalle civiltà precedenti e a Roma si giocò molto. Giocarono i piccoli scommettendo le noci, giocarono molto meno ingenuamente gli adulti e quando il gioco diventava meno innocente e più rischioso, si giocava per denaro riuscendo spesso a perdere vere e proprie fortune. Ovidio in una sua opera ( Ars amatoria) scrive: Sic, ne perdiderit, non cessat perdere lusor (Così ai dadi il giocator perdente per non restare in perdita continua a perdere). Naturalmente, per tutelare tutti i cittadini dai rischi che derivavano dal gioco d’azzardo, fin dall’epoca repubblicana si era anche cercato di promulgare delle apposite leggi, una fra queste era la Lex Alearia. Questa legge stabiliva, infatti, quali fossero i giochi proibiti e li elencava in una lista:
. Capita aut navia (testa o croce)
. Tali (astragali)
. Tesserae (dadi)
. Digitus micare (morra)
. Parva tabella lapillis
. Ludus Latruncolorum (speciale tipo di dama che richiedeva l’uso di una tabula lusoria (scacchiera) e pedine)
. Duodecim Scripta (dodici righe, richiedeva anch’esso l’uso di una tabula lusoria e pedine)
Alcuni di questi giochi sono, ancora oggi, considerati giochi d’azzardo; è possibile che anticamente venivano vietati perché si pensava che forti puntate e scommesse ne potessero alterare il carattere . Del resto era evidente che per vincere o perdere grosse somme non c’era bisogno di giocare ai dadi bastava scommettere sulle cose più varie.
Ne è d’esempio un gioco praticato nell’antica Roma, che non aveva bisogno né di scacchiere né di dadi, parliamo precisamente di Navia aut capita che vuol dire “Testa o Nave” perchè la moneta più adatta a questo gioco aveva incisa, da una parte la prua di una nave e dall’altra la testa di Giano. Indovinare quale faccia sarebbe uscita non bastava, perciò si scommetteva su una delle due facce a quel punto il gioco da divertimento diventava un gioco d’azzardo completamente a sé stante. Ai giorni nostri questo gioco è ancora praticato ed è conosciuto come Testa o Croce perché la prima moneta del Regno d’Italia aveva questi due simboli impressi uno nel “recto” e l’altro nel “verso”.
Per chiarire poi le regole di questi giochi abbiamo le informazioni che troviamo nelle varie fonti letterarie; sappiamo infatti che sul gioco furono composti addirittura interi volumi e sicuramente sui giochi d’azzardo nacquero vari trattati, uno di questi venne scritto perfino dall’imperatore Claudio, accanito giocatore. Oggi di tutte queste opere resta soltanto l’Onomasticon, un trattato in dieci libri scritti da Giulio Polluce. La parte che riguarda i giochi è il libro IX.
Fra tutti i giochi d’azzardo, sicuramente, il preferito fu l’astragalo, vi si giocava con le ossa brevi ricavate dalle zampe posteriori delle pecore, montoni ed altri animali, più precisamente dalle ossa articolate poste tra la tibia e il perone. Con gli astragali giocavano tutti: ragazzini, uomini e addirittura fanciulle; erano uno strumento di gioco così diffuso che vennero ricopiati in vari materiali: dall’economica terracotta al piombo, dal marmo ai più preziosi realizzati in avorio, argento e addirittura in oro. In alcune partite venivano usati pregiati astragali e sfarzosissime tabulae lusoriae (scacchiere) in cui si perdevano o vincevano cifre astronomiche.
I giovanissimi giocavano nientemeno che sul pavimento. Questo è quanto vediamo in una copia romana di una statua ellenistica, (II secolo a. C.), proveniente da uno scavo al Celio e oggi conservata a Berlino, nel Museo Pergamon: la ragazza pettinata con i capelli tirati e un leggero abito, sta accovacciata per terra e guarda pensierosa gli astragali che ha appena lanciato davanti a se. Un altro esempio è la lastra marmorea dipinta con tratto leggero (I secolo d.C.) proveniente da Ercolano e attualmente esposta al Museo Archeologico di Napoli, reca una scena firmata dal pittore Alexandros Athenaios, dove appaiono, in primo piano, due fanciulle che giocano con gli astragali. Il pittore ha indicato anche il loro nome: Agalaia e Ilaria, mentre, le donne in secondo piano sono Phoibe, Latona e Niobe.
Fra tutti i giochi d’azzardo, sicuramente, il preferito fu l’astragalo, vi si giocava con le ossa brevi ricavate dalle zampe posteriori delle pecore, montoni ed altri animali, più precisamente dalle ossa articolate poste tra la tibia e il perone. Con gli astragali giocavano tutti: ragazzini, uomini e addirittura fanciulle; erano uno strumento di gioco così diffuso che vennero ricopiati in vari materiali: dall’economica terracotta al piombo, dal marmo ai più preziosi realizzati in avorio, argento e addirittura in oro. In alcune partite venivano usati pregiati astragali e sfarzosissime tabulae lusoriae (scacchiere) in cui si perdevano o vincevano cifre astronomiche.
I giovanissimi giocavano nientemeno che sul pavimento. Questo è quanto vediamo in una copia romana di una statua ellenistica, (II secolo a. C.), proveniente da uno scavo al Celio e oggi conservata a Berlino, nel Museo Pergamon: la ragazza pettinata con i capelli tirati e un leggero abito, sta accovacciata per terra e guarda pensierosa gli astragali che ha appena lanciato davanti a se. Un altro esempio è la lastra marmorea dipinta con tratto leggero (I secolo d.C.) proveniente da Ercolano e attualmente esposta al Museo Archeologico di Napoli, reca una scena firmata dal pittore Alexandros Athenaios, dove appaiono, in primo piano, due fanciulle che giocano con gli astragali. Il pittore ha indicato anche il loro nome: Agalaia e Ilaria, mentre, le donne in secondo piano sono Phoibe, Latona e Niobe.
Articolo di Samantha Lombardi pubblicato su Quotidiano di storia e archeologia diretto da Pierluigi Montalbano.
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